ELOGIO DEGLI UCCELLI

( Da:  G. Leopardi, Operette morali , Elogio degli uccelli , in : Tutte le Opere , vol. I° , Firenze, Sansoni 1993; p. 152-55 )

22-4-06

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Riassunto  Introduzione

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Riassunto e Introduzione

                Riassunto : Gli uccelli sono naturalmente le più liete creature del mondo , hanno disposizione speciale a provare godimento e gioia e forse per questo la natura gli ha assegnato sia il canto che il volo, onde confortassero l'uomo ( Veramente molto conforto e diletto ci porge .. l'udire il canto degli  uccelli ) . D'altronde gli uccelli dimostrano due analogie importanti con l'uomo , oltre a quella generale dell'allegrezza , e cioè una analogia col privilegio che ha l'uomo di ridere, e di ridere publicamente, e un'altra analogia è col fanciullo, in quanto a vispezza e mobilità : infatti, siccome l'uccello non stà mai in uno stesso luogo, e sempre si muove vispo, non soffre la noia; e anche per questo è superiore agli altri animali, ma è superiore anche perché ha più vista e udito di essi e resiste inoltre ai repentini sbalzi di temperatura, come si vede nella rapidità dei movimenti e delle migrazioni . Perciò Giacomo vorrebbe almeno per un attimo essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia , tipica della vita degli uccelli .

                Introduzione : Leopardi nell'elogiare gli uccelli , è costretto ad annotarne la speciale allegrezza, e per così dire, lo speciale servizio che arrecano agli uomini, col loro cantare e volare . In tal caso, di fronte a questa intensissima nota bucolica della natura, il tradizionale e pestifero pessimismo leopardiano , è costretto ad arretrare e a ridimensionarsi fortemente: è quasi del tutto sparito, in apparenza .

                Si noti lo spirito di aperta intelligenza e acume , che fa notare l'evidenza delle cose , sia nella lettera, che per così dire, nella analogia (nell'analogia tra il canto degli uccelli e il riso umano e l'allegrezza degli uccelli e la facile mobilità del fanciullo) : vero è che Giacomo riprende da Amelio e Senofonte : ma si capisce che condivide ampiamente il pensiero dei due antichi , e di ciò se ne compiace apertamente .

                Quello che invece perdura e si dimostra una effettiva costante,  è che lo spettacolo della natura, anche in tal caso ampiamente conosciuto e sentito con intensità da studioso e da poeta, non provoca tuttavia la riconoscenza verso il Creatore, o autore divino o sovraumano, di tutto ciò . Ed il motivo di questa paralisi interiore, è evidente : il suo sistema di pensiero non vuole, non gli e lo permette, nonostante l'imperio dell'evidenza .

 

TESTO

                Amelio 1) filosofo solitario, stando una mattina di primavera, co' suoi libri, seduto all'ombra di una sua casa in villa, e leggendo; scosso dal cantare degli uccelli per la campagna, a poco a poco datosi ad ascoltare e pensare, e lasciato il leggere; all'ultimo pose mano alla penna,  e in quel medesimo luogo scrisse  le cose che seguono.

                Sono gli uccelli naturalmente le più  liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre  ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in se, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale. Si veggono gli altri animali comunemente seri e gravi; e molti di loro anche paiono malinconici: rade volte fanno segni di gioia, e questi piccoli e brevi; nella più parte dei loro godimenti non fanno festa, ne significazione alcuna di allegrezza; delle campagne verdi, delle vedute aperte e leggiadre, dei soli splendidi, delle arie cristalline e dolci, se anco sono dilettati, non ne sogliono dare indizio di fuori: eccetto che delle lepri si dice che la notte, ai tempi della luna, e massime della luna piena, saltano e giuocano insieme, compiacendosi di quel chiaro, secondo che scrive Senofonte 2).

                Gli uccelli per lo più si dimostrano nei moti e nell'aspetto lietissimi; e non da altro procede quella virtù che hanno di rallegrarci colla vista, se non che le loro forme e i loro atti, universalmente, sono tali, che per natura dinotano abilità e disposizione speciale a provare godimento e gioia: la quale apparenza non è da riputare vana e ingannevole.

                Per ogni diletto e ogni contentezza che hanno, cantano; e quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare. E cantando buona parte del tempo, s'inferisce che ordinariamente stanno di buona veglia  e godono. E se bene è notato che mentre sono in amore, cantano meglio e più spesso, e più lungamente che mai; non è da credere però, che a cantare non li muovano altri diletti e altre contentezze fuori di queste dell'amore. Imperocché si vede palesemente che al dì sereno e placido cantano più che all'oscuro e inquieto: e nella tempesta si tacciono come anche fanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quella tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri.

