BUONA
FESTA DEL LAVORO ALL'INSEGNA DELLA QUALITA' DEL LAVORO E SPECIALMENTE DELLA
COMPAGNIA DI DIO, NEI LUOGHI DI LAVORO
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, Milano 1901
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Sento il bisogno di salutare tutti i lavoratori del mondo; prima i compagni e
amici e sindacalisti abituali, compresi i datori di lavoro e impiegati vari; poi
tutti i disoccupati e quelli che devono lavorare anche oggi che è giorno
festivo, proprio il giorno del lavoro e dei lavoratori; e poi saluto pure le
Autorità del lavoro e dello Stato e della Chiesa e quelli che ovunque svolgono
lavori intellettuali.
La festa dei lavoratori, invero non può non essere anche la festa del lavoro;
del migliore lavoro e del migliore futuro. Una miglioria questa, che non è
dunque confinata solo all’individuo o all’azienda che eventualmente
l’intraprende, ma che rappresenta in ultimo un vantaggio per la nazione e il
mondo intero.
Infatti lavorando meglio, aumentando cioè la qualità del lavoro e della vita dei
lavoratori (manuali o intellettuali che siano), conseguiranno anche produzioni
migliori e maggiori, come scoprirono già gli esordi della industrializzazione
inglese, e come già prima scoprirono le migliorie agricole toscane del
1700-800, per esempio costruendo ai contadini case più solide e funzionali,
studiate a tavolino dai progettisti . E’ vero tuttavia, che la globalizzazione
in parte unitasi alla demoralizzazione delle economie forti attuali, va nel
senso contrario, cioè depaupera la qualità del lavoro, aumentando la precarietà
della produzione come dei rapporti di produzione. E questa globalizzazione
assunta nell’aspetto peggiore e più pericoloso (l’aumento della precarietà e
della destabilizzazione) a scanso degli aspetti migliori e più necessari
(mercato e competizione globale perciò maggior possibilità di concorrere per
tutti…), è certo una delle cause principali dell’attuale recessione, anche se
nessuno osa dirlo, e anche se il binomio globalizzazione demoralizzazione, non è
l’unica causa…. .
E’ dunque, in questo quadro, quanto mai doveroso e insieme beneaugurante,
parlare di qualità del lavoro nel contesto
odierno della festa dei lavoratori e del lavoro.
C’ è però un altro aspetto che è ancora più doveroso considerare. Consiste nel
fatto che il lavoro come i lavoratori hanno bisogno
della compagnia di Dio. Infatti la eccessiva desacralizzazione dei
processi produttivi è la radice principale non solo e non tanto della odierna
crisi economica, quanto della sostanziale immoralità che giunge a dettar legge
in certi settori e ambienti; onde in questi luoghi (e proprio in questi più che
in altri) né le leggi dello Stato e tantomeno quelle di Dio, comandano e
presiedono l’ordine o il bene comune, ma al contrario comandano le Repubbliche
improvvisate o del tornaconto; tornano cioè i signorotti e i castellani del
passato che sotto la veste di imprenditori moderni, si arrogano il diritto di
concepire e applicare un proprio diritto del lavoro, a scapito e danno di quello
dello Stato e dell’Unione, cioè a scapito e a danno dei lavoratori come
dell’interesse collettivo.
In conclusione l’assenza di Dio nel mondo del lavoro, cavalcata e rafforzata dal
debole cattolicesimo come dal neocomunismo e dal neoliberalismo (insomma dal
neopaganesimo), è la prima ragione della attuale come della passata involuzione,
cioè del progresso mancato e insieme del regresso già notevolmente conseguito.
Credetemi perciò o lavoratori, o sindacalisti o servitori dello Stato come della
Occupazione, come di ogni occupazione; per ripigliare il timone del progresso
effettivo e profondo (e perciò non solo apparente o effimero), secondo la
produttività necessaria come secondo la moralità più necessaria o fondamentale,
è fatto insostituibile, è necessità inderogabile, la
compagnia di Dio nei luoghi di lavoro.
Infatti Dio infonde la speranza e suscita e conserva stabilmente i buoni
desideri; ne presiede poi la soddisfazione migliore, vincendo sempre sia
l’errore che il male, a cominciare dal peccato. Dio comanda inoltre, non solo
che gli stipendi come i salari, siano necessari per il lavoratore e la propria
famiglia; ma ancor più, comanda a tutti, dipendenti e datori, la civiltà della
fratellanza e della concordia; esige ogni fondamento duraturo della giustizia
come della pace sociale; vuole l’armonia tra il bene individuale e il bene
comune o collettivo… . Insomma, Dio aiuta tutti e non abbandona nessuno; fa
crescere il benessere degli individui come delle nazioni; al
contrario l’uomo senza Dio, spesso aiuta più se stesso
e la fazione a scapito della collettività; si muove presieduto più
dall’egoismo e dalla superbia litigiosa, che dall’altruismo e dall’umiltà
costruttiva.
