(V. Gioberti , Del primato morale e civile degli italiani , Introduzione e note di Gustavo Balsamo Crivelli , Torino , Utet , vol. III , s.d. pp. 208-35 , 243-59) .
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Spiegazione dell' Immagine : Savonarola , il Boccaccio, Voltaire, sono collocati su uno sfondo che rappresenta la Sorgente (Jean Auguste Dominique Ingres, Parigi, Louvre, 1850 c. , part.), secondo il Pittore; ma che rappresenta la Musa o l' Ispirazione dello scrittore , per il sottoscritto . Così i tre grandi scrittori , sono giudicati e classificati in base alla loro qualità ispirativa , e non solo in base alla loro capacità artistica : mi spiego : al centro, per così dire , tra i seni , il volto e l' acqua della Musa, c'è il Savonarola(1452-98), a mio avviso , prototipo notevole quanto raro , dello scrittore che unì l'arte alla santità , la parola naturale alla grazia soprannaturale, il Cielo altissimo alla terra che si calpesta quotidianamente , e sulla quale , si può anche morir martiri come lui fece, qualora la santità non interessi o sia momentaneamente respinta. A sinistra , compare il Boccaccio (1313-75), prototipo della grande arte ma senza santità e notevole dissolutezza : se ne sta pertanto in basso , poiché la sua | ispirazione spesso non viene dall'alto , ma piuttosto dal basso , ed ha comunque la forma di Musa . A destra abbiamo Voltaire (1694-1778), che alla grandezza dell' arte , unisce l' idolatria della ragione , piuttosto che la sola dissolutezza , come il Boccaccio . Anche lui si colloca nella parte bassa della Ispirazione dalla Musa , nonostante che l' acqua di questa , gli piova proprio in testa : infatti per ironia della sorte , la negazione dell' Assoluto ad esclusiva divinizzazione della Ragione , implica anche il sacrificio o l' ignorare molta acqua ispirativa che dalla Musa cade dall' alto , proprio sul capo , sede e simbolo della stessa ragione illuminista e universale . Così ho rappresentato tre modelli di Grande Scrittore , il Santo , il Disssoluto , l' Idolatra . A me sembra che la storia della letteratura universale , giri attorno a questi tre tipi di grandi scrittori , con svariate sfumature. |
1. UFFICI E DIGNITA' DEL GRANDE SCRITTORE
3. DELLA REPUBLICA DELLE LETTERE TENTATIVI IMPERFETTI CHE SI FECERO PER EFFETTUARLA. SUE CONDIZIONI.
4. LA RELIGIONE E' UNICA CONCILIATRICE DELLE SCIENZE E DI COLORO CHE LE COLTIVANO .
5. CAUSE DELLA IRRELIGIONE IN ALCUNI DOTTI. SUOI RIMEDII .
6.ESORTAZIONE AI SAPIENTI D' ITALIA, AFFINCHE' RINNOVINO L'ACCORDO DELLA RELIGIONE CON LA SCIENZA .
INTRODUZIONE (Riassunto e Osservazione) .
Riassunto : Scarseggiano i grandi scrittori, perché l' amore alla virtù e alla gloria è diminuito , rispetto al passato . Ma il mestiere dello scrittore è un Ufficio Publico per il bene collettivo , avente le caratteristiche del tribunato del sacerdozio e della profezia . Anzi , in questo senso , il grande scrittore , mobilitato ad esprimere le sue idee , è persino dittatore, visto che molti finiscono per accettare o combattere ciò che dice .
L' Ufficio dello scrittore , tuttavia , non è qualcosa di isolato , ma è completo quando si inserisce nella vita sociale e civile della nazione a cui appartiene , e che s' intende , è ancora da unificare politicamente.
E ciò, il nostro scrittore, senza rinunciare al suo dovere di dover dare un contributo autonomo e originale, farà sia cercando la unione con gli altri scrittori (perché quando i cultori delle lettere sono sparpagliati e discordi, ciascuno di essi ha solo un valore individuale, il quale, anche quando è notabile, non agguaglia quello che nascerebbe dal concorso di tutti insieme affratellati: crf. Punto 2); sia inserendosi nella Repubblica delle Lettere (la cui forma ideale consiste in una gerarchia simile a quella delle nazioni e delle scienze, e unificata al pari dall' Idea organatrice, mediante la quale i popoli fanno quella colleganza, che Cristianità si chiama, e le dottrine compongono quel corpo, che enciclopedia si denomina : crf.: Punto 3); e sia eleggendo la religione quale conciliatrice tra le scienze e coloro che le coltivano.
Infatti la religione non è una conciliatrice qualsiasi , ma è l' unica conciliatrice effettiva tra scienziati e scienze, così come tra tutte le scienze , è la più vasta e generatrice di cultura; da qui l' appello finale ai cultori di scienza , affinchè rinnovino l' accordo della religione con la scienza stessa .
Osservazione : Questo discorso giobertiano sopra riassunto e sotto proposto alla lettura , è soltanto un documento del passato risorgimentale , o ha validità tuttoggi ?
La risposta è che al novanta per cento , è valido tuttoggi :
mai come al presente , le decadenze delle arti dipendono da scarso amore alla virtù e ancor meno alla gloria con alla base la stessa virtù .
Frattanto è però intervenuto un fattore ulteriore e decisivo rispetto al risorgimento, che anziché sminuire , semmai , rende ancora più sollecito il richiamo giobertiano e no , alla virtù ; si che oggi più di prima , non abbiamo solo lo scarso amore , ma ancor più gravemente , v' abbiamo certa indecisione , su che cosa sia o non sia , la virtù , nonché lo stesso bene e male .
Pertanto , come mai in passato , vi è il rischio sempre maggiore , a mano a mano che passa il tempo e le idee tentano di prender o prendon corpo, di sprofondare negli abissi dello errore , analogamente a come vi sprofondarono per esempio recentemente , il nazifascismo e il comunismo e analogamente a come vi sta sprofondando sempre meglio l' attual neoassolutismo pagano-liberista :
in tutti questi casi , l' inizio è sempre uguale : si comincia col predicare le supposte ragioni che autorizzano a mettere in discussione la fede nella legge e nella dottrina divina e cristiana, ritenendo d' aver trovato un' altra legge e un' altra dottrina migliore .
E così sarà fino alla fine dei secoli : ci sarà sempre qualcuno nei periodi migliori , e molti altri nei peggiori , che avranno da proporre qualcosa di "migliore" di quanto abbia già proposto il Cristo; ma sempre saranno tutti quanti smentiti dai fatti della storia; si che in definitiva , se è vero che stando così le cose , diventerà apostata di Cristo soltanto chi vorrà diventarlo chiudendo gli occhi di fronte alle prove storiche della veridicità del medesimo Cristo, dall' altro è anche vero , che i responsabili visibili e invisibili di questi giochi epocali di prestigio contro la Croce , vi han sempre notevole guadagno :
e il loro guadagno è il sangue , la morte , il lutto , il trionfo bestiale sulla dignità dell' uomo , perché essa racchiude l' immagine e la somiglianza con Dio ; pertanto , non potendo distruggere Dio che è inarrivabile , almeno si distrugge la sua immagine nelle sue creature , che perché imperfette e corrompibili , possono essere predisposte a tanto ,cioè a farsi distruggere il presupposto primo della loro immagine e somiglianza divina : la fede in Gesù Cristo .
In questo senso , visti gli sviluppi rispetto all' Ottocento giobertiano , per cui , talvolta anche nei grandi scrittori e artisti , non manca solo l' amore alla virtù , ma manca persino la chiarezza potente di che cosa sia o non sia la virtù , l' Ufficio del grande scrittore , come del cittadino , sarà sempre più oggi come in futuro , di opporsi con particolare arte e veemenza , al grande tentativo di crear confusione , relativizzando il concetto di virtù come della realtà , e distruggendo (se fosse possibile) la fede in Dio e nella sua legge .
1.UFFICI E DIGNITA' DEL GRANDE SCRITTORE
Uno degli sproni più efficaci a ben fare, onde sian suscettivi gli uomini di ogni sorta, ma specialmente i giovani, e che, bene indirizzato, si accorda colla virtù e colla religione, è l' amor della gloria, che partorì tanti miracoli negli antichi tempi .
Ma al di d' oggi questo amore è spento nella maggior parte degli uomini, e regnano in sua vece l' egoismo e la vanità volgare: il vizio medesimo non ha più nulla di grande, e rimbambisce fra grette e puerili inezie. Gli uomini sono al presente orgogliosi e superbi, come per l' addietro, ma il loro orgoglio è abbietto, la superbia timida e meschina; e laddove presso gli antichi, aspiranti a cose belle, grandi e giovevoli, l' ambizion potea meritar lode o almeno scusa pel suo principio, e riconoscenza per gli effetti, ora si pasce soltanto di frasche ridicole e oziose.
Quanti sono ancora i gentiluomini che volgano l' innata alterigia della loro schiatta a rendere immortale il proprio nome con le lettere e colle dottrine, come fecero l' Alfieri e il Caluso ? L' appetito della gloria può certo riuscire funesto se non è governato dalla ragione e volto a buon fine; ma non parmi che oggi si abbia in Italia materia ragionevole di timore per questa parte. Imperocchè non vi ha più chi tenti ed ardisca alcun' impresa magnanima: i più dormono, e chi è desto attende solo a godere e arricchire, invece di rendere illustre ed immortale il suo nome. La penna è negletta, come le altre pellegrine arti ; e chi ne fa uso la volge a brighe e a guadagno, ovvero a quella facile e modesta glorietta che si pasce di crocchi, di brigatelle e di giornali.
