IL CACCIATORE SENZA FUCILE

2-7-06

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Finestra sul popolo Aretino, Toscano, Italiano

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                Quando l'esodo non aveva finito di spopolare le campagne, la caccia più che uno sport , era una naturale necessità, sia di svago che contro la fame . Invero, se ne poteva fare anche a meno (come facevano alcuni), visto che numerose erano le offerte degli orti e dei campi; ma certi individui, raccolta l'abitudine di cacciare dagli avi, proprio non potevano non predare : catturare  la selvaggina buona e libera era per loro un modo per voler bene e godere al meglio della natura, più che un bisogno di sostentamento. Pertanto giunto il periodo dell'apertura venatoria, e sopraggiunto il tempo propizio come la domenica o un qualsiasi pomeriggio di minor fatiche, ci si metteva il fucile in spalla, la cartucciera alla pancia, i gambali, e sciolti il cane da penna o da lepre che fosse, via giù per i campi, i boschi, a stanare una gran quantità di selvaggina, specialmente lepri e fagiani, ma all'occorrenza, se capitava, anche volpi, tassi e  qualche cinghiale.

                Però la caccia non era solo attività predace, come non era solo un modo per amare o vivere al meglio la natura; essa, nella logica di quei protagonisti campagnoli, doveva essere invece, anche e specialmente una occasione d'amicizia, di fraterna socializzazione, seppure risultasse all'atto pratico, bellicosa contro la fauna. Ebbene una di queste occasioni socievoli, era spesso la domenica; e in particolare per i signori Mercanti quel tipo di domeniche assumevano un sapore unico d'ospitalità, specie quando venivano per rifarsi l'animo, l'ingegner Formigoni e il suo cugino colonnello. Arrivavano, questi signori aristocratici di città,  verso le sei del mattino: l'ingegnere giungeva con la sorella Rina e il cugino Amilcare; questi era un colonnello d'artiglieria, straricco e con una moglie miliardaria, ma purtroppo entrambi senza figli, e però amanti della natura.

                Giunti alle Querciole, accolti come al solito, con sincerissima allegria (la famiglia si mobilitava per l'occasione), finalmente gli uomini partivano per la caccia, mentre le donne compresa la Rina, rimanevano in casa a preparare il pranzo. Non che la signorina Rina lavorasse effettivamente in cucina o altrove, ma era bene accolta dalla Delia e dall'Assunta, si che mentre queste preparavano di buon grado armanaccando in mille modi, la Rina aristocratica si divertiva a guardare quei lavori manuali, contava e commentava gli ingredienti del sugo delle pastasciutte, quelli del dolce, il tipo di vino, d'olio, le uova, i polli e i conigli..., le quantità varie, le differenze con le dosi abituali della sua donna di servizio...ecc; ma la differenza sostanziale in questo contesto di preparazione del pranzo, era che tutto dai Mercanti si presentava in modo inoppugnabile, come nostrano e prodotto in proprio. E numerose parentesi facevano pertanto quelle donne da un'ora all'altra, tra una preparazione e l'altra, complimentandosi, confidandosi segreti loro, qualcuno sugli uomini di famiglia, qualche altro di quello o quell'altro argomento, anche intimo.

                Quella domenica mattina dunque la squadra dei cacciatori era già sui monti al sorger del sole. E mentre l'alba rischiarava e gli uccelli canterini da tempo sembravano presentirne o sottolinearne l'arrivo, finalmente si sente una canizza: c'èra davvero una bella, pimpante lepre, in arrivo. Ma sorge un problema : infatti  tutti questi cacciatori distinti, s'eran messi di buon grado a far colazione, e la posta dove certamente la lepre sarebbe in breve pervenuta sopravanzando i cani di due e tre chilometri, era troppo lontana per dei venales con un pò di pancia e dai sessanta settanta anni in su .