                Similmente si vede che usano cantare in sulla mattina nello svegliarsi; e che sono mossi parte dalla letizia che prendono del giorno nuovo, parte a quel piacere che è generalmente a ogni animale  sentirsi ristorati dal sonno e rifatti. Anche si rallegrano sommamente delle verzure liete, delle vallette fertili, delle acque pure e lucenti, del paese bello.

                Nelle quali cose è notabile che quello che pare ameno e leggiadro a noi, quello pare anche a loro; come si può conoscere dagli allettamenti coi quali sono tratti alle reti e alle panie, negli uccellai o paretai. Si può conoscere altresì dalla condizione di quei luoghi alla campagna, nei quali per l'ordinario è più frequenza di uccelli, e il canto loro assiduo e fervido. Laddove gli altri animali, se non forse quelli che sono dimesticati e usi a vivere cogli uomini, o nessuno o pochi fanno quello stesso giudizio che facciamo noi, dell'amenità e della vaghezza dei luoghi. E non è da meravigliarsene: perocché non sono dilettati se non sicuramente dal naturale. Ora in queste cose, una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi, è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi  e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato nè quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata e diversa molto da quella che sarebbe in natura.

                Dicono alcuni, e farebbe a questo proposito, che la voce degli uccelli è più gentile e più dolce, e il canto più modulato nelle parti nostre, che in quelle dove gli uomini sono selvaggi e rozzi; e conchiudono che gli uccelli, anco essendo liberi, pigliano alcun poco della civiltà di quegli uomini alle cui stanze sono usati.

                O che questi dicano il vero o no, certo fu notabile provvedimento della natura l'assegnare a un medesimo genere di animali, il canto e il volo; in guisa che quelli che avevano a ricreare gli altri viventi con la voce, fossero per l'ordinario in luogo alto; donde ella si spandesse all'intorno per maggior spazio, e pervenisse a maggior numero di uditori. E in guisa che l'aria, la quale si è l'elemento destinato al suono, fosse popolata di creature vocali e musiche.

                Veramente molto conforto e diletto ci porge, e non meno, per mio parere, agli altri animali che agli uomini, l'udire il canto degli uccelli. E ciò credo io che nasca principalmente non dalla soavità de' suoni quanta ella si sia, né dalla loro varietà , né dalla convenienza scambievole; ma da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, si nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in ispecie. Il quale è , come a dire, un riso che l'uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente.

                Onde si potrebbe dire in qualche modo, che gli uccelli partecipano del privilegio che ha l'uomo di ridere: il quale non hanno gli altri animali; e perciò pensarono alcuni che siccome l'uomo è definito per animale intellettivo o razionale, potesse non meno sufficientemente essere definito per animale risibile; parendo loro che il riso non fosse meno proprio e particolare all'uomo, che la ragione. Cosa certamente mirabile è questa, che nell'uomo, il quale infra tutte le creature è la più travagliata e misera, si trovi la facoltà del riso, aliena, da ogni altro animale.

                Mirabile ancora si è l'uso che noi facciamo di questa facoltà: poiché si veggono molti in qualche fierissimo accidente, altri in grande tristezza d'animo, altri che quasi non serbano alcuno amore alla vita, certissimi della vanità di ogni bene umano, presso che incapaci di ogni gioia, e privi di ogni speranza; nondimeno ridere. Anzi, quanto conoscono meglio la vanità dei predetti beni,  e l'infelicità della vita; e quanto meno sperano e meno eziandio sono atti a godere; tanto maggiormente sogliono i particolari uomini essere inclinati dal riso.

                La natura del quale, generalmente, e gl'intimi principii e modi, in quanto si è a quella parte che consiste nell'animo, appena si potrebbero definire e spiegare; se non se forse dicendo che il riso è specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento e delirio. Perciocché gli uomini non essendo mai soddisfatti e mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta.

                Eziandio sarebbe curioso a cercare donde e in quale occasione più verisimilmente, l'uomo fosse recato la prima volta a usare e a conoscere questa sua potenza. Imperocché non è dubbio che esso nello stato primitivo e selvaggio, si dimostra per lo più serio, come fanno gli altri animali; anzi alla vista malinconico. Onde, io sono di opinione che il riso, non solo apparisse al mondo dopo il pianto, della qual cosa non si può fare controversia veruna; ma che penasse un buono spazio di tempo a essere sperimentato e veduto primieramente. Nel qual tempo né la madre sorridesse al bambino, né questo riconoscesse lei col sorriso, come dice Virgilio. Che se oggi, almeno dove la gente è ridotta a vita civile, incominciano gli uomini a ridere poco dopo nati; fannolo principalmente in virtù dell'esempio, perché veggono altri che ridono.