Gli applausi dei giornali sono la manna e l' alloro di chi imprende presentemente opere grandi di mano e di senno; e chi ottiene col loro aiuto una lode che nasce col levar del sole e si spegne col suo tramonto, crede di toccare il cielo col dito, e si reputa per beatissimo. Ma chi è che vorrebbe sudare i giorni e le notti insonni sui dotti volumi per procacciarsi un premio così segnalato, o piuttosto per correre il rischio di non ottenerlo ?
Giacchè i giornalisti non celebrano per ordinario se non le opere cattive e mediocri, e seguitano nei loro pareri quel naturale e salutifero istinto, per cui piacciono maggiormente a ciascuno le cose che gli somigliano 1) . Non è dunque da stupire, se, mancati o indeboliti quasi universalmente i due stimoli operosi della virtù e della gloria, i buoni scrittori son divenuti rarissimi, eziandio in Italia, benché ivi abbondino più che altrove i mezzi naturali, atti a produrli.
Ma se in virtù dell' educazione o per un benigno riguardo della Providenza, le cose mutassero, e si ridestassero le sopite faville della virtù e della gloria, la nostra patria riacquisterebbe ben tosto i suoi antichi vanti. E infatti qual fama è più pura di quella di uno scrittore , il quale ammaestrando e dilettando , benefichi e migliori gli uomini in universale ? Qual è più cara e desiderabile pel bene che opera, per l' innocuo piacere che procaccia, per la innocenza dei mezzi che vi conducono, per la potenza che molti hanno di acquistarla, senza dipendere dall' altrui beneplacito e dai capricci di fortuna? E chi alla dolce esca della fama prepone le attrattive più austere, ma eziandio più nobili, e le sante dolcezze della fede e della virtù, può egli trovare una via migliore per giovar largamente all' umana famiglia, non solo nel tempo che corre, ma per tutte le generazioni avvenire? Immenso è il bene che nasce da un savio e virtuoso scrittore, e per grandezza è solo paragonabile al danni che provengono da chi volge la penna a lusinga, empietà e corruttela.
L' ufficio dello scrittore, oggi così negletto, non è un carico solamente privato e letterario, come molti credono; ma bensì un uffizio pubblico e molteplice; cioè una dittatura, un tribunato, un sacerdozio, e un ministerio profetico nello stesso tempo. Chi esercita degnamente l' arte dello scrivere è dittatore, poichè fa accettare i suoi pensieri e trovati alle menti libere degli uomini, e regna efficacemente sugli spiriti e sui cuori più eletti ed ingentiliti ; è tribuno, perchè crea, corregge, trasforma a senno suo l' opinione pubblica, muove, concita, infiamma, raffrena, mitiga, placa, governa proficuamente le moltitudini; è sacerdote, perchè negli ordini di natura esercita un potere divino, rendendosi banditore ed interprete del vero manifestato al suo ingegno, diffondendolo fra i coetanei, tramandandolo ai posteri, e perchè le sue parole edificano, e non distruggono, emendano, e non corrompono, illuminano, e non attristano chi le accoglie, e producono frutti durevoli di pace, di amore, di giovamento universale; finalmente è profeta, perchè, senza trapassare i limiti del naturale accorgimento, o fare, a uso di certi filosofi, del sicofanta e del ciurmadore, egli conghiettura prudentemente dal passato e dal presente i successi avvenire, pronunzia i mali probabili, quando ancora sono discosti, antivede i beni, che si possono ottenere, e conforme a questi savi presentimenti incuora i pusillanimi, avvalora i fiacchi, sprona i codardi, spaventa gli sciagurati, consola i buoni, e agita salutevolmente tutti gli uomini colle minacce e col terrore, colle promesse e colle speranze. Tal è l' ufficio dello scrittore che alla sua vocazione degnamente risponde.
Or qual è, lo ripeto, la palma onorata che adegui umanamente questa quadruplice corona? Qual è la virtù che negli ordini naturati le si possa agguagliare per la copia, la grandezza, l' unità dei frutti ? Giovani miei compatrioti, che attendete di proposito al generoso culto delle scienze e delle lettere, eccovi lo scopo che dovete proporre alle vostre mire. Il conseguimento di quei beni a cui intende l' umana ambizione, è impossibile a molti, facile a pochi, incerto per tutti, poichè sta in mano della fortuna: questo solo dipende da voi. Voi potete ragionevolmente aspirare a rendere il vostro nome immortale con una di quelle glorie, che si acquistano senza colpa, si posseggono senza pericolo, e si godono senza rimorso, perchè abbellite e nobilitate dal puro diletto della beneficenza. Voi lo potete, purchè il vogliate con quella risoluzione ferma, costante, gagliarda, tenace, indefessa, indomabile, che sola merita il nome di volontà, e che quasi un raggio di onnipotenza divina opera le meraviglie nel mondo dell' arte.
Non dubitate che le forze vi manchino; perchè un ingegno sufficiente, quando è coltivato dall' educazione, fortificato dalla consuetudine e dalla fatica, maturato dallo studio, dalla solitudine e dal tempo, può diventar grande ed eziandio sommo: la natura crea solo in potenza gli ingegni sommi, e quelli che riescono tali in effetto sono opera in gran parte del loro proprio arbitrio e dello zelo volonteroso che gl' infiamma.
Ma per toccare l' ardua cima, a cui niuno oggi aspira, e tanto pochi per lo addietro poggiarono, grande animo, lunga opera e incredibili fatiche richieggonsi. Si richiede un animo ostinato contro le lusinghe del senso, i prestigi dell' usanza, la forza dell' ingiusta opinione, la contagione dei cattivi esempi, le pompe e le attrattive del mondo, le passioni degli anni fervidi, e spesso eziandio contro gli ostacoli suscitati dall' invidia, dalla malevolenza e dalla cattiva fortuna.
Tenete per fermo che niuno ha fatto progressi notabili nelle buone dottrine e nelle sane lettere, se non col tirocinio di lunghi e forti studi, rinunziando a ogni volgare ambizione, e valedicendo in gran parte ai piaceri, alle brighe, ai passatempi, che allettano l' età verde, e occupano la modesta boria di molti uomini maturi. Col solo prezzo di questa rinunzia, e con una vita menata in sobria e operosa solitudine, si può pervenire alla vetta di quel monte eccelso, su cui alberga la bellissima gloria, ed entrar nell' augusto tempio, sacro alla fama immortale.
Persuadetevi altresì che l' ingegno nobile e ad alte cose aspirante, non dee confidarsi nei grandi, nei protettori e nei mecenati; ma solo in Dio e nelle proprie forze. L' abbandono e il vilipendio di costoro , non che nuocere, gli profitta ; imperocchè il patrocinio del volgo illustre estingue la generosa audacia, e tronca i nervi dello scrittore; laddove la indipendenza gli dà la franchezza richiesta a pubblicare il vero, e il mancare di agi estrinseci lo salva da molte lusinghe, obbligandolo a coltivare il proprio animo e bene usare il tempo, come l' unico patrimonio che il cielo gli ha conceduto.
Quella stessa pugna dolorosa e incessante ch' egli dee sostenere contro il disprezzo degli uomini e le ingiurie della sorte, acuisce e rinforza il suo vigore; perchè i contrasti che abbattono i deboli, infondono un valore novello nei petti forti e magnanimi 2) . Guardatevi parimente dal cedere agli umani rispetti, dal blandire e servire alla opinione corrotta e alla moda; il cui imperio è ancor più tirannico, che quello dei potenti, poichè qui la tirannia è di uno o di pochi, là di molti o di tutti. Sappiate adunque sprezzare gli ingiusti biasimi, le maligne censure, le acerbe ironie, le calunnie vili ed atroci, che vi saran mosse contro per isbigottirvi e ridurvi al silenzio; e acciò le punture e le ferite troppo non vi offendano, avvezzatevi a non essere avidi delle lodi: chi scrive dee proseguire ardentemente e principalmente il vero; dee amarlo per sè stesso e publicarlo, senza estrinseco riguardo, dee onorarsi degl' insulti e dei danni a cui questo nobile culto lo espone e non che ambire e cercare, dee aborrire gli applausi che all' errore si profondono. Chi non sa vivere ignoto o disprezzato non può essere virtuoso nè libero, poichè ubbidisce ai capricci di chi loda, ai vizi di chi bestemmia, e alla viltà di chi adula; pessimo genere di servaggio e miserrima condizione di vita, quando niuno è tanto schiavo quanto chi serve al volgo e agli schiavi, niuno è tanto misero quanto coloro, la cui felicità dipende dai ludibri della folla e dal volgere dell' usanza.
Il savio si dee risolvere, se occorre, ad essere martire ed anacoreta, sostenendo con animo intrepido le persecuzioni dei malevoli, e rassegnandosi alla lor trascuranza ; perchè chi contrasta alle opinioni dominanti per amor del vero si trova solo in mezzo alla turba, ed è sfuggito o dileggiato dal più degli uomini, come un lebbroso sul mondezzaio o uno stilita nel deserto. Ma il vero sapiente non si contrista nè avvilisce vedendosi manomesso od abbandonato : imperocchè egli è sicuro che le sue parole gioveranno ai posteri e otterranno da essi quel tributo spontaneo di amore e di gratitudine, che vien loro disdetto dall'età corrente. E se egli allora, già fatto cenere, non potrà udire quelle tarde benedizioni, prevedendole se ne compiace, e compensa la lontananza dell' esito colla certezza dell' aspettativa; giacchè nel disprezzare il presente è riposta la magnanimità dello scrittore.