E qui prevengo l’obbiezione di quelli che paladini del neoateismo e agnosticismo
più di fatto che teorico, sponsorizzatori comunque dell’assenza e della morte di
Dio, passano l’esistenza (poveretti) a screditare la Chiesa come ogni fede
tranne che nell’Antichiesa e nel nulla ; passano insomma gran parte della vita a
rivendicare maggiori salari e aumenti; ma già sono in debito avendo programmato
o consumato numerosi aborti e adulteri; e altri ne meditano, proprio mentre
rivendicano il diritto a maggior salario come a quei aborti o adulteri già
consumati….ma mai digeriti .
Questa categoria di ideologi, lungi dal ravvedersi, dissemina perciò il nulla ai
quattro punti cardinali; e pretenderebbe anzi in cambio, duratura gratitudine e
indulgenza. Pretende insomma di far tutto da sé e di mettere in ridicolo come
nel cassetto la fede in Dio, cioè la Religione come ogni Religione.
A questa propaganda il sottoscritto come la Religione e il Dio che si vorrebbe
morto o estraneo dal mondo come dal lavoro, rispondiamo che l’Albero buono si
vede dai buoni frutti; che il Bene è più forte del male o dell’errore come del
peccato; che il progresso del passato è stato fatto affermando Dio e non
negandolo, come alcuni vorrebbero fare oggi… . E’ pertanto una scelta
antistorica e del tutto arbitraria, consacrata al fallimento certo, priva di
ogni saggezza come buon senso, confidare solo nell’uomo che nega Dio e afferma
se stesso, proprio per migliorare la qualità del lavoro e della vita di se
stessi come del mondo intero. La storia insegna
invero, che non è l’uomo la garanzia maggiore di se stesso; ma è Dio e la sua
legge, è il Creatore dell’uomo, la garanzia maggiore di ciò che egli stesso ha
creato.
Buona festa del lavoro e dei lavoratori,
Orlando Metozzi
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1 : Il Quarto Stato di
Giuseppe Pellizza da Volpedo : A Volpedo, caratteristico
paesino in provincia di Alessandria, nacque nel 1868 Giuseppe
Pellizza da Volpedo, il pittore che dipinse uno dei quadri più
famosi al mondo: il Quarto Stato.
Il percorso artistico che lo condusse alla celebre tela lo
portò ad attraversare le maggiori correnti artistiche tra la
fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nonché ad un
lungo pellegrinaggio in Italia e in Europa.
Studiò all’Accademia di Brera ( Milano) dove nel 1885 espose
le sue prime opere, poi si spostò all’Accademia di San Luca a
Roma e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Il 1895 fu un anno fondamentale nella vita di Pellizza: con
l’adesione al socialismo e l’evoluzione del suo stile, che
raccoglieva l’eredità della pittura rinascimentale italiana, del
divisionismo e del verismo, prese corpo e vigore il progetto di
una grande tela corale sui lavoratori.
Dopo aver esposto i suoi quadri in prestigiose mostre
nazionali e internazionali, nel 1901 portò a termine l’opera che
per cui oggi è famoso in tutto il mondo.
Il Quarto Stato richiese a Pellizza 10 anni di studio e
lavoro nella piazza principale di Volpedo, sfondo del quadro,
con molti modelli che lui vestiva personalmente (v. box lato).
L’incedere maestoso delle figure di semplici contadini, il
complesso rimando tra pittura simbolica e verista, la realtà che
si percepisce dietro le pennellate, hanno fatto del Quarto stato
un’icona pittorica riconosciuta in tutto il mondo, il simbolo di
un’epoca, quale poteva essere quella dell’inizi del ‘900, che si
sentiva proiettata verso un luminoso futuro.
I modelli del Quarto Stato
La forte personalità che emana dalle figure del Quarto Stato
è dovuta anche al fatto che i personaggi del quadro erano
persone reali, abitanti di Volpedo che Pellizza disponeva e
vestiva nella piazza del paesino pagandoli 3 lire a giornata.
La figura centrale del quadro, l’uomo che cammina fissando
l’osservatore, fu dipinta in base a due modelli: Giovanni Zarri,
muratore e Giovanni Gatti, farmacista del paese e amico di
Pellizza.
L’uomo sul lato sinistro, con la giacca sulla spalla era il
falegname Giacomo Bidone, poi emigrato in America. La figura
femminile con il bambino è la moglie di Pellizza, Teresa, morta
di parto nel 1907 insieme al figlio. A seguito di questo
drammatico evento, il pittore si impiccò nello stesso anno.
(Da :
newsfood.com
)
FINE