(Da : Vincenzo Gioberti , Del rinnovamento civile d' Italia (pp. scelte con introduzione e note di Giuseppe Saitta) , Firenze , Barbera 1925 , pp. 241-45).
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Vincenzo
Gioberti: scrisse: Del Rinnovamento Civile d' Italia , nell'anno 1851 ,cioè un solo anno, prima della morte. |
Vincenzo
Gioberti: (Torino 1801-Parigi 1852). |
Introduzione .
La nostra epoca fa la propaganda al dover leggere , perché l'editoria è considerata ed è , una industria tra le diverse e necessarie ; pertanto , questa industria , ha le sue esigenze di mercato , e calcola insieme al suo apparato , che più si legge, più si vende e si guadagna .
All' uopo si rinverdisce spesso il consiglio , additando paesi ritenuti "più avanzati" dell' Italia , i quali si dice , " leggono di più" : pertanto gli Italiani dovrebbero sentirsi motivati a copiare i "più progrediti" , comprando più giornali , libri ...ecc . .
Ma si tratta di una lezione da mercanti in fiera : la realtà è sostanzialmente diversa: non conta quanti libri si leggono , ma quali libri ; non conta studiare di brutto un gran numero di scrittori , ma conta soffermarsi al meglio sui migliori o sui più grandi (sebbene sia utile la conoscenza dei minori , come parte della storia letteraria) ; non conta leggere e basta , ma è vitale , legger bene , cioè meditare e capire almeno l' essenziale di ciò che si legge . Infatti , il vero scrittore come il vero cittadino (dal Gioberti avvicinati , perché se lo stile fa l' uomo , lo stile e la lingua fanno anche il cittadino) , son simili in questo : sanno scegliere cosa leggere e sanno capire cosa leggono; è dunque naturale , che sappiano anche scrivere , all' occorrenza .
Ebbene al di là della teoria idealista , e della tradizione classica , dal cuore delle quali s' impernia il discorso giobertiano sottoseguente , il grande filosofo e autentico italiano che invero nella circostanza come in generale , non si fa mai suggestionare dalle apparenze della esterofilia, ci ricorda alla fine del suo discorso , la suddetta verità fondamentale:
che il saper scrivere presuppone il saper leggere , secondo la qualità e non tanto la quantità dell' una e dell' altra operazione ; pertanto (aggiungiamo noi) bisogna evitare una nuova forma d' ignoranza , che è alla porta e vi ha già un principio inoltrato nel nostro mondo : cioè il parlare , leggere e guardare tanto , scrivere poco o tanto , rimanendo però ogni volta, più vuoti di prima , sia come scrittori , che come lettori , che come ascoltatori .
Da oggi , occorre dunque , porre occhio e mente a leggere e scrivere , badando alla qualità dentro e al di là del mercato , nonché alla verità dentro e al di là delle apparenze , alla bellezza sopra e sotto la pelle dell' apparenza .
Quanto alle affermazioni giobertiane puramente estetiche definenti lo Stile , suggerirei di tener presente ciò che a mio avviso è la Regola d' oro con la quale devesi leggere e valutare qualsiasi discorso d' estetica in ogni campo dell' arte :
ogni Buono e Bello Stile , è sempre un equilibrio riuscito in qualche misura (massima o minima che possa essere), tra il contenuto e la forma ; e il fatto che alcuni privilegino talvolta l' uno o l'altro aspetto , cioè talvolta il contenuto (il Gioberti dice : "L' Idea") talaltra la forma (Il Gioberti dice : "La Parola" ) , dipende non solo dalle opinioni e dalla soggettività o gusto dei filosofi , artisti, critici , o del publico ; ma a mio avviso, anche dalla potenziale e cronica fallacia del giudizio che riguarda l'arte e i suoi prodotti 1) , in quanto , essendo questi prodotti espressione sostanziale e armonica dell' essere particolare e universale , spesso sono giudicati e compresi parzialmente , cioè solo in qualche aspetto dell' Essere che li qualifica , ma non nella sostanza di tutto l' Essere medesimo che li ispirò , oggettivò , e facendoli sopravvivere tuttoggi , per così dire , si è infine seduto in trono in questi medesimi prodotti , e nel cuore di essi come di ogni singola Opera d'arte , vi dimora da signore , tenendo vivo lo scettro della vita loro o dell' Opera d' arte stessa , e vi dimora nobilmente , cioè oltre a far vivere tutti quanti (prodotti o opere) come ordetto , rendendoli tutti quanti, pure utili ai vivi. In questo senso comprendere un' opera d'arte , o l'arte anche a cominciare dallo stile , significa non solo presentarsi davanti al trono dell' Essere oggettivato , e venir per così dire , ricevuti dal Re ; ma più propriamente significa dialogare col Re medesimo .
TESTO .