Ma siccome la riconoscenza degli uomini, e la celebrità mondana, ancorchè grandissime non bastano a satollar le brame e a spegnere la sete dello uman cuore, egli leva il pensiero a quella vita immortale, dove la speranza è vinta dall ' effetto e il desiderio dal godimento.
(Primato ... , cit sopra all' esordio , pp. 208-12) . Torna su
NOTE
1 : Scrive il G. nei Prolegomeni (Losanna, 1845, p. 369): I giornali sono il denaro minuto e la morale volgare dell'opinione; il cui metallo prezioso si vuol cercare più alto, ciò nei libri dettati dall'aristocrazia dei pensanti .
2 : .....Petti di bronzo / Contro ogni arte o minaccia : indomite alme, / Cui la sventura fa più audaci, a nulla / Forza soggette, fuorchè a Dio: custodi / Incorrotti del vero: ai puri affetti, / A patria carità quanto devoti, / Formidabili tanto aspri, feroci, / Di abbietti sensi e di ogni error nemici .. (Polinnia, Torino, 1843, pag. 28). [G.] .
Dopo di aver discorso della debolezza individuale degli scrittori, mi resta a parlare della loro disunione, che è l' altro tarlo sovraccennato, della scaduta arte di scrivere.
Questa disunione è più o meno universale; ma ha luogo sovratutto in Italia, e muove da varie radici, che per la reità del frutto vogliono essere sterpate a dovere. In prima si noti che io parlo principalmente delle gentili lettere, delle scienze storiche, filosofiche, e delle altre discipline che, per diretto o per indiretto, s' attengono al morale; imperocchè nelle fisiche, nelle matematiche e nella pretta erudizione, versanti sui fenomeni, sulla quantità, sui fatti, e su altri dati materiali e sensatissimi, la concordia degli studiosi deriva in gran parte dalla natura degli oggetti in cui si travagliano; benchè ivi pure l' unione non sia mai perfetta, ogni qual volta tali notizie, che son secondarie per loro stesse, non si riferiscono a una scienza prima e suprema.
La discordia degli scrittori è in parte speculativa, in parte affettiva, cioè derivante dal loro modo di pensare e di sentire; giacchè in tutte le discipline di cui discorro, l' intelletto non cammina mai solo, ma si accompagna col cuore e coll' immaginativa, che tingono più o manco i concetti della mente coi propri colori.
Speculativamente gli scrittori dissentono, perchè, non movendo da principii comuni, non giungono alle stesse conseguenze; e anche quando si accordano intorno ad esse o per caso, o per virtù del senso comune, dello istinto, dell' autorità, dell' esempio, delle tradizioni, della consuetudine, la unione non è mai intima e profonda, come quella che non procede dall' unità dei primi pronunziati e non è rannodata dai vincoli indissolubili del discorso logicale. E mancando l' unità dei principii, mancano eziandio i legami delle varie discipline, e ciascuna di esse si sequestra dalle sue compagne ; onde il matematico, il fisico, il filosofo, l' erudito riescono fra loro quasi stranieri, parlanti ciascuno una lingua propria, agli altri sconosciuta; e quindi si burlano reciprocamente, o si scantonano e si appartano, invece di sostenersi ed aiutarsi a vicenda; tanto che l' enciclopedia, oltre al diventare una cosa rotta e inorganica, viene spogliata di quel ricco arredo di scienze miste, che si aggirano sulle scambievoli attinenze delle une colle altre, e formano una parte rilevantissima dello scibile.
La segregazione, la gelosia, la rivalità e l' inimicizia reciproca delle dottrine, per cui ciascuna di esse o sta affatto isolata, o si mostra infesta alle compagne, nasce anche dal difetto di accordo e di unità intorno agli estremi; imperocchè le varie discipline, essendo per l' indole degli oggetti in cui si esercitano disgregate fra loro, non possono collegarsi altrimenti, che mediante una origine e un fine comune ; quasi rivi disseparati, i quali hanno ciascuno il suo proprio letto, corso o indirizzo; ma zampillano da una sola polla, e sgorgando per diverse foci, si riuniscono di nuovo nel mare.
Affettivamente poi gli scrittori dissentono, quando non sono guidati da un genio comune, che insieme gli accordi; il qual genio è universale e particolare insieme; ma tali due condizioni insieme armonizzano, e hanno fra loro le attinenze della parte col tutto.
Si dee intendere per nome dì genio quella disposizion dello spirito a considerare per un certo verso gli oggetti multiformi di cui si occupa (non potendo per la propria imperfezione abbracciarli in tutta la loro ampiezza) secondo che essi rispondono alla tempra del cuore o della immaginativa; disposizione che si esercita in mille modi in tutte le scienze attenentisi al morale , e si raffigura specialmente in due cose, cioè nella scelta delle idee sovrattutto accessorie, e nello stile che è il colorito e l' espressione della parola, come questa è il volto dell' idea e dell' intelletto.
Imperocché ogni idea si può paragonare a un prisma moltilatere, che , avendo diversi aspetti, può essere variamente considerato, secondo le disposizioni subbiettive dello scrittore; onde per questo riguardo si può dire che la filosofia è l' effigie non solo del pensiero ma dell' animo dei suoi cultori. Parrà taluno che questa mischia di elementi subbiettivi convenga alle lettere, che servono al diletto, ma ripugni alle austere scienze ; come quelle che dovrebbero esprimere l' obbiettività delle cose schietta e purgata dalla individualità dello studioso . Il che sarebbe verissimo se si parlasse della scienza assoluta, quale in Dio si trova ; ma non può applicarsi alla scienza relativa, sola possibile agli uomini; ai quali imperfetti e finiti, non è dato , considerando il vero , di spogliarlo affatto della relatività loro propria; onde quanto si studiano di evitare ciò che v' ha di buono, incappano nel cattivo.
Chiamo buono quell'aspetto relativo alla scienza, per cui il savio si accosta , secondo il suo potere, alla natura assoluta del vero contemplato, sforzandovi di abbracciarlo compitamente, e collocandosi nel più alto punto possibile di veduta; tanto che la subbiettività con cui pure è costretto ad appannare la pura obbiettività di esso vero, sia, per così dir subbiettiva il meno che gli è fattibile.
L'erudito , il filosofo , il letterato , che saranno guidati da questa sorta di subbiettività larga e flessibile , s' ingegneranno di considerare l' oggetto dei loro studi da tutti i lati escogitabili, e di comprenderlo interamente ; ma non potendo spogliarsi di ogni affetto e di ogni fantasma, accetteranno soltanto quelle impressioni e quelle immagini , che sono pure , belle , nobili , profittevoli e degne del loro tema.
Ora il genio particolare ed universale, di cui voglio parlare, è appunto di questa data, essendo italiano e cattolico, e quindi specifico e generico .
Fra le varie indoli nazionali , l' italiana è vastissima, come apparisce dalle cose dianzi discorse; onde l' italianità è la disposizione etnografica che più si accosta all' universale, e meno si dilunga dalla natura dell' assoluto. Perciò il genio italico è il più ampio , imparziale , indulgente , tollerante, conciliativo , enciclopedico , di tutti geni; ed essendo il manco esclusivo, pare eziandio a prima fronte meno sculto e risentito, che quello delle altre schiatte .
Il genio cattolico poi è l' unico, che sia veramente cosmopolitico e tutto abbracci nella sua comprensiva ; giacchè non si può immaginare una idea o un istituto più universale della religione in genere , e del cattolicesimo in ispecie. Il quale a tutto sovrasta si frattamente, che lo spirito umano per quanto s' innalzi, vede sempre sopra di sè l' idea cattolica, come nei gioghi sublimi ed inaccessibili delle montagne, che non si lasciano superare , sfidando la lena e il coraggio degli audaci salitori.
Chi aspira nelle sue contemplazioni a levarsi più alto della fede cattolica , somiglia a quei selvaggi, che poggiando alla vetta di un colle, credono di poter arrivare a ghermire la luna. Laonde mentre il genio cattolico collega fra loro le generazioni dei pensanti, mediante il forte vincolo della religione, egli porge ai loro concetti la maggiore obbiettività, di cui siano capaci , col principio sommamente obbiettivo dell' idea espressa dalla parola ieratica .
E siccome il cattolicesimo , benché universale , ha il suo seggio principale in Italia , ed è inseparabile dalla nostra indole nazionale, il genio particolare e genio universale s' immedesimano insieme nella penisola, e aiutandosi a vicenda , per opera dell' unità ortodossa , acquistano una forza e una attività indicibile. E d'altra parte il cattolicesimo essendo indiviso dalla notizia dei principii, mediante il connubio dell' idea colla parola, l' unità speculativa degli uomini e degli scrittori viene per esso a confondersi coll' unità affettiva; e questa , libera e sciolta dalle angustie e pastoie individuali e subbiettive del senso , piglia in vece al possibile quell'abito di obbiettiva e assoluta universalità, che è il segno più arduo e più sublime della scienza .
Onde nasca la concordia degli scrittori .
Gli scrittori italiani non sono per lo più governati dalle condizioni speciali della loro patria, nè dall' indole di quelle credenze, che dovrebbero pur essere un vincolo nazionale e comune riguardo a loro non meno che per tutti i sapienti in universale .
Imperocchè molti di essi hanno un modo di sentire e d' immaginare, che non gli fa apparire più italiani, che francesi, tedeschi od inglesi ; non più cristiani e cattolici, che politeisti, come Erodoto ed Omero, o nudriti nelle credenze panteistiche, come i dotti orientali.
