5. LETTERA A MISSERE FRANCESCO DI MONTE ALCINO, DOTTORE IN LEGE CIVILE

(Santa Caterina da Siena : Siena 1347- Roma 1380)

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Riassunto : scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato nella vera e santa pazienzia .  Che in altro none sta la pena nostra se non in volere quello che non si può avere. Se la volontà ama onore, ricchezze, delizie e stati, o sanità di corpo, se le vuole e desidera con disordinato affetto (Concupiscienza), ed egli no le può avere - ma spesse volte perde di quelle ch'egli à -, à pena grandissima perché s'ama troppo disordinatamente. Sì che la volontà è quella che lo' dà pena; ma tolletemi via la volontà propria e sarà tolta ogni pena. In sostanza Francesco da Monte Alcino è invitato a essere meno concupisciente .

 

 

TESTO

 

 

                 Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

 

                Dilettissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato nella vera e santa pazienzia, considerando me che senza la pazienzia non potremo piacere a Dio, anco gustaremo l'arra dell'inferno in questa vita.

 

                Oh quanto sarebbe semplice l'uomo che voglia gustare lo 'nferno, colà dove può avere vita etterna! Che se io considero bene, in vita etterna non è altro che una volontà pacifica, acordata e sottoposta alla volontà dolce di Dio - ché non possono desiderare né volere se non che quello che esso Dio vuole -: e ogni diletto che ànno i veri gustatori è fondato sopra questa volontà pacifica. Così per lo contrario coloro che sono ne l'inferno gli arde e gli consuma la mala volontà perversa, nella quale volontà ricevono crudeli tormenti con impazienzia odio e rancore: con essi si rodono e si contristano.

 

                E di questo tutto sì fa degno la ignoranzia e cechità de l'uomo; ché se fusse stato savio in questa vita, mentre che egli era nel tempo della grazia - cioè che era atto a ricevere la grazia -, se egli avesse voluto avarebbe schifata questa cechità e ignoranzia.

 

                O fratello carissimo, accordatevi co' veri gustatori, che in questa vita cominciano a gustare Dio facendo una volontà con lui; però che in altro none sta la pena nostra se non in volere quello che non si può avere. Se la volontà ama onore, ricchezze, delizie e stati, o sanità di corpo, se le vuole e desidera con disordinato affetto, ed egli no le può avere - ma spesse volte perde di quelle ch'egli à -, à pena grandissima perché s'ama troppo disordinatamente. Sì che la volontà è quella che lo' dà pena; ma tolletemi via la volontà propria e sarà tolta ogni pena.

 

                In che modo ce la potremmo tòllere? Che noi ci spogliamo di questo uomo vecchio di noi medesimi, e vestianci de l'uomo nuovo, dell'eterna volontà del Verbo Dio e uomo. E se voi cercarete che vuole questa dolce volontà dimandatene Pavolo, che dice che non vuole altro che la nostra santificazione.

 

                E ciò che egli ci dà o permette a noi, o pena o infermità, per qualunque modo elle si sono, egli le dà e permette con grande misterio per nostra santificazione e necessità della salute nostra. Adunque non doviamo essere impazienti di quello che è nostro bene, ma con uno santo ringraziamento, reputandoci indegni di tanta grazia quanta è a sostenere pena per Cristo crocifisso: cioè reputarci indegni del frutto che seguita doppo la fadiga; faccendoci degni della fatica per dispiacimento e odio di noi medesimi, e di questa parte sensitiva che à ribellato e offeso al suo Creatore.

 

                E se noi dicessimo: «Questa sensualità non pare che si voglia acordare a portarle», poniamole il freno con una santa e dolce memoria di Cristo crocifisso, lusingandola e minacciandola dicendo: «Porta oggi, anima mia. Forse che domane sarà termenata la vita tua: pensa che tu debbi morire e non sai quando». E se noi raguardiamo bene, tanta è grande fadiga quanto è il tempo; e il tempo de l'uomo è quanto una ponta d'aco, e più no. Adunque come diremo che veruna fadiga sia grande? Non è da dirlo: che ella non è.

E se questa passione sensitiva volesse pure alzare il capo, mettialle il timore e l'amore adosso, dicendole: «Guarda che 'l frutto della impazienzia è la pena etternale; e nell'ultimo dì, del giudicio, sosterrai pena con meco insieme.

Meglio t'è dunque a volere quello che Dio vuole, amando quello che egli ama, che a volere quello che tu vuogli tu, amando te medesimo d'amore sensitivo.

 

                Virilmente io voglio che tu porti, pensando che non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che Dio à apparechiata a coloro che  'l temeno, e che si vestono della dolce volontà sua» {Rm8/18}.

 

                Poi pensate, dolce fratello e padre, che quando l'anima s'à tenuto così bene ragione, ed ella apre l'occhio del cognoscimento e vede sé non essere - perché ogni essere che à procede da Dio -, pruova la sua inestimabile carità: ché per amore, e non per debito, l'à creata a la imagine e similitudine sua, perché ella goda e participi la somma ed etterna bellezza di Dio, che per altra fine non l'à creata. Questo ci mostrò la dolce prima Verità - che egli non creò l'uomo per altro fine -, quando in sul legno della santissima croce, per renderci questo fine il quale avevamo perduto, svenò e aperse il corpo suo, che da ogni parte versa abondanzia di sangue con tanto fuoco d'amore, che ogni durezza di cuore si dovarebbe dissolvere, ogni impazienzia levare e venire a perfetta pazienzia.

 

                Non è veruna cosa sì amara che nel sangue dell'Agnello non diventi dolce, né sì grande peso che non diventi leggiero. Or non dormiamo più, ma questo punto del tempo che ci è rimaso corritelo virilmente, attaccandovi al

gonfalone della santissima croce con bona e santa pazienzia, pensando che 'l tempo è poco, e la fadiga è quasi non cavelle, e il prezzo e 'l frutto è grande. Non voglio che schifiate il grande bene per piccola fadiga: ché per dolersi e lagnarsi non si solèvano le fadighe, anco si radoppia fadiga sopra fadiga, perché io pongo la volontà in volere quello che io non posso avere.

 

                Vestitevi, vestitevi di Cristo dolce Gesù, che è sì forte vestimento che né dimonia né creatura vel può tòllere, se voi non volete. Egli è somma etterna dolcezza che dissolve ogni amaritudine; in lui si gusta ogni dolcezza; in lui s'ingrassa e sazia l'anima per sì_fatto modo che ogni cosa fuore di Dio reputa sterco e loto: dilettasi degli obbrobrii, degli strazii e villanie, e non vuole altro che conformarsi con Cristo crocifisso. Ine à posto l'affetto e ogni sua sollicitudine; e tanto gode quanto si vede in pene, però che vede

che quella è la via dritta: verun'altra è che 'l faccia tanto conformare con Cristo crocifisso quanto la via delle dolci pene.

 

                Voglio che mi siate uno cavaliere virile che per Cristo crocifisso none schifiate il colpo della infermità.

Pensate quanta è la grazia divina, che nel tempo della infermità pone freno a molti vizii e difetti e' quali si comettarebbero avendo la sanità; e scontia e purga i peccati commessi, e' quali meritano pena infinita: e Dio per la sua misericordia gli punisce con pena finita. Orsù, virilmente per l'amore di Cristo crocifisso: conficcatevi in croce con Cristo crocifisso, dilettatevi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

 

                Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

 

 

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