                Difficilmente dunque la lepre si sarebbe diretta verso quel luogo della colazione, presso l'Albereta. Armando esperto dei luoghi e degli animali, lo sapeva bene. Tuttavia desiderava far divertire ad ogni costo i suoi ospiti, l'ingegnere e il colonnello. Pertanto, ebbe l'idea di suggerire senza imporre : cominciò a dire e ridire che quella lepre sarebbe certamente sbucata al Fosso della Brace, dopo avere passato lo Scopeto e il Campitello della Greppa. E insisteva retoricamente in questa osservazione . Finché l'unico cacciatore senza fucile, il figlio Beppe, provocato nell'ardimento da quei chiarimenti e suggerimenti, giunse a dire : farò io una corsa alla posta del Fosso della Brace. La prenderò io quella lepre! E lesto come un ratto, prese la doppietta dell'ingegnere, che aveva rizzata a un ginepro per concedersi la colazione e le salsicce arrostite, e si dileguò in un batter d'occhio, oltre l'Albereta.

                Pervenuto al fosso della Brace, immobile stava il fanciullo, ritenendo che tra poco un grande e diffidente leprone sarebbe sbucato da quella dritta promettente dal bosco di frassini e quercioli. Ma talvolta, consapevole della illegalità del suo cacciare, girava l'occhio a destra e a manca per scongiurare il pericolo di qualche guardia forestale o venatoria, perché egli minorenne non avrebbe potuto portare il fucile. Onde se sopraggiunto un tal publico ufficiale in grigioverde e coi dorati galloni, il ragazzo sapeva già a puntino cosa fare: avrebbe lanciato il fucile tra i cespugli e se la sarebbe data a gambe come solo lui sapeva fare. Ma nessuna guardia grigioverde si vedeva neo pressi; e anzi per fortuna dell'operazione in atto, nemmeno altri cacciatori incrociarono quel bivio della Brace, quella mattina .

                Pertanto il giovane che col fucile in mano si sentiva quasi un omone impavido, se ne stava in calma attesa come un consumato bracconiere. Finalmente dalla dritta con gran silenzio circospetto, un bel coniglione balzellante, dalle lunghe zampe e dalle orecchie abbondanti e rifinite di nerognolo selvaggio e rigoglioso, veniva dritto dritto, sicuro, verso il fucile spianato nel gran silenzio della domenica campagnola . Andava la lepre sempre più e sempre meglio verso la morte certa, appena fosse giunta a tiro. Ma per la verità, nonostante l'incedere, indovinava quell'animale malcapitato, qualcosa di strano in quel punto, e il suo istinto l'aveva posto quasi in allarme; ma poi rientrato che fosse tale allarme istintivo, il grosso coniglio infine aveva deciso di non cambiar rotta. E più giù tra il bosco e le rogaie molto lontano si sentivano i cani che scanizzavano sulle sue traccie. Però l'orecchiuto quanto più ascoltava quei bau bau in lontananza, tanto più, sentendosi sicuro al riguardo, dopo aver sostato brevemente, si balzellava tuttavia snello e fiero,  incontro alla morte certa.

                Finalmente era ormai a trenta metri, e bu-bum, un enorme doppia schioppettata rintronò contro il petto silente della campagna estiva, mentre la lepre balzò in area e stramazzò poco più in là; ma non era morta annotò subito Beppe; quel fenomeno di coniglio fuggente, avvertito in qualche modo un pericolo maggiore all'ultimo istante, era riuscito a evitare il piombo nei punti vitali, ma non nelle gambe posteriori, le quali erano spezzate entrambe e perciò barcollava la povera bestiola, puntando le ossa rotte sull'erba. Beppe vedendo quello strazio gli dette un'altra schioppettata e chiuse la vita  di quell'animale forte e sano.

                Ma insieme a certo dispiacere per la truculenza e per non avere ucciso subito, risparmiando dolore inutile a quella bestia fiera ma innocente, si diresse a gran corsa verso la comitiva dei colazionanti, vale a dire verso il Fosso dell'Albereta.

                Quando quelli lo videro, s'avviò una gran conversazione:

                il ragazzo ce l'ha fatta! guarda che orecchie! è un leprone a tutti gli effetti. Acchiapparne uno simile non è facile : capita una volta all'anno o mai; guarda che orecchie, che zampe, che colore...; ma dove l'hai trovata? Proprio alla posta che ti ho detto? Scommetto proprio al Fosso della Brace ...  .