A parlare propriamente, non è scrittore chi non ha stile; nè può dirsi che abbia stile chi è disadorno e irsuto di eloquio, o di concetto volgare; istrice o pappagallo. Lo stile è 1 'unione delle due cose, cioè idea e parola insieme; la quale unione non è semplice aggregato, ma legatura, compenetrazione intima, e come dire ipostasi 2) indivisa del concetto e del suo idolo o segno; e però è capace di bellezza, atteso che il bello è 1 'accoppiamento del sensibile coll' intelligibile 3) . Lo stile è il corpo delle idee e quasi il rilievo per cui spiccano e risaltano dal fondo del pensiero e del sentimento ; onde Gasparo Gozzi dice che gli antichi « proferirono i loro pensieri con un certo garbo, che non solamente si leggono, ma si può dire che si veggano con gli occhi del capo; tanto corpo hanno dato a quelli con le parole » 4) . Perciò laddove nei buoni scrittori moderni prevale il genio della pittura, negli ottimi antichi si ravvisa il fare scultorio ; non vedendosi soltanto le idee loro, ma quasi toccandosi con mano. Chè se al giudizio di Antonio Cesari le parole sono cose 5) , non è men vero che le cose sono parole; quanto l'idea male espressa sussiste solo virtualmente e non è, per così dire, che la metà di se stessa . Lo stile insomma è l'atto e il compimento del concetto, perchè gli dà tutto il suo essere e lo incarna perfettamente colla parola; trasferendolo dalla potenza iniziale dell'intuito e del senso confuso nel giro attuale e maturo della riflessione.
Il divorzio del pensiero e della loquela era quasi ignoto agli antichi, che da Omero 6) a Cicerone mostrarono coi precetti e sull' esempio, di credere che il senno e l' elocuzione importino egualmente. Ma nei popoli d 'oggi e specialmente nella nostra Italia le due cose di rado camminano di conserva; e la letteratura testè si partiva nelle due scuole sofistiche dei puristi e degli ostrogoti 7). Chè se altri si meravigliasse che io ricordi queste cose e parli di lingua in un 'opera di politica, egli raffermerebbe la mia sentenza provando col suo stupore come oggi sia perduta ogni notizia delle congiunture intime e innumerabili che legano il pensiero e la civiltà dei popoli col loro sermone. Lo stile dice Giorgio Buffon 8) è 1 'uomo: lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. La lingua e la nazionalità procedono di pari passo, perchè quella è uno dei principii fattivi e dei caratteri principali di questa , anzi il più intimo e fondamentale di tutti , come il più spirituale ; quando la consanguineità e la coabitanza poco servirebbero a unire intrinsecamente i popoli unigeneri e compaesani senza il vincolo morale della comune favella. E però il Giordani insegna che « la vita interiore e la pubblica di un popolo, si sentono nella sua lingua » 9) , la quale è « 1 'effigie vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia de' costumi di qualunque nazione, e quasi un amplissimo specchio, in cui mira ciascuno l'immagine della mente di tutti e tutti di ciascuno » 10) . E il Leopardi non dubitò di affermare che « la lingua e 1 ' uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa »11). Ed è ragione; perocchè la nazionalità è il pensiero e la coscienza dei popoli ; e quello non può significarsi agli altri, nè questa conversar seco stessa, senza l'aiuto della favella. Per la qual cosa il senso che ha un popolo del suo essere individuato come nazione, e il bisogno di autonomia politica importano e presuppongono necessariamente il senso e il bisogno dell'autonomia letteraria e l' aborrimento di ogni vassallaggio così nel pensare, come nel parlare e nello scrivere. E si vede per esperienza che 1 'amore e lo studio della patria suol essere proporzionato a quello della propria lingua e delle lettere patrie; e che chi ama i barbarismi nel discorso non li fugge nella politica. Gli antichi tenevano il parlare barbaro per cosa servile, e Cicerone considera il favellar puramente come un uso richiesto alla dignità romana e prescritto al buon cittadino 12) .