In Germania all' incontro, benchè l'unità dei principii sia pure perduta, havvi tuttavia una conformità d' indole, una fratellanza intellettuale, una similitudine di volti e di fattezze, che fa parer gli autori quasi d' una medesima famiglia, e supplisce in parte al difetto di più intima congiuntura.
La stessa consonanza correva fra gli scrittori francesi del passato secolo, benchè riuscisse più dannosa che fruttifera, perchè male avviata e guasta dalla frivolezza, dalla ciarlataneria, dalla corruttela, che avvalorate da tale esempio, si stesero a poco a poco ed infecero quasi tutta Europa.
Ma i danni partoriti dall' unione indirizzata a mal fine, mostrano quanto ella sarebbe potente e fruttuosa, se a scopo legittimo si ordinasse ; laddove quando i cultori delle lettere sono sparpagliati e discordi, ciascuno di essi ha solo un valore individuale, il quale, anche quando è notabile, non agguaglia quello che nascerebbe dal concorso di tutti insieme affratellati.
Se le lettere al dì d'oggi sono cosi poco efficaci, se ne vuol recare la causa a questo assoluto isolamento degli studiosi ; imperocchè, sebbene il vaticinio del Boccaccio, che le forze della penna sono troppo maggiori che coloro non estimano, che quelle con conoscimento provato non hanno 1) , sia già stato in gran parte avverato dalla stampa, tuttavia si può affermare che la forza dello scrivere sarebbe assai maggiore, se fosse da coloro che la esercitano a uno scopo solo indiritta .
Non parlo qui di unione esteriore e artificiale, ma di quella che procede dall'armonia intima dei pensieri e degli affetti; ne tampoco di una congiunzione violenta e fattizia ed artificiata, la quale , nonché avvalorare gli ingegni, è buona soltanto ad attutarli e troncarne il vigore . Parlo di una concordia spontanea, causata da conformità di principii e di spiriti animativi, qual è quella che nasce naturalmente dall' unità religiosa e nazionale . Questa unità , essendo amplissima , nonché cessare le differenze e le varietà individuali , le ammette , le svolge , le perfeziona , e le fa combaciare insieme ; rimovendone le contraddizioni stonanti e non le contrarietà armoniche .
Imperocchè la varietà e l' unione sono del pari richieste a costituir l' ordine in ogni ragione di esistenze; e come nella natura delle cose e del mondo la diversità, sebbene grandissima, all' unità confluisce, cosi nel giro dello scibile e della immaginazione la svariata ricchezza degli ingegni non ripugna, nè contrasta per nessun modo all' unità del bello e del vero.
Ogni scrittore dee certo rappresentare sè stesso ed esprimere le proprie opinioni e fantasie, non le aliene; ma queste opinioni e fantasie non può fallire che siano diritte, pure, ragionevoli, e concordi sostanzialmente a quelle degli altri, ogni qualvolta egli abbia avuto cura di educare in sè medesimo, e di connaturarsi i principii della verità assoluta e della sincera bellezza, mettendo in armonia il proprio pensare e sentire colla ragion divina e coll' ordine impresso nel mondo dal supremo artefice.
E quando tale accordo ha luogo, le differenze, che tuttavia corrono fra scrittore e scrittore, e le varie tinte iudividuali o nazionali, non che nuocere, giovano assaissimo, perchè la verità essendo come un immenso poligono, che ha lati e rispetti infiniti, e il mondo estetico della immaginazione non apparendo men vario e moltiplice dell' idale, e ciascuno ingegno particolare, ancorchè vastissimo, non potendo esprimere se non un piccol numero di quegli aspetti, egli è bene che molti concorrano a rappresentarli, acciò l' effigie scientifica e fantastica del Logo e del Cosmo sia meno ristretta e manchevole.
Così ottiensi dal concorso di molti ingegni quello che non potria conseguirsi da nessuno di essi in particolare nei due mondi sterminati della scienza e dell'arte; e tutti i loro lavori si accordano insieme spontaneamente e naturalmente in un' opera di unico magisterio, come le varie parti e quasi membra di natura nell' euritmia universale del cosmico animante, secondo la fantasia poetica degli stoici e degli ilozoiti.
Da questo concorso procede l' unità delle letterature, delle arti, delle enciclopedie nazionali ; ciascuna delle quali non esprime una semplice aggregazione, ma un corpo organico, e direi quasi un edifizio, una cantica, un sistema, un concento musico, individuato dall' Idea universale e dal genio particolare che lo informa; e da tutte insieme congiunte nasce una sola enciclopedia, un' arte, una letteratura unica, che abbracciano tutti i paesi e i secoli civili, e nelle quali Omero e Dante, Archimede e Galileo, Fidia e Michelangelo, Pitagora e il Vico si danno le destre, come tutte le stirpi e le nazioni confluiscono distinte nell' unità dell' umana famiglia, e come tutti i fiumi confondono le loro acque nel mare Oceano senza dismettere la specialità delle loro foci e il rigo separato delle loro correnti.
Ma donde proviene questa grande e magnifica unità , che copula i contrari , ravvicina gli estremi , parifica le disuguaglianze, assimila le differenze, senza scapito della varietà universale ? Dall' unità più alta , il ripeto , e più complessiva che sia dato all' uomo concepire , dall' idea , dalla religione , dal cattolicismo .
E perciò la meravigliosa armonia non si rinviene effettuata nella storia del nostro mondo se non in quanto i principii, i sentimenti e gl' instituti ortodossi sopranuotano ai loro contrari e l' opera della Provvidenza prevale a quella dell' arbitrio sviato. Ciò si verifica specialmente nella scienza, dove il cattolicismo è in ordine alle notizie ideali quel medesimo che la matematica rispetto alle fisiche; in cui la notizia dei fenomeni è per lo più incerta, confusa, sterile, se non vien determinata, chiarificata, fecondata dal calcolo, che, insignorendosi di quello scompigliume di fatti, ne intesse una tela regolare, concinna, uniforme, in cui ogni evento, ogni accidente si governa a norma di leggi ferme e sapientissime.
E come il calcolo non è subbiettivo, ma supremamente obbiettivo, poichè esprime il pensiero del sommo artefice, che procedette alla geometrica ordinando l' opera sua, nello stesso modo che il filosofo geometrizza per conoscerla, così la ragion cattolica è la matematica obbìettìva del morale e ideale universo, e la legislatrice della speculazione.
In prova di che si noti che molti teoremi della filosofia, importantissimi per la vita pratica, non acquistano una certezza e ragionevolezza assoluta, se non quando sono autenticati dalla rivelazione e ridotti da essa a forma di legge. Perciò nello scrittore cattolico vi sono tre uomini, che camminano di conserva e insieme si accordano; cioè l' individuo, il cittadino e il Cristiano, il primo dei quali esprime l' indole propria, il secondo quella della nazione e della stirpe, a cui appartiene, il terzo è cosmopolitico e collega insieme gli altri due, mediante il concorso di una superiore unità dominante.
E quindi gli scrittori ideali sono i soli che, avendo un elemento comune a tutti, possono considerarsi come ordinati a ferma e reciproca fratellanza, e contengono il germe di quella pitagorica confederazione che si appella repubblica, e dovrebbe piuttosto chiamarsi aristocrazia delle lettere.
(Primato ... , cit sopra all' esordio ,pp. 212-18). Torna su
NOTE
1: Decamerone, VIII, 7. [G.] .
3.DELLA REPUBLICA DELLE LETTERE: TENTATIVI IMPERFETTI CHE SI FECERO PER EFFETTUARLA. SUE CONDIZIONI.
La quale è stata sinora piuttosto un desiderio che un fatto, un' utopia che un instituto, e venne anzi abbozzata, che effettuata, per mancanza delle proprietà e condizioni necessarie a produrla.
Imperocchè la sua forma ideale consiste in una gerarchia simile a quella delle nazioni e delle scienze, e unificata al pari dall' Idea organatrice; mediante la quale i popoli fanno quella colleganza, che Cristianità si chiama, e le dottrine compongono quel corpo, che enciclopedia si denomina.
Così il concilio dei letterati e dei dotti dee formare, come dire, una nazione intellettuale, sparsa, come il popolo monumentale degl' Israeliti, per tutte le parti del globo e non riposantesi in nessuna, appartenente a tutte le stirpi, parlante tutte le lingue, composta di tutte le classi, organata, non dalla nascita, dalla fortuna, dal favore, nè da eletta arbitraria, ma dalla spontanea e divina iniziazione dell' ingegno privilegiato; la qual nazione esprime il pensiero e il cervello della civile e cristiana repubblica ed è quasi il sacerdozio dell' incivilimento negli ordini naturali, come lo stato e la Chiesa ne esprimono la parte sovrannaturale ed estrinseca.
L' idea è la molla interiore, che dee congiungere e armonizzare le varie membra di un sì vasto assembramento ; ma siccome ogni interiorità si esterna con qualche sensata apparenza, ed è l' anima di una compage organica, resta a vedere qual sia il capo visibile di quel corpo smisurato, e dove alberghi lo spirito animatore di esso.
Ora il principio unificativo ed esterno della repubblica letteraria dee essere quello, che collega le scienze e le nazioni ; giacchè l' unità suprema non si può moltiplicare in sè stessa, ma solo nella varietà delle sue estrinseche attinenze.
Le nazioni s' incontrano nell' Italia e ne ricevono tutta la civiltà loro, mediante la dualità italiana della Toscana e del Lazio, onde il pensiero e l' azione ; il laicato e il sacerdozio, la scienza e il culto, la gentilezza umana e divina provengono.