                E crederei che la prima occasione e la prima causa di ridere, fosse stata agli uomini la ubbriachezza; altro effetto proprio e particolare al genere umano. Questa ebbe origine lungo tempo innanzi che gli uomini fossero venuti ad alcuna specie di civiltà; poiché sappiamo che quasi non si ritrova popolo così rozzo, che non abbia provveduto di qualche bevanda o di  qualche altro modo da inebriarsi, e non lo soglia usare cupidamente; delle quali  cose non è da maravigliare; considerando  che gli uomini, come sono infelicissimi  sopra tutti gli altri animali, eziandio sono dilettati più che qualunque altro da ogni non travagliosa alienazione di mente, dalla dimenticanza di se medesimi, dalla intermissione, per dir così, della vita; donde o interrompendosi  per qualche tempo scemandosi loro  il  senso e il conoscimento dei propri mali,  ricevono non piccolo benefizio.

                E in  quanto al riso, vedesi che i selvaggi,  quantunque di aspetto seri e tristi negli  altri tempi, pure nella ubbriachezza ridono profusamente; favellando ancora volatili, molto e cantando, contro al loro usato. Ma di queste cose tratterò più distesamente in una storia del riso, che ho in animo di fare: nella quale, cercato che  avrò del nascimento di quello, seguiterò  narrando i suoi fatti e i suoi casi e le  sue fortune, da indi in poi, fino a questo tempo presente; nel quale egli si trova essere in dignità e stato maggiore che fosse mai; tenendo nelle nazioni civili un luogo, e facendo un ufficio, coi quali esso supplisce per qualche modo alle  parti esercitate in altri tempi dalla virtù, dalla giustizia, dall'onore e simili; e in molte cose raffrenando e spaventando  gli uomini dalle male opere.

                Ora conchiudendo del canto degli uccelli, dico, che  la letizia veduta o conosciuta in altri, della quale non si abbia invidia, suole confortare e rallegrare; però molto lodevolmente la natura provvide che il canto degli uccelli, il quale è dimostrazione di allegrezza, e specie di riso, fosse publico; dove che il canto e riso degli uomini, per rispetto al rimanente del mondo, sono privati: e sapientemente operò che la terra e l'area fossero sparsi di animali che tutto dì, mettendo voci di gioia risonanti e solenni, quasi applaudissero alla vita universale, e incitassero gli altri viventi ad allegrezza, facendo continue testimonianze, ancorché false, della felicità delle cose. E che gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altri animali, non è senza ragione grande perché veramente come ho accennato al principio, sono di natura meglio accomodati a godere e ad essere felici

                Primieramente non pare che siano sottoposti alla noia. Cangiano luogo ad ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile; veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo della vita estrinseca.

                Tutti gli altri animali, provveduto che hanno ai loro bisogni, amano di starsene quieti e oziosi;  nessuno, se già non fossero i pesci, ed eccettuati pure alquanti degli insetti volatili, va lungamente scorrendo per solo diporto. Così l'uomo silvestre, eccetto per supplire di giorno in giorno alle sue necessità, le quali ricercano piccola e breve opera; ovvero se la tempesta o alcuna fiera, o altra si fatta cagione non lo caccia; appena è solito di muovere un passo: ama principalmente l'ozio e la negligenza: consuma poco meno che i giorni intieri sedendo neghittosamente in silenzio nella sua capannetta informe, o all'aperto, o nelle rotture o caverne delle rupi o dei sassi.

                Gli uccelli, per lo contrario, pochissimo soprastanno in un medesimo luogo; vanno e vengono di continuo senza necessità veruna; usano il volare per sollazzo; e talvolta, andati a diporto più centinaia di miglia dal paese dove sogliono praticare, il dì medesimo in sul vespro vi si riducono. Anche nel piccolo tempo che soprasseggono in un luogo, tu non li vedi stare mai fermi della persona; sempre si volgono qua e là, sempre si aggirano, si piegano, si protendono, si crollano, si dimenano; con quella vispezza, quell'agilità, quella prestezza di moti indicibile. In somma, da poi che l'uccello è schiuso dall'uovo, insino a quando muore, salvo gl'intervalli del sonno, non si posa un momento di tempo . Per le quali considerazioni parrebbe si potesse affermare, che naturalmente lo stato ordinario degli altri animali, compresovi ancora gli uomini, si è la quiete; degli uccelli, il moto.