Ora il vero si è, che non solo oggi è perduto in Italia il vero modo di scrivere, ma eziandio quello di leggere. E perciocchè mancano i buoni lettori, però difettano i buoni scrittori ; quando le due cose sono correlative e la lettura ben fatta è la cote a cui si lima il gusto, si affinano il giudizio, si aguzza l'ingegno, e donde rampolla il maggior capo delle dottrine . Ma la lezione non giova se non è attenta ; e quindi se non è iterata; perchè al primo non si può badare a ogni cosa, nè imprimerla nell'animo per guisa che se ne abbia il possesso e se ne faccia la pratica. Il che io dico, non solo per ciò che tocca la lingua e lo stile, ma eziandio per quanto riguarda le idee e le cose ; giacchè una storia, una dottrina, un sistema non si capisce bene, se non quando è meditato e per così dire ricercato a falda a falda , e le varie parti se ne riscontrano col tutto e scambievolmente. La prima lettura di un libro anche ottimo può partorire un momentaneo piacere, ma per ogni altro rispetto è quasi inutile. Il che è una delle cagioni, per cui poco approdano i giornali e gli opuscoletti, come quelli che non si rileggono. Anche il diletto suol essere minore ; imperocchè le prime letture solendosi far di corsa (e tanto più velocemente quanto è maggior l'attrattivo e l'impazienza di conoscere tutta l'opera), non ti permettono di cogliere una folla di particolari, di avvertir molti pregi dello scrittore, di gustare quelle bellezze che sono tanto più squisite quanto meno apparenti, di penetrare i concetti più profondi e reconditi; il che torna a pregiudizio del piacere non meno che del profitto . Chi legge un libro per la prima volta non può nè osservarne le minute parti, nè abbracciarne il complesso; il che torna a dire che non può far bene le due operazioni dell' analisi e della sintesi, che pur son necessarie a ben apprendere i lavori dottrinali e quelli che sono indirizzati a muovere l'immaginativa o che risplendono per la maestria dell' elocuzione. Si suoI dire volgarmente che bisogna guardarsi dagli uomini di un solo libro; chè sebbene un campo troppo angusto di lettura possa pregiudicare alla pellegrinità e avere altri inconvenienti, tuttavia l' eccedere men nuoce nel concentrarsi che nel dispergersi ; perchè dove quello rinforza e acuisce le facoltà intellettive, questo le debilita, inducendo abito di leggerezza. E se la scelta è ottima , pochi libri ben letti e masticati suppliscono a molti, cosi rispetto alle cognizioni razionali, come per ciò che riguarda lo stile e le facoltà delle lingue: giacchè trattandosi di ragione e di bellezza, ogni parte in certo modo è nel tutto e il tutto in ogni parte; atteso le relazioni che legano insieme tutto il naturale umano e tutto lo scibile.
Ma ciò è penoso e difficile, dirà taluno ; specialmente a noi moderni che siamo più svogliati e meno pazienti (nel leggere) degli antichi. No1 nego. Anzi aggiungo che la lettura, come mille altre cose, non è utile, se è troppo alla mano; essendo una legge universale del mondo, che ogni pregio, ogni acquisto, ogni giocondità durevole sia opera di travaglio. Legger bene e studiare è fatica, perchè è una spezie di pugna, dovendo tu spesso combattere col testo, colla lingua, coi pensieri altrui per addentrarti in essi ed appropriarteli ; ma questa fatica è sommamente fruttifera, perchè dall' arrotamento e dal cozzo del tuo spirito colle parole e i concetti di un ottimo autore viene aiutata ed avvalorata la virtù creativa e ideale ; la quale somiglia all' estro guerriero degli antichi Romani, che agitati dalle arme sempre si accendevano 13) . L'orare, dicono gli spirituali, non fa pro senza il meditare. Il simile interviene alla lezione; la quale non vuol essere passiva solamente, ma attiva, nè consiste nell' inghiottire ad un tratto, ma nel rimasticare e rugumare il cibo . Perciò lo studio somiglia alla virtù morale, che é opera di uno sforzo; onde anch' esso è virtù e consiste in un' assidua tensione dell' animo e dello spirito. Le forze della mente come i muscoli del corpo, vigoriscono per l'esercizio.
Vai in fondo NOTE Torna su
1: giudizio purtuttavia sommamente necessario, non potendosene fare a meno per la generale comprensione dell'arte , e per la scienza detta "storiografia dell' arte" .
2: Vale sostanza. .
3 : Del bello, cap. I e 6 (n. d. G.).
4 : Opere, t. XIII, p. 127-128 (n. d. G.).
5 : Antidoto, Parma, 1839, p. 142 (n. d. G.).
6: Nell' Odissea i collocutori del protagonista lodano spesso l' aggiustatezza e la leggiadria del suo parlare (n.d.G.) .
7 : Puristi si dissero quegli scrittori che volevano ricondurre la lingua italiana allo stile aureo del Trecento e del Cinquecento . Notevole fra essi Antonio Cesari (1760-1828). Ostrogoti , invece , si chiamarono quegli altri , come i romantici , che propugnavano l'abbandono di ogni regola fissa nella lingua , che quindi , veniva considerata come in continua formazione .
8 : Giorgio Luigi Leclerc , conte di Buffon (1707-1788) , fu un grande naturalista . Molto successo ebbero le sue opere , fra cui la Theorie de la terre e Epoques de la nature . Qui è ricordato dal G. per il famoso Discours sur le style , in cui si cerca appunto di dimostrare che le style est l' homme même .
9 : Opere , t. I , p. 549 (n. d. G.) .
10 : Ibid . , p. 531 , 532 (n.d. G.) .
11 : Epistolario , t. I , p. 229 (n. d. G. ) .
12 : De orat. , III, 14 ; Brut. , 37 , 75 (n. d. G. ) .
13 : Macchiavelli , Disc. , III, 36 (n. d. G. ) .