L'enciclopedia s' unifica nella scienza ideale, che ne è la fonte e la cima ; la quale si parte in due discipline universali, cioè in filosofia e in teologia, rispondenti ontologicamente all' intelligibile e il sovrintelligibile, e socialmente alla società e alla religione, alla classe secolaresca e al ceto ieratico.
Ma la scienza ideale, considerata nelle sue congiunture colla etnografia, si riconduce pure all' Italia, come quella che è la nazione ideale e sacerdotale per eccellenza ; e risponde co' suoi due rami alla dualità dell' italiano e del latino, di Firenze e di Roma, che sono i due occhi della penisola ; l' uno, città filosofica e poetica, madre di Dante e di Galileo, toscano anch' egli e nato nel suo dominio; l'altra città teologica e politica, sedia di Pietro e d' Ildebrando.
Dunque anche in Italia dee avere il suo primo seggio la grande e universale repubblica dei dotti e degli scrittori ; conciossiachè ivi vuol essere il capo di questa eletta aristocrazia, dove risplendono più vivi i primi principii del vero ideale, e risuona più forte la parola che li promulga. La repubblica delle lettere è dunque una monarchia libera e civile, che ha per capo l' Italia, donna delle menti e delle nazioni, onde provengono gl' influssi liberi ed efficaci, a cui i pensanti della cristianità tutta quanta per ispontaneo e ragionevole ossequio ubbidiscono.
Eccovi come il primato italiano risulta dalla natura essenziale delle cose, qnalunque sia l' aspetto, in cui ella si considera; tanto che nell' Italia, per virtù della sua intima e privilegiata congiunzione coll' Idea, si estrinseca e s' incarna il primo membro di quella formola, che abbraccia tutto il reale e tutto lo scibile.
Che se la patria nostra oggi è scaduta, chi può dubitar che non debba risuscitare un giorno, e mandare ad effetto in ogni ordine di cose quella civile e moral maggioranza, che è il tema del presente discorso ? Certo, nel mondo attuale l' Idea non s' impronta in modo perfetto, onde il Cosmo non risponde giammai appieno all' esemplare del Logo ; e però si può tenere per fermo che il vero, il bene, il bello e il santo non vi saranno mai altro che abbozzati.
Imperocchè la perfezione appartiene alla meta, non al viaggio, nè al diversorio e all' ostello, qual si è questo universo sidereo; che si dilata fuggendo nello spazio e nel tempo, come un anfiteatro e un aringo aperti per poche ore alle prove dei lottanti e dei corridori, non come un tempio continuo e immanente, dove la vittoria sì premia colla corona.
Ma siccome ogni abbozzo è perfettibile, e progressiva è la natura delle cose create, possiamo antivedere e sperare un giorno, in cui il primato morale della patria nostra sarà messo in atto assai meglio che per l' addietro. Allora la repubblica dei letterati non sarà più un sogno, e si verificherà non meno che la lega delle nazioni e il concerto delle dottrine ; giacchè i popoli, le scienze e coloro che le coltivano sono quasi tre strumenti moltiformi e accordanti, onde nasce la sinfonia pitagorica del mondo intellettuale e civile.
L' unione dei pensieri e degli affetti perì colla concordia primitiva del genere umano, e verrà con essa ristabilita; tuttavia, come dopo la divisione falegica rimasero alcuni vestigi della fratellanza, che prima correva fra le nazioni, cosi più di una volta fu tentato con qualche successo il coordinamento delle dottrine e il fratellevole connubio di coloro che vi danno opera.
Ma tali tentativi nell' età gentilesca si ristrinsero fra i limiti di una stirpe: il solo instituto, che mirò ad un' alleganza più estesa, e tentò di comporre una parte dell ' Oriente con una parte dell ' Occidente, fu la scuola di Alessandria, erede del concetto cosmopolitico e pelasgico del Macedone; la quale chiuse il ciclo paganico, e fu quasi l' albore del Cristianesimo sorgente.
Le altre consorterie letterarie, che fiorirono fra i popoli eterodossi, furono solo nazionali, ed ebbero per centro il santuario, come le caste sacerdotali di Oriente, i Misteri della Grecia, le Orgie pitagoriche d' Italia, e le arabiche assemblee di Ocàd prima di Maometto 1) ; o le scuole, come la Accademia, il Liceo, il Portico; o le feste e i giuochi pubblici, come gli Olimpici, i Pitici, gli Istmici, le Panatenee, le Deliche ; o certi ritrovi privati, come le compagnie letterarie della Cina ; o le corti, come i circoli eruditi dei Tolomei, degli Attali, dei Califfi e di quel Vicramaditia, la cui istoria è del resto più problematica dell' êra, poichè non si sa pure se il Bramanismo o il Buddismo allora predominasse nell ' India, e la leggenda, che fa di Calidasa il quarto avatara di Brama, ci può far dubitare della famosa pleiade.
Il Cristianesimo introdusse nel mondo la nozione di una vasta società spirituale, conciliatrice degli spiriti e dei cuori, e vincolata dalla parola; la qual società, trapassando i limiti angusti dei popoli e delle schiatte, è destinata a rifare quella morale union delle genti, che dall' attentato di Babele fu alterata o distrutta.
Questo mistico consorzio dovea suggerire tanto più agevolmente l' idea di una comunione intellettuale e scientifica, quanto che il Concilio e il presbiterio, (cioè le due spezie di assemblee ecclesiastiche, l' una transitoria e l' altra permanente, nelle quali si manifesta in modo più sensibile il gran corpo della Chiesa insegnante,) si occupavano non solo dii culto e di cose disciplinari ma eziandio di dogmi e di scienza sacra, ed erano assemblee dottrinali, che ricordavano anche per tal riguardo alcune istituzioni dello antico popolo eletto; quali erano il ceto levitico, i collegi dei profeti, la Sinagoga, le congreghe monastiche degli Esseni, e il famoso Sinedrio, sia che questo risalisse al seniorato mosaico, o dopo la servitù babilonica solamente cominciasse.
Il concetto delle adunanze letterarie e dottrinali uscì dunque dai comizi israelitici e cristiani, non altrimenti che quello delle assemblee politiche, industriose, commerciali ; e come prima la decrescente barbarie il permise, si manifestò sotto tre forme principali, quali sono l 'università, la accademia e il congresso scientifico; le quali contengono il germe della futura unità intellettuale e della repubblica erudita del mondo.
Imperocchè per le due prime si lavora, si sparge, si accresce, si perpetua in ciascuno stato il capitale delle cognizioni, che per la terza forma, quasi anfizionato e concilio enciclopedico, o compagnia trafficante i tesori dell' intelletto, si propaga da provincia a provincia e da nazione a nazione, sin che questo nobile scambio di concetti e di trovati sia accomunato a tutti i popoli cristiani e civili.
Ora il primo e il secondo instituto ebbero origine indubitatamente in Italia; e quanto all' ultimo, mi par di vederne un saggio nella corte medicea del secolo quindecimo, e in certi crocchi letterari, come quello del Manuzio 2) , i quali erano in abbozzo quasi il ritrovo letterato di Oriente e di Occidente.
Le dotte comunicazioni della Cristianità adolescente ebbero da principio per organo la favella nobile della religione e d' Italia, cioè il latino, che fu per più secoli la lingua letteraria di Europa, e giovò a maturare i rispettivi vernacoli delle varie nazioni, sinchè di balbettanti che erano, divenuti fanti, dalla loquela nudrice si divezzarono, a lieta pubertà arrivarono, dalla tutela di quella si emancepparono, in eruditi e gentili sermoni si trasformarono, e coniugati coll' idea cattolica, la ricca famiglia delle lettere e scienze europee per ultimo procrearono.
E non solo l' Italia fu la prima in tutti questi trovati per ordine di tempo, ma spesso ancora per ragione di eccellenza; imperocchè, se le sue instituzioni letterarie non riuscirono così romorose ed appariscenti come quelle di altri popoli, esse furono per alcuni rispetti meglio ordinate e più utili.
Qual è l' accademia, anche odierna, che pel forte impulso dato agli studi fisici si possa paragonare a quella del Cimento 3) . Egli è vero che le fortunose vicende, a cui la penisola soggiacque da un mezzo secolo, ci hanno addietrati per questa parte non poco; il che dovrebbe servirci di stimolo per farci correre con tanto più di lena, onde raggiungere e vincere le altre nazioni civili. E già i congressi scientifici, che in nessun paese di Europa da un lustro in qua furono così frequenti e copiosi e applauditi dalle popolazioni e onorati dai principi, come in Italia, mi paiono un buon pronostico di questo moto dell' italico ingegno, aspirante a ricuperare l' avito seggio. Il che, succedendo negli ordini del pensiero, addurrà seco un simile risorgimento in quelli dell' azione; e come gli intelletti e le fantasie formeranno dal Varo al Lisonzo, e dal giardino lacustre delle Borromee alle rupi di Malta una sola famiglia, così i principi ed i popoli peninsulari si stringeranno affratellati in una sola patria.
Imperocchè dalle idee germogliano i fatti, e dal moto ciclico degli intelletti e delle dottrine nasce quello della società e degli eventi ; perchè la vita esterna della natura e degli stati è il risalto e il germinamento del corso degli spiriti, come la storia è il riverbero e l' eco della dialettica. Laonde chi studiasse con accorgimento filosofico gli annali letterari d' Italia, ci troverebbe dentro le vicende politiche della nazione, e vedrebbe, per così dire, la patria riflessa ed effigiata nello specchio della enciclopedia e delle lettere, come l' astro del giorno nel suo parelio.
