AUTOINCHIESTA DEI GIOVANI SONNINO E FRANCHETTI SULLE CONDIZIONI DELLA SICILIA NEL 1876

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(Da: Guidi Biagi, Passatisti (cap. VI: Sidney Sonnino), Firenze, La Voce 1923, pp. 196-99)

 

                 Il problema del mezzogiorno e più quello della Sicilia, che nel 1876 apparve così minaccioso da consigliare il governo da proporre al Parlamento provvedimenti eccezionali per l'isola, invogliò e stimolò i due giovani amici, il Franchetti e il Sonnino, a far da soli un'inchiesta all'inglese sulle vere condizioni dell'Isola e su quelle dei Contadini.

                Partirono equipaggiati come per una spedizione africana, perché i tempi eran torbidi, le vie malagevoli e infestati da malviventi. A penetrare nell'interno, nei casali lontani, era necessario andar sulla mula; e per dormire sonni tranquilli era mestieri portar seco una branda, i cui piedi fossero tuffati in quattro scodelle di petrolio. Accompagnati da alcun fido seguace, ardito e non nuovo alle armi, compirono una lunga e ostinata peregrinazione che durò vari mesi, percorrendo tutte le regioni, così quelle costiere come quelle montane, interrogando, frugando, annotando, e, tornati a Firenze (allora Capitale d'Italia), si chiusero in casa a riordinare gli appunti e a dar forma di libro all'enorme materiale raccolto.

                Cotesto viaggio in Sicilia, aveva creato intorno ai due giovani economisti un'aureola di leggenda, onde la gente li riguardava come fossero qualche cosa di diverso dagli altri patrizi entrati nella vita publica con lo star fermi in via Tornabuoni, sul marciapiede del club.

               Il libro aveva dato la misura della tenacia di propositi dei due  autorelatori, che si erano da loro stessi affidato il difficile compito, e che alla risoluzione del problema agrario ed economico portavano così serio ed arduo contributo.

                I maggiorenti della politica guardavano con occhio diffidente i due giovani che avevano posto innanzi la loro candidatura senza prima aver chiesto il permesso ai santi padri della congrega e che si facevano centro di un nuovo partito, studioso del problema economico, desideroso di recare un po' di modernità di idee nella vecchia politica italiana, e risoluto ad andare innanzi seguendo la propria via senza lasciarsi lusingare dalle blandizie di questi o di quelli.

                Quei due volumi densi di fatti e solidi di ricerche e di argomentazioni, caddero come bolidi nel campo politico e furono più temuti che letti, più ammirati da lontano che studiati e discussi da chi avrebbe dovuto giovarsene. Prima del 1876 o dell'avvento della sinistra al potere, perfino Pasquale Villari era considerato un ribelle e guardato di malocchio dalla parrucconeria indigena che aveva tenacità di resistenze biologiche da disgradarne i pappagalli. Erano i tempi beati nei quali i giornali d'opposizione non avevan lettori, e il Diritto, l'organo della democrazia italiana, publicava gli articoli di Francesco De Sanctis e di Gaetano Trezza che nessun foglio di destra avrebbe voluto ospitare.

                L'Opinione di Giacomo Dina portava ogni mattina sui cancelli degl'impiegati il verbo governativo; e in provincia, la Nazione e la Gazzetta d'Italia, la Perseveranza e la Gazzetta del Popolo di G.B. Bottero lo commentavano, mentre Fanfulla, il solo enfant terrible tollerato, si permetteva quella libertà di parola e di gesto che si consentono al cucco di casa.

                Con una stampa a quel modo, il libro non poteva far breccia e i due economisti che avevano abbondanza di idee e saldezza di propositi si volsero al giornale.

FINE

 

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