                E tutti gli adulti complimentavano il ragazzo e si complimentavano pure a vicenda, contenti d'avere acchiappata una lepre, nonostante che fino ad allora avessero solo passeggiato e persino fatta colazione all'aperto. Avrebbero quindi ben figurato in seguito, di fronte alle donne in casa e di fronte a tutti i cacciatori e i pastori che eventualmente avessero incrociato in quelle contrade, nel percorso di ritorno verso le Querciole.

                Fu dunque tanto il piacere e l'onore che si costruì anche artificialmente per la cattura di quella preda, che finita la colazione, la comitiva decise di dirigersi verso la posta strategica o il cosidetto Fosso della Brace, cioè verso il luogo della gran cattura. E là si diresse anche se, dopo un colpo di grazia del genere, difficilmente qualche altra lepre, avrebbe incrociato quel bivio, e per giunta a quell'ora mattinale così tarda. Ma ormai più che da cacciatori preoccupati d'aumentare il bottino, il gruppo degli amici, perseguiva una specie di turismo venatorio, cioè andavano a vedere quel luogo della cattura, semplicemente perché amavano parlare e riparlare ingenuamente del fatto.

                Giunsero dunque quei prodi al Fosso famoso cianciando amichevolmente come mai, mentre Beppe, riconsegnato all'ingegnere il bellissimo fucile senza cani, stava a disposizione di tutti, entusiasta e felice, come un giovane della campagna di quei tempi. Egli, la sua parte l'aveva fatta; ed era come del resto se l'avessero fatta effettivamente anche gli altri, cioè anche suo padre con l'ingegnere e il colonnello.

                Senonché quella mattina era davvero particolare : la sorte incrociava quella comitiva di cacciatori, e gli offriva un'altra occasione.  Infatti dall'altro versante, a tratti un'altra canea si faceva sentire. Ma un esperto quale Armando, subito indicò la posta dove sarebbe comparsa tra breve, quella lepre seconda. Però, analogamente al primo caso, vi erano cinque sei chilometri di distanza, da percorrere fulmineamente, perché le lepri è risaputo che possono anticipare i cani di chilometri. La distanza, di nuovo era dunque eccessiva per dei veterani sessanta-settantenni, e dopotutto per nulla disposti  a rovinarsi la vita per un coniglioide: anche se a parole essi erano veramente interessati e tutti gli allarmi del loro bagaglio venatorio erano ben attivi (come  attivi erano quelli raffinati e militareschi da esperti d'armi di un tempo, quando erano ventenni), tuttavia s'avvidero ancor meglio in quel giorno, d'esser  cacciatori, e non più come un tempo, soltanto guerrieri capaci di spostamenti lampo per la battaglia.

                Ma non c'èra più da chiacchierare: bisognava agire. Beppe capì che era giunto ancora il suo turno. Soltanto lui poteva farcela. Egli quella mattina era diventato una specie di attendente che faceva servizio per una insolita pattuglia d'amici e notabili. Disse dunque: Vado io a vedere. Prenderò su per la scorciatoia! Agguantò la doppietta del padre, alzò i cani (perché era del tipo più antico, cioè coi cani) e si mise a correre su per il viottolo, finché il cuore gli giunse in gola. Ma non rallentò più di tanto: la prospettiva di fare il bis, dopo tutti quegli elogi, il fatto di poter dire d'aver preso due lepri in una sola mattinata e per giunta proprio lui che non aveva fucile essendo minorenne, lo affascinava; e lo spingeva a correre.

                Finalmente pervenne in cima all'altipiano, tappezzato di ginepri verdi e falasca abbondante. Spaziava Beppe con l'occhio per vedere se la comare leprona sgreppasse a suo modo da qualche parte; ma faceva attenzione a non muoversi più di tanto dal suo punto di vista, altrimenti quella l'avrebbe certamente individuato, e perciò l'avrebbe, per così dire, salutato beffardamente per sempre: infatti niente, nemmeno un'aquila, può catturare una lepre che va a tutta birra tra i ginepri in quei greppi valtiberini. L'unica speranza di colpirla, era dunque di attendere e vedere dove si dirigeva, dopo di che, bisognava fare qualche tentativo di accostarsi sottogreppo, se avesse preso direzioni contrarie alla posizione di Beppe.