Così, per allegare un solo esempio, allor quando nella passata età la Accademia di Torino, nata nella casa di un patrizio privato 4) , ma divenuta ben tosto una pubblica instituzione, celebre anche fuori d' Italia, mostrò che lo ingegno subalpino era maturo ai più ardui esercizi della mente, un civile bisogno conforme ardeva ne' cuori ; e nel punto stesso, (come ho già avvertito,) che il Saluzzo, il Lagrangia e il Caluso inauguravano nella lor nativa provincia il pensiero scientifico della nazione, la coscienza politica di quella trovava in Vittorio Alfieri un robusto interprete e quasi un sacerdote, che iniziava il Piemonte alla comune patria italiana, e, nuovo Dante, ripigliava alle falde delle Alpi l' opera sacrosanta, cominciata cinque secoli innanzi alle radici dell' Appennino .
(Primato ... , cit sopra all' esordio ,pp. : 219-23). Torna su
NOTE
1 : WENRICH, De poeseos hebraicae atque arabicae origine, etc., Lipsia, 1843, pagg. 48, 49, 50. [G.] .
2 : Cfr. A. FIRMIN-DIDOT, A. Manuce et l' hellenismea a Venise, Parigi, 1875 .
3 : L' Accademia del Cimento fu iniziata in Firenze nel 1651, sotto il Gran duca Ferdinando II .
4 : La R. Accademia delle Scienze di Torino ebbe origine da una società privata, di cui furono fondatori nel 1757 il conte Saluzzo, Lagrange e Cigna. Fu riconosciuta nel 1783, come Accademia Reale delle Scienze, da1 re Vit torio Amedeo III.
4.LA RELIGIONE E' UNICA CONCILIATRICE DELLE SCIENZE E DI COLORO CHE LE COLTIVANO .
La repubblica delle lettere, non potendo darsi in effetto, senza la loro concordia nell' unità enciclopedica, abbisogna di una scienza prima, che colleghi e stringa insieme le varie discipline, non già con quella coordinazione superficiale, che nasce dalla esteriorità degli oggetti, e si può paragonare allo assetto più o meno arbitrario o apparente di un museo o di una biblioteca, ma con un ordine interno, logico, necessario, che dall' intima natura dello scibile scaturisca.
L' albero enciclopedico, immaginato da Bacone e rimesso in campo più volte nel sèguito con modificazioni, che non ne toccano la sostanza, si fonda in una di quelle classificazioni esteriori, arbitrarie e capricciose ; ed è tanto buono a costituire l' enciclopedia, quanto il riunire le ossa e il ricomporre lo scheletro di un cadavero fatto in pezzi è valevole a restituirgli la vita.
L' enciclopedia non dee essere una galleria di mummie, ma una famiglia di esseri viventi e bene organati : varie scienze ci si vogliono consertare in guisa, che l' una nasca dall' altra per modo di generazione, invece di accostarsi e congiungersi insieme per via di semplice aggregato. Insomma l' enciclopedia ha mestieri di un principio vitale ed organico, non possibile a trovarsi fuori di una scienza prima ed enciclopedica, di una filosofia sublime ed universale, che raccolga e riduca a unità di artifizioso tessuto, e non di rozzo gomitolo, le fila sparse delle cognizioni. La quale dee essere rispetto alle altre discipline ciò che è l' Italia riguardo alle altre nazioni, cioè Primo e Ultimo, principio e fine, protologia e teleologia, proemio ed epilogo, assiomatica elementare e coronide suprema.
Quando le condizioni della nostra patria furono almen tollerabili, noi concepimmo il disegno di una disciplina, e osammo abbozzarla ; e i due saggi più insigni, che ne abbia veduto il mondo, furono il Pitagorismo della Magna Grecia e il realismo del medio evo, frutti amendue dell' ingegno italiano, e da lui procreati, l' uno nell' età gentilesca, ma avvalorata dalle tradizioni pelasgiche, ritraenti assai dell' ortodossia primitiva, l'altro nell' età cristiana, ma ancora infetta dalle barbarie.
Benchè, ragguagliata ogni cosa, il Pitagorismo sia forse la teorica scientifica più vasta, che abbia sin ora veduta la luce; tuttavia, siccome da un lato l' osservazione e la esperienza di quei tempi erano tuttavia bambine, e dall' altro lato non soccorreva il principio sovrano di creazione, il sistema italico fu più poetico che scientifico quanto ai particolari, e difettuoso quanto agli universali.
Tuttavolta a malgrado della poesia, la scuola di Crotona scoperse la monarchia del sole e l' armonia universale del creato: si accorse che tutto il mondo cammina a ragione di compasso e di abaco, di figure e di numeri, ed è nel tempo medesimo un tutto vivente, squisitamente organato: congiunse la sintesi all' analisi, la speculazione alla cognizione empirica e alla pratica, il processo dinamico al meccanico e corpuscolare; e vide in fine che la vita dell' universo risulta da due elementi differentissimi, cioè dalla varietà e pugna dei contrari tenzonanti fra loro, e dall' unità, che li compone e armonizza. E benchè gli mancasse colla parola legittima il principio protologico del sapere, tuttavia il dogma pelasgico del Teo, e il dualismo del Noo e dell' Ile lo salvarono dal panteismo schietto, e da quelle esorbitanze, in cui trascorse poco appresso la setta eleatica.
Il realismo del medio evo mancò per la rozzezza dei tempi di ogni corredo matematico e sperimentale; ma se pel difetto assoluto di osservazioni e di calcoli sottostà al Pitagorismo, lo vince di gran lunga per la bontà dei principii speculativi, sgombri affatto da ogni nebbia di dualismo e di panteismo. Ciò nulla meno, siccome il principio di creazione non venne posto dai realisti in capo alla scienza, ne nacque fra loro il divorzio del processo intuitivo dal processo riflessivo; divorzio che col tempo diventò una vera pugna, produsse il semirealismo di Giovanni Duns, il nominalismo di Abelardo, e partorì infine la ruina totale della Scolastica, che morì fra il sensismo nominale dell' Occamo e le sottigliezze verbali degli Scotisti.
Chi voglia formarsi un genuino concetto del realismo cristiano del medioevo dee incominciarne l' istoria da Anselmo di Aosta, che ne fu il vero padre; da cui uscirono quei due fiumi di Bonaventura e di Tommaso, che, compartendo fra loro la ricca unità del lor precessore, rappresentano la dualità dell' intuito e del pensiero riflessivo, disgiunti si, ma non ancora nemici; imperocchè coloro, che ad esempio dei Rosminiani, sequestrano le dottrine di quei due sommi pensatori, e si credono di vantaggiare il secondo, mettendolo in contraddizione col primo, s' ingannano a gran partito, e ignorano in che consiste il vero realismo.
Il problema che oggi si dee proporre la filosofia italiana, è di unificare questi due ordini, e di conciliare il platonismo del Bagnorese coll' aristotelismo dell' Aquinate, ricostruendo l' unità pitagorica dello Augustano, e procedendo, non già all' empirica e coll' analisi critica, secondo l' uso degli eclettici e dei volgari conciliatori, ma alla sintetica ed a priori, mediante un principio, che sovrasti a tutti i sistemi e comprenda nella sua moltiplice unità l' ordine intuitivo col discorsivo, accordandoli insieme, senza confonderli, e distinguendoli, senza separarli.
Ora questo principio è quello di creazione, espresso dalla formola ideale; la quale è l' unica conciliatrice delle contrarietà apparenti dei sistemi ortodossi, e reca nella storia della filosofia la stessa armonia, che l' effettuazione di essa formola produce nel mondo; onde il reale collo scibile si ragguaglia. La formola costituisce per tal modo una scienza sublime e universale, apice e base ad un tempo della piramide enciclopedica; sublime, perchè sovrasta a ogni disciplina, e la genera, come il comignolo da cui muove la proiezione di una guglia; universale, perchè comprende potenzialmente tutte le cognizioni e le puntella, come il dado che sostenta ed abbraccia la mole acuminata e rivolta verso il cielo .
Ma da che deriva l' unità della piramide scientifica, se non dalla idea , che siede in capo alla formola, e si diffonde per tutte le sue membra, senza scapito della unità e semplicità propria? Iddio è adunqne, come uno, il principio e il fine, l' alfa e l' omega della enciclopedia, e come immenso, nella sua unità la comprende allo stesso modo ch' egli coll' amoroso amplesso creativo tutte le sue fatture.
Per tal guisa il concetto di Dio, come capo e termine del sapere, è virtualmente l 'enciclopedia tutta quanta ; e come senza Iddio, nè il mondo può darsi, nè può concepirsi come universo, così senza la nozione di Lui si possono bensì avere più scienze disgregate e imperfette, ma non la scienza. La quale in virtù di quella idea suprema diventa una religione, onde gli atenei, le accademie, le biblioteche sono il tempio, e il concilio dei savi è il chiericato.
Ma siccome la prima formola procreatrice del conoscimento non si può ripensare senza la parola ortodossa, e oltre l' umana, contiene fontalmente la divina sapienza, ne segue che la filosofia e la teologia, il culto delle lettere e quello della religione, la repubblica erudita e la società cristiana sono discipline e instituzioni sorelle, che non si possono scompagnare, senza far violenza alla natura delle cose, alterare l' armonia morale dell' umano consorzio, e interrompere il corso dell' incivilimento.
