a Premessa
Nella storia del popolo italiano, ancor più che in quella di tutti i popoli e del mondo stesso, ci sono dei fatti che abbisognano di spiegazione; di tali eventi che li riguardano, gli Italiani non sanno bene la sostanza del discorso : essi annotano che c’è chi dice in un modo, chi in un altro; ma non si sa come stiano davvero le cose. Onde siccome la vita è breve e va di moda condire (cioè coprire tutto o molto) col fumo del vuoto, il baccano dell’anfanare, ben si può dire che gli Italiani odierni (analogamente a molti altri popoli; ma più degli stessi) non si sono tuttoggi riconciliati col passato che li riguarda. Sopravvive insomma una indeterminatezza, una spaccatura, una oscurità da chiarire per riappropriarsi del vero che fu, e in un certo senso, che continua a essere.
La nostra storia infatti, perché umana, ma anche perché italiana, è piena di conflitti da risolvere:
per esempio, avendo la Chiesa in casa, lo Stato italiano deve perennemente farci i conti, più di quanto avvenga per il resto del mondo; dopo l’unità d’Italia del periodo augusteo, noi come popolo, abbiamo impiegato XVIII-XIX secoli, prima di riacquistare l’unità politica nel 1861. Onde in questo periodo di diaspora politica, mancando lo Stato Unitario, è stata la Chiesa il principale fondamento dell’Unità culturale d’Italia; e credo che si possa dire, che è anche stata il principale fondamento dell’unità politica, se si considera che la stessa Chiesa dette un fondamento di fede e costume a tutta l’Italia in armonia (e non in opposizione) col resto d’Europa e del Mondo. Ma quando questa unità è finalmente venuta, si decise, ahimè, di rubare Roma al Papa costringendolo all’esilio, in ciò che diverrà lo Stato del Vaticano. Nessuno riuscì comunque a pensare allora come oggi, un Papa libero italiano in uno Stato italiano libero, unito e democratico.
E anche tuttoggi, se sono molti quelli che dicon credere nella democrazia, appena il Papa dice quello che non fa comodo ad alcuni, questi calpestando le regole democratiche e sposando del pari le bellicose (che mai hanno davvero rinnegato, anche quando dicono d’esser democratici), pretendono intollerantemente di metterlo a tacere. E mentre il povero Papa predica (con l’aiuto tradizionale della Francia), il sano laicismo nel tentativo sincero di ravvedere, essi sbandierano al contrario il bellicosismo culturale nel tentativo altrettanto sincero di colpire senza fondamento, cioè di imbrogliare la realtà delle cose.
Per esempio, il risorgimento che porta all’Unità politica della nazione, è considerato dai più un periodo costruttivo e benefico; tuttavia Garibaldi e i Savoia, Cavour come Mazzini, l’intero sistema associazionistico di liberazione, hanno in effetti alcuni lati oscuri da chiarire: Garibaldi è anche massone e miscredente; tutti i liberatori cosidetti, sono al contempo, sebbene per un fine giusto di autonomia nazionale, anche usurpatori del potere altrui. E ciò non perché non fosse giusto cacciare gli stranieri, ma perché l’unica strada seguita per cacciarli, è dogmaticamente la violenza armata; manca ogni altra fantasia e alternativa, come per esempio, la rivoluzione culturale, la mobilitazione popolare nonviolenta, il coinvolgimento di ogni classe (proletariato e contadini e clero compresi). Contro la barbarie dello straniero non c’è che l’onore delle armi; manca o è scarso l’onore della nonviolenza popolare e della religione e della cultura che creano coscienza. Ma la religione essendo il principio primo della stessa cultura, ancor più della sola cultura, poteva creare coscienza. Si accusa il Papa di non servire abbastanza la causa dell’Unità italiana, ma al contempo gli si chiede di accondiscendere alla violenza contro dei cristiani e anzi dei cattolici; cioè gli si chiede di venir meno a un preciso precetto del Cristo, che volle il Papa capo di tutti, e non solo degl’Italiani.
Contro questo tipo di contraddizioni, manca in definitiva l’apporto dei più. Onde l’unità nazionale è piuttosto l’opera di una minoranza guerriera a fronte di una maggioranza assente e troppo priva di idee e proposte, piuttosto priva di coscienza nazionale.
Per esempio la vicenda del fascismo. Esso per alcuni aspetti non è che la continuazione del medesimo risorgimento. Col fascismo trionfa l’idea risorgimentale antiecclesiale, onde persino la ripresa degli antichi valori di Roma pagana serve a fermentare un fondo anticristiano, un istinto alla violenza espansionistica e imperiale, che culminerà con le leggi razziali e l’entrata in guerra a favore dell’Asse Roma-Berlino-Tokio . In un certo senso, si può dire, che il Risorgimento che forgiò l’unità politica della nazione, col fascismo, degenerando, finì per minacciare seriamente la stessa unità : infatti persa la guerra, i vincitori non potevano non pensare a spartirsi l’Italia. E se poi la spartizione non è avvenuta che in minima parte (Istria, Dalmazia ….Colonie), ciò non è per le intenzioni felici del fascismo, ma piuttosto per volere della Provvidenza e insieme Lungimiranza dei vincitori.