                A queste loro qualità e condizioni esteriori, corrispondono le intrinseche, cioè dell'animo; per le quali medesimamente sono meglio atti alla felicità che gli altri animali. Avendo l'udito acutissimo, la vista efficace e perfetta in modo che l'animo nostro a fatica se ne può fare una immagine proporzionata; per la qual potenza godono tutto giorno immensi spettacoli e variatissimi e dall'alto scuoprono ad un tempo solo, tanto spazio di terra e distintamente scorgono tanti paesi coll'occhio, quanti , pur colla mente appena si possono comprendere dall'uomo in un tratto; s'inferisce che debbano avere una grandissima forza e vivacità e un grandissimo uso d'immaginativa.

                Non di quella immaginativa profonda, fervida e tempestosa come ebbero Dante, il Tasso; la quale è funestissima dote, e principio di sollecitudini e angoscie gravissime e perpetue; ma di quella ricca, varia, leggera, instabile e fanciullesca; la quale si è larghissima fonte di pensieri ameni e lieti, di errori dolci, di vari diletti e conforti: e il maggiore e più fruttuoso dono di cui la natura sia cortese ad anime vive. Di modo che gli uccelli hanno di questa facoltà, in copia grande, il buono e l'utile alla giocondità dell'animo, senza però partecipare del nocivo e penoso.

                E siccome abbondano della vita estrinseca, parimente sono ricchi della interiore: ma in guisa che tale abbondanza risulta in loro benefizio e diletto, come nei fanciulli; non in danno e miseria insigne, come per lo più negli uomini. Perocché nel modo che l'uccello quanto alla vispezza e alla mobilità di fuori, ha col fanciullo una manifesta similitudine; così nelle qualità dell'animo dentro, ragionevolmente è da credere che lo somigli. I beni della quale età se fossero comuni alle altre, e i mali non maggiori in queste che in quella; forse l'uomo avrebbe cagione di portare la vita pazientemente.

                A pare mio la natura degli uccelli, se noi la consideriamo in certi modi, avanza di perfezione quelle degli altri animali. Per maniera di esempio se consideriamo che l'uccello vince di gran lunga tutti gli altri nella facoltà del vedere e dell'udire che secondo l'ordine naturale appartenente al genere delle creature animate, sono i sentimenti principali; in questo modo seguita che la natura dell'uccello sia cosa più perfetta che sieno le altre nature di detto genere.

                Ancora, essendo gli altri animali, come è scritto di sopra, inclinati naturalmente alla quiete, e gli uccelli al moto; e il moto essendo cosa più viva che la quiete, anzi considerando la vita nel moto, e gli uccelli abbondando di movimento esteriore più che veruno altro animale; e oltre di ciò la vista e l'udito, dove essi eccedono tutti gli altri, e che maggioreggiano tra le loro potenze, essendo i due sensi più particolari ai viventi, come anche più vivi e più nobili, tanto in se medesimi, come anche negli abiti e altri effetti che da loro si producono nell'animale dentro e fuori; e finalmente stando le altre cose dette dinanzi; conchiudesi, che l'uccello ha maggior copia di vita  esteriore e interiore , che non hanno gli altri animali.

                Ora, se la vita è cosa più perfetta che il suo contrario, almeno nelle creature viventi; e se perciò la maggior copia di vita è maggiore perfezione; anche per questo modo seguita che la natura degli uccelli sia più perfetta. Al qual proposito non è da passare in silenzio che gli uccelli sono parimente acconci a sopportare gli estremi del freddo e del caldo; anche senza intervallo di tempo tra l'uno e l'altro: poiché veggiamo spesse volte che da terra, in poco più che un attimo, si levano su per l'aria insino a qualche parte altissima, che è come dire, a un luogo smisuratamente freddo; e molti di loro in breve tempo, trascorrono volando diversi climi.

                In fine, siccome Anacreonte desiderava potersi trasformare in ispecchio  per esser mirato continuamente da quella che egli amava, o in gonnellino per coprirla, o in unguento per ungerla, o in acqua per lavarla, o in fascia, che ella se lo stringesse al seno, o in perla da portare al collo, o in calzare, che almeno ella lo premesse col piede; similmente io vorrei, per un poco di tempo essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita.

 

NOTE

 

Puntualizzazione: Queste note vengono aggiunte dal sottoscritto, e non sono nel testo sopraspecificato sotto il titolo della pagina Web, eccetto  Cyneget. cap. 5. 5 4 della n. 2 .

1 : Amelio o Amerio Gentiliano , discepolo di Plotino; incerte le date di nascita e morte. Presente a Roma dal 246 al 270 d. Cr.  .

2 : Senofonte, storico e scrittore greco, nato nel 435-30 e morto nel 360-50 a.Cr. Contemporaneo di Platone e biografo di Socrate. Cyneget. cap. 5. 5 4.

 

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