Eccovi come le ragioni dell' enciclopedia ci riconducono con rigore di logica al verbo legittimo, e conseguentemente all' Italia; la quale, essendo il seggio della religione, e come dire la patria e il prediletto albergo della formola generatrice di ogni vero, è invitata dal privilegio che possiede a inaugurare in Europa la scienza principe . Insomma la religione e necessaria alle dottrine per cessarne le ripugnanze apparenti, empiere i vani e rimuovere gl' intervalli che le dividono, classificarle in modo naturale ed organico, non per via arbitraria e per semplice addizione, e in fine comporle tutte insieme, collegarle e ridurle a quell' unità complessiva, che enciclopedia si appella.
Egli è chiaro che, cosi discorrendo, io non intendo per cattolicismo un sistema ristretto e speciale, come si fa da molti, sovratutto in Francia, ma una teorica vasta come l' universo, anzi immensa come il suo fattore, la quale comprende, ogni cosa nel suo giro: e solo esclude il male e l' orrore, cioè il nulla, al modo medesimo che lo Spazio celeste ricetta nel suo grembo le miriadi dei monti e dei soli, ma non il caos, nè lo scompiglio.
Certo la parte più sublime della religione è quella che riguarda la salute eterna degli uomini; non però se ne dee rimuovere ciò che concerne gli ordini del tempo, i quali, benchè non siano di alcun momento in sè stessi, perchè passeggeri, acquistano un pregio infinito, in quanto mirano a uno scopo estemporaneo e all' immanente durata si riferiscono. Altrimenti essa religione più non sarebbe ciò che suona il suo vocabolo, e riuscendo parziale, invece di essere universale, più non comprenderebbe ogni cosa in sè stessa, avrebbe ragione di contenuto, e non di contenente, sarebbe limitata, anzi meno ampia dello spazio cosmico, in cambio di essere infinita, come il suo principio. E non risponderebbe all'idea, che ce ne diede il divin fondatore, quando diceva con semplicità sublime alle turbe ansiose per le temporali cure: Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia: e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte l).
(Primato ... , cit sopra all' esordio ,pp.224-27) . Torna su
NOTE
1: MATTH., VI, 33. [G.].
5.CAUSE DELLA IRRELIGIONE IN ALCUNI DOTTI. SUOI RIMEDII .
Come la religione è creatrice dell' enciclopedia e conciliatrice delle scienze, così queste possono e debbono rendere in un certo modo a essa religione il benefizio, che ne hanno ricevuto, conciliandole gl' intelletti degli uomini, mettendo in luce l' armonia di tutte le sue parti, e sgombrandone le caligini, con cui l' ignoranza, i viziosi affetti e le preoccupazioni cercano di oscurarla.
Anche per questo verso il ceto dei dotti dee esercitare una spezie di sacro apostolato, ed è negli ordini umani ausiliare del sacerdozio. Il che succede agevolmente, ancorchè gli studiosi delle profane discipline non escano dei loro limiti, purchè ciascuno di essi coltivi diligentemente quella a cui si è dedicato, addentrandosi nelle sue viscere con profondità d' ingegno, e cercandone con vastità di mente le attinenze colle sue compagne; giacchè la scienza superficiale e la scienza rotta sono le sole, che tornino inutili ed infeste alla fede.
Il sapere moderno fu sino a Cartesio, salvo pochi casi, pio e cristiano, perchè profondo e concorde, secondo i tempi; laddove con questo filosofo cominciò la guerra delle dottrine contro la religione, perchè egli fu primo a renderle frivole e dissenzienti ; se si eccettua la matematica, nella quale il suo ingegno si mostrò penetrativo e sagacissimo, rasentando il calcolo dell' infinito, e vastissimo, adattando l' algebra alla scienza delle figure. Ma in tutte le altre parti egli fu artefice di leggerezza e di discordia col suo dubbio analitico e preliminare, e col suo metodo psicologico; perchè la saldezza e l' armonia delle cognizioni non possono altronde procedere che dalla sintesi dogmatica, informata e guidata dall' unità di un principio ontologico e supremo.
Il filosofo francese soffocò pertanto l' enciclopedia, quando appunto stava per nascere mercè la scuola esperimentale fondata dal Galileo, e quando la creazione della fisica moderna compiva col realismo della natura il realismo ideale della filosofia italoplatonica, purificata e aggrandita dal Cristianesimo. Onde, allorchè i pronipoti del Descartes posero mano a riunire in una sola opera alcune verità sparpagliate e la ricca suppellettile degli errori del secolo, nulla fu meno enciclopedico dell' enciclopedia loro; componimento babelico e vero caos dottrinale, sprovveduto di ogni unità, salvo l' unanimità derivante dall' odio e dalla disdetta del dogma religioso, privo di ogni legatura, eccetto quella che nasce dall' alfabeto, e preceduto da un albero scientifico, che manca di radice, di tronco, di frutti, e non ha che le foglie.
Uno dei sintomi dimostrativi dello stato inorganico, a cui sono giunte le scienze, è appunto la mania, divenuta d' allora in poi universale, di tritarle in frammenti, sminuzzarle in giornali, trinciarle in dizionari; il cui primo saggio venne dato da Pietro Bayle, che applicando il pirronismo cartesiano agli eventi, mise la storia in dubbio e in facezia, la religione in bestemmia, fu precursore di Voltaire, e fabbricò quell' arsenale, donde l' erudita e procace ignoranza del secolo decimottavo trasse le armi, di cui si valse per combattere il Cristianesimo.
Perciò l' empietà della scienza accompagnò di pari passo i suoi progressi nell' anarchia e nella frivolezza; e se fra questa plebe letterata i veri eredi di Galileo e del Leibniz non mancarono, essi resero omaggio alle comuni credenze; onde anche negli ultimi tempi il Caluso, il Sacy, il Cuvier , l' Ampère, il Bidone e altri insigni furono devoti alla religione, perchè seppero tutto, quando gli eclettici e gli umanitari dei dì nostri sono irreligiosi, perchè non sanno nulla.
Vero è che si trovarono e tuttavia si trovano uomini dottissimi e ingegnosissimi in qualche special disciplina, i quali non fanno buon viso alle religiose credenze, e si lasciano trasportare su questo articolo alla corrente del secolo, benchè nelle altre cose se ne burlino, e siano d' ingegno bastevolmente libero. Ciò nasce da due cagioni; l'una delle quali si è che costoro, quantunque versatissimi negli oggetti speciali dei loro studi, non conoscono ciò che ripudiano, e se ne formano un concetto, non pure superficiale e inesatto, ma omninamente falso; imperocchè si può tenere per una regola generale che mai non falla, l' incredulità congiunta a buon giudizio e a diritto animo essere un effetto dell' ignoranza.
Se accade che un uomo dotato di sano accorgimento e di rette intenzioni, si mostri avverso al dogma cattolico, se ne dee inferire che non lo conosce, e che rigetta non già esso dogma, qual è veramente in sè stesso, ma un fantasma, che piglia in suo scambio.
Il valore logico e la credibilità di una opinione procedono dalla esattezza del concetto, che altri se ne forma; imperocchè chi si ferma alla corteccia e non considera la cosa, di cui si tratta nel suo genuino aspetto, non può essere in grado di apprezzarla, solendo avvenire che il vero veduto di traverso sembri falso, come un oggetto bellissimo squadrato di lontano o per isbieco può perdere la sua venustà, e contemplato coll' aiuto di un vetro irregolare riesce necessariamente un mostro. Il che accade tanto più di leggieri, quanto più la verità è complessiva e moltiforme; qual si è appunto la religione, che essendo la disciplina più vasta e moltiplice, che si dia al mondo, può facilmcnte essere alterata dall' immagine, che altri se ne forma nel suo cervello; giacchè i casi possibili di alterazione sono proporzionati al numero di elementi, che compongono la cosa alterabile, e all' artificio della sua struttura.
Così egli è molto più agevole il ben conoscere un cristallo, che il corpo umano, perchè quello è un essere inorganico, e questo porge l' organismo più ricco, più vario, più complicato e magistrale, che si trovi in natura. Ora la religione è la più ampia ed organica delle scienze, come quella che abbraccia nella sua universalità tutte le cose, e dal tempo s' innalza all' eterno; ond' è anco la più gravida di antinomie apparenti e di misteri ; giacchè le contrarietà e le oscurezze, nascendo dagl' intervalli che corrono fra un vero e l'altro, sono proporzionate al numero e alla complicazione degli oggetti, da cui risultano. E non è meraviglia che l' uomo, anche dotto e ingegnoso, abbia solo una notizia mendosa o superficiale della religione, sia perchè le sue opinioni su questo articolo sono spesso effetto di una cattiva educazione, di letture frivole, dell' esempio, della moda, di quella influenza, che il secolo ha più o meno anche negli spiriti privilegiati ; e perchè, occupato continuamente dal tema prediletto degli studi suoi, egli è inclinato a giudicare delle altre cose piuttosto cogli occhi e col senno altrui, che col proprio. Onde spesso troverai uomini eruditissimi e sommi in qualche austera disciplina, i quali si mostrano inetti in una disciplina diversa, poniamo nelle lettere, nelle arti belle, nella politica ; meno forse per difetto d' ingegno, che di pratica in queste materie, e di quella consuetudine, che si ricerca a farne stima direttamente.
Spesso, anche si dà sentenza sulla verità delle dottrine e sulla bontà delle instituzioni, secondo la qualità di coloro che le insegnano e le rappresentano; onde avviene che, considerando le anguste verità e le sante pratiche della religione attraverso i difetti, gli errori, i vizi, le passioni, la meschinità, la grettezza, l' ignoranza e talvolta anco pur troppo la perversità di quelli che le predicano ed esercitano, si fa un cattivo concetto delle cose medesime; il che suole accader sovratutto qnando la disciplina ecclesiastica è trasandata e scadente.