E si potrebbe continuare nell’enumerare esempi.
b
Don Milani
Ma veniamo all’argomento che ci interessa in questa sede contestuale, che vede la storia italiana piuttosto come un insieme di conflitti o contrasti, a volte difficilmente sanabili, spesso frenanti la chiarezza intelligibile e perciò l’unità spirituale o nazionale, effettiva .
L’argomento è dunque la vicenda o l’opera educativa di Don Lorenzo Milani (1923-1967), priore di Barbiana, nel Mugello.
Questa vicenda appartiene alla serie dei conflitti insanabili o irrisolti della storia italiana, perché alcuni comprendono l’azione del prete detto Don Lorenzo come classista, cioè di matrice sinistrorsa o comunista contro la meritocrazia della scuola capitalistica o tradizionale. Altri invece lo considerano o rischiano considerarlo come un ecclesiastico deviato o sospettato di devianza evangelica, per assestarsi infine nell’area politica di sinistra che poco o niente ha a che fare con la fede cattolica.
Don Milani però non è né l’una né l’altra cosa. Ma il difensore dei poveri contro le ingiustizie della scuola falsamente meritocratica. In questo senso il priore è semplicemente un cristiano che si preoccupa di scegliere la giustizia effettiva come presupposto della necessaria collaborazione sociale (della quale nessun popolo può farne a meno) tra ricchi e poveri, tra classi varie. Infatti Lorenzo non è contro la Scuola meritocratica, bensì contro la scuola allora dominante e borghese, falsamente meritocratica. Le sue requisitorie contro la scuola dei ricchi o la scuola falsamente meritocratica che si leggono qua e là in Lettera a una Professoressa 1) , è vero che non affermano, ma nemmeno negano la meritocrazia fondamento dell’apprendimento individuale e collettivo, anche nel lavoro di gruppo e nella scelta del tempo pieno, quale importante presupposto formativo; invece negano decisamente la sufficiente veridicità della meritocrazia ufficiale del dopoguerra, che da un lato non dà a tutti le stesse possibilità di istruirsi misconoscendo con ciò la stessa neocostituzione della Repubblica, e dall’altro usa queste ingiuste premesse per costruire e reiterare le discriminazioni sociali.
Perciò, ad es., Don Milani accusa l’indifferenza e la mancanza di solidarietà da parte delle classi più benestanti rispetto alle meno :
In conclusione la mamma di Pierino (cioè dei figli dei ricchi o di papà) non
è né belva né innocente. Ma sommando migliaia di piccoli egoismi come il suo (onde
pensa all’istruzione del suo Pierino ma mai ai figli dei poveri) si
fa l’egoismo grande di una classe che vuol per sé la parte del leone. Una
classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la
disoccupazione. Se occorresse “cambiare tutto perché non cambi nulla” non
esiterà a abbracciare il comunismo. Il meccanismo preciso non lo sa
nessuno. Ma quando ogni legge sembra tagliata su misura perché giovi a Pierino
e freghi noi (figli dei poveri e poveri) non si può più credere nel
caso. (pp 74-75)
Richiama la Costituzione della Repubblica :
E’ esattamente quello che dice la Costituzione quando parla di Gianni : “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di razza, lingua, condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (Art 3) . (pp. 61-62) .
Accusa la mancanza di premura dei docenti :
Se ognuno di voi (maestri e professori di scuola) sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni (il figlio dei poveri che va male a scuola). Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo eguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte col pensiero fisso su lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa se non torna (p. 82) .
In conclusione considerare l’opera di Don Milani come delegittimante la meritocrazia base della scuola tradizionale, sarebbe un eccesso, cioè un errore. D’altro canto assolutizzare la stessa opera del prete del Mugello, per creare ipoteticamente una scuola nazionale preoccupata solo di aiutare i figli dei poveri, e trascurante i figli dei ricchi, o comunque i migliori in eventuali capacità naturali (che possono essere figli di ricchi come di poveri), è scontato che sarebbe un altro errore, cioè un altro pregiudizio che si ritorcerebbe contro il bene della società e specie di quella più povera, perché vedrebbe negata la realizzazione dell’Art 4 della Costituzione 2). Perciò deve concludersi che la Scuola pubblica, dovrà servirsi della lezione da Don Milani, per seguire con maggior consapevolezza la via obbligata, che chiameremo, La via del giusto mezzo: cioè la scuola deve essere meritocratica e insieme deve essere popolare, vale a dire, capace di promuovere la formazione vera di tutte le classi sociali, dando a tutti le stesse possibilità, secondo lo Spirito della Costituzione della Repubblica, alla quale si rifà giustamente, lo stesso Don Milani.
D’altro canto così facendo, cioè seguendo la via del giusto mezzo, si copia lo stesso Creatore nel governare l’intelligenza degli uomini , onde a ben guardare, Dio elargisce uguaglianza fondamentale delle capacità, insieme a talenti straordinari; pertanto si vede che tutti gli uomini non solo hanno una uguale dignità (Figli dello stesso Padre) ma col presupposto della salute, hanno anche una uguale intelligenza di fondo, sebbene ci siano in questo contesto, capacità e carismi straordinari in quello o quell’altro settore della scienza o della vita, pure questi necessari per migliorare sia la scienza che la stessa qualità di vita .
Orlando Metozzi
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1 : Priore, Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1971, pp.1-166 .
2 : Costituzione della
Repubblica Italiana, Art 4 : ….Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società.
FINE
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