                Attendeva il ragazzo, mentre volavano i merli e i passeri dalle fratte e le allodole dai covi oltre i ginepri; ma tutto il panorama, per così dire, tutta la parola unica della natura, era calma e mirabile in quell'ora; e anche la pastorella detta Milena, vigilava sul suo gregge in gran silenzio a qualche chilometro più giù, ignara di tutto. Ma a un tratto il leprone comparve all'improvviso zigzagando elegante e leggiero da un ginepro all'altro e andava proprio nella direzione opposta a Beppe. Questi avvistatolo, si mosse lesto cercando di guadagnare il Poggio cento metri più a monte. Ci riuscì, e rapidamente tuonò potentissima la fucilata.

                Andò dunque a raccogliere il gran coniglio, circondato dal silenzio assoluto che segue in quei monti al tuono del fucile, e che ha sapore di morte: era riuscito nell'impresa! Due lepri in una sola mattina, pur non avendo un suo fucile e una sua patente. Venne dunque a vedere la signora Milena, che disse : Mamma mia, che bravo ! Ormai sei diventato un uomo, riesci a maneggiare il fucile e a catturare una lepre, anzi due . Il giovane provava avido piacere per questi complimenti e spiegava più o meno l'accaduto, anche con buona educazione e pazienza. Tuttavia non vedeva l'ora di tornarsene da suo padre e dall'ingegnere e il colonnello : loro erano il vero punto di riferimento, la vera soddisfazione, il divertimento, la compagnia, l'allegria che procedeva dalla confidenza di famiglia ma anche da un profondo amore alla natura, prima ancora, stranamente, che della caccia medesima.

                Quando lo videro arrivare con la lepre in mano e ciondoloni, non credettero quasi ai loro occhi; si fecero raccontare per filo e per segno l'accaduto; e con lentezza, tacitamente, si diressero tutti insieme verso casa. Intanto i cani erano tornati dai loro padroni, e molto complimentati per il loro leale servizio di scovatori di lepri, avvertivano quelle bestie di essere davvero benvolute, e perciò scorrazzavano allegre intorno, saltarellando dalla strada nelle rogaie vicine e viceversa. Anche i cani sentivano insomma l'area di festa, e vi partecipavano a loro modo, cioè venendo ogni tanto e sempre più spesso a soppesare l'umore dei loro padroni a mano a mano che ci si avvicinava alle abitazioni delle Querciole.

                Giunti a casa poi, non vi dico la meraviglia della signorina Rina, coadiuvata dalla Delia e Assunta. Esse pensavano a una semplice scampagnata, con la scusa della caccia. E invece quegli stinchi di santo, quei veterani coadiuvati da un adolescente, avevano rimediato in una sola mattina, nientepocodimeno che due lepri: e che lepri, almeno di quattro chili ciascuna, si diceva con bilanciera alla mano. E che bravo Beppe, che quella selvaggina aveva rimediato unendosi e ubbidendo al gruppo, proprio come un uomo adulto, sebbene adulto ancora non fosse. Ma questa sua straordinaria prestazione certamente, diceva la nonna, prometteva un futuro e straordinario cacciatore, un vero Mercanti, secondo la tradizione, da generazioni immemori.

                Bisognava dunque pulire e togliere il selvatico a quella carne di lepre; ma in che modo se ancora non era usato il frigorifero? C'èra un fosso di acqua limpida e sana vicino alle Querciole; e all'acqua corrente per vari giorni le carni avvrebbero perduto il cattivo odore. Divenute dunque più frolle o tenere, ci si faceva il sugo della pastasciutta e l'arrosto ordinario con tanto di salvia e buon rosmarino.

 

FINE

 

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