Questa certo fu in ogni tempo una delle cause principali della miscredenza e delle eresie; e anche oggi si può affermare che la maggior parte di coloro che avversano la religione, non la contemplano in sè stessa, ma la consociano nel loro spirito ai mancamenti degli uomini, e ne la rendono mallevadrice, somigliando per questa parte a quel celebre misantropo dell' età scorsa, che mosse guerra alla società umana l) , perchè spesso viziata dalla debolezza o dalla colpa di coloro che la compongono, e reputò beati come gli iddii di Omero, i popoli bestiali e selvaggi, solo perchè non è angelica la natura degli uomini civili.
L' altra cagione della miscredenza in alcuni dotti eziandio insigni per ingegno e sapere, è la ristrettezza degli studi, l' estensione dei quali non pareggia la profondità loro, limitandosi a una sola disciplina e talvolta a un solo ramo di essa.
Ora le scienze non arrecano gran pro alla religione, se non in quanto sono insieme unite e confederate, ed alla enciclopedica unità si riducono; anzi, quando vengano disgiunte, possono agevolmente nuocere a quella, imprimendo nei loro cultori un abito di mente ristretto e poco atto ad afferrare quella evidenza, che non risulta tanto da ciascuna di loro separatamente, quanto dal loro consorzio e dalla considerazione simultanea delle loro armonie e attinenze reciproche.
Cosi, verbigrazia, le matematiche e le fisiche, scienze nobilissime e importantissime, possono, accoppiate alle altre dottrine, giovare assai alla retta filosofia e alla religione ; ma non si può negare che gli studiosi, avvezzi a non uscir mai dai confini di quelle o digiuni delle altre ricerche, non ne contraggano una certa disposizione a non ammettere altro criterio del vero, che il calcolo e l' osservazione esteriore; onde diventano in filosofia materialisti e scettici, ripudiando tutto ciò che sfugge alla sensata notizia degli sperimenti, o alle equazioni dell' algebra.
Oltre che, l' utilità principale che la scienza umana porge alla divina, nasce dalle moltiplici e svariate attinenze che ella mette in luce fra le varie cognizioni; mediante le quali attinenze il filosofo, può conciliare le antinomie apparenti, che si trovano nelle credenze legittime. Questa avvertenza mi pare di tanta importanza, per mostrare il nuovo indirizzo, che la enciclopedia dee prendere a pro della religione, e dei vantaggi, che questa può trarre dallo scibile umano, che prego il lettore di fermarvi specialmente la sua attenzione, benchè io non possa qui far altro che accennarla, riserbandomi a svolgerla più minutamente in un altro lavoro.
L' eterodossia regna in Europa da tre secoli, benchè sia discorsa per diverse forme; prima, tenendosi fra i limiti delle eresie parziali, e poscia, riuscendo a irreligion manifesta, mediante quel razionalismo che non lascia in piedi alcuna parte del Cristianesimo.
Ora se io domando qual sia la causa di tanta ruina, odo rispondere da tutti, essere la ragione, la quale a poco a poco smantellò e diroccò affatto l' edifizio della rivelazione; e benchè i pareri si diversifichino sul valore morale dell' opera, e gli uni, cioè gl' increduli la abbiano per buona e legittima, e gli altri, vale a dire i credenti, l' ascrivano per contro all' abuso della facoltà più nobile, ciascuno però si accorda a tenere per cagion dello effetto, onde si parla, una potenza affatto distinta dalla rivelazione, e divenuta a diritto o a torto sua nemica.
Io ammetto di buon grado la dualità della ragione e del lume rivelato, come quella della civiltà e della religione; se non che, siccome la ragione, di cui qui si parla, non può essere l' intuito solo, ma bensì la potenza riflessiva, confesso che non so risolvermi a tenerla per sorella della rivelazione, e che la considero solamente come sua figliuola, nudrita del suo latte e uscita dalle sue viscere.
Imperocchè la ragion riflessiva può ella esercitarsi, senza la parola ? E qual è la parola, che forma la ragione ed instituisce il senno dei popoli civili, se non il verbo religioso e ieratico ? Giacchè dal culto e dal sacerdozio nasce tutta quanta la cultura delle nazionì. Ciò posto, io chieggo, qual è questa ragione che, ribellandosi dalla Chiesa e combattendo il Cristianesimo, partorì tutti gli errori che, da tre secoli infestano l' Europa? Forsechè è una ragione indipendente da esso Cristianesimo, anteriore a lui, sopravissuta al suo stabilimento, e insorta quindi contro dì esso, come una potenza nemica ? Certo, le lingue, le instituzioni e le credenze antiche di una porzione d' Europa, e spezialmente di Germania, essendo infette di panteismo, esercitarono l' ufficio di un avversario esteriore verso la nuova parola e dottrina dell' Evangelio ; ma siccome d' altra parte questo si collega colla cattolicità primitiva, di cui fu il rinnovamento e il compimento, e le origini dell' eterodossia gentilesca furono posteriori alla nativa fede ortodossa del genere umano, io chieggo se la ragione autrice del traviamento sia stata una potenza affatto distinta dalla verità, quando questa venne assalita per la prima volta ?
No sicuramente; poichè innanzì all' età falegica una sola lingua regnava fra gli uomini, e il divorzio degl' idiomi fu l' effetto, non la causa, dell' eterodossia già invalsa, benchè contribuisse ad accrescerla. Dunque io conchiudo, la potenza che oppugna il vero esser nata fontalmente dal vero medesimo, e la ragione eterodossa che da trecento anni imperversa in Europa essere uno sviamento della ragione ortodossa; tanto che la fede è combattuta e straziata non da una straniera, ma dalla sua propria figliuola, o piuttosto la ragione cozza e si lacera da se medesima.
La discordia, che regna fra i due principii, è una vera guerra civile, nella quale la ragione dei popoli cristiani, plasmata e disciplinata dal tirocinio cattolico, si vale delle armi che ha ricevute, per combattere la sua propria madre. Infatti, che cos' è il modo di pensare e di sentire dei popoli cristiani, se non un portato del Cristianesimo ? Il presupporre nell' uomo una facoltà razionale, non dipendente dalla parola ricevuta a principio, è cosa al tutto assurda; poichè lo Spirito umano non fa mai un passo senza lo strumento della riflessione, e fuori della loquela che adopera. Chiaminsi a rassegna le opinioni, che regnano in Europa, e vedrassi che tutte sono opera del Cristianesimo, o se gli sono anteriori, risalgono alle credenze primigenie del genere umano.
Da queste considerazioni nasce una consegnenza rilevantissima; la quale si è, che la ragione combattitrice della fede è una figliuola ingrata di essa, e che quindi non ha il diritto d' inalberarsi ed insuperbire, quasi fosse una potenza distinta da quella, indipendente ed autonoma di sua natura.
Ma come mai, dirà taluno, può succedere che l'errore nasca dal vero o pure che un vero ad altro contrasti ? Come dunque l' eterodossia è potuta scaturire dalle credenze ortodosse, ovvero, (ciò che è tutt' uno,) dalle opinioni procreate da loro ?
Per ben conoscere la natura dell' errore, bisogna avvertire che esso è composto di due elementi distinti e differentissimi, cioè di una affermazione e di una negazione. Nel Componente negativo risiede l' essenza dell'errore; ma siccome la negazione per sè medesima è un mero nulla, essa non può sussistere, nè cader nel pensiero e dar luogo a un giudizio, nè venire espressa, nè produr certi effetti, se non in quanto a qualcosa di positivo è congiunta. E siccome in ordine alla cognizione non vi ha altra positività che il vero, la parte affermativa del falso dee essere una verità ; ma una verità parziale, manca, esclusiva, imperfetta, sequestrata dalle altre, che l' accompagnano e la compiono, tanto che ella riesce più tosto un brano del vero, che altro.
Ora, nel credere che questa verità difettuosa sia tutta la verità, che un vero parziale sia il vero universale, e quindi nel valersi di quello per dar lo sfratto al rimanente, come se altri credesse che un lato del poligono sia tutta la figura, di cui rappresenta soltanto una particella, consiste appunto l' essenza di ogni falsa dottrina. L' errore adunqne, in quanto è dotato di una certa entità, è un vero divulso, di cui lo spirito si serve per negare altri veri, che in vista seco ripugnano.
Se non che, chiederanno alcuni, come mai la mente umana può rinvenire nello specchio obbiettivo delle cose una contraddizione, che non ci è in effetto ? Rispondo che ciò nasce in parte dalle imperfezioni della cognizion riflessiva, in parte da un difetto metodico. La riflessione di sua natura non può conoscere, nè esprimere distintamente, se non un vero per volta, ed è quindi costretta a sciogliere in molte parti, e per così dire a fare in pezzi, l' unità semplicissima del vero intuitivo, come il prisma, che divide i colori racchiusi dalla luce nella sua bianchezza, e fa guizzare il variopinto e acceso trapunto dell' iride dal candido tessuto dell' onda luminosa.
Questa division riflessiva si rinfrange nella parola; la quale, costretta di sua natura a mettere un piede innanzi all' altro e a fare un passo per volta, rappresenta col graduato sgomitolarsi della sintassi grammaticale l' analisi operata dalla facoltà ripensante intorno ai dati primitivi dell' intuito. Il qual difetto inevitabile della riflessione può e dee essere corretto dalla sintesi, che rifà successivamente la tela intuitiva, disfatta dall' analisi, e colloca questa sintesi primordiale in capo alla scienza, armonizzando il processo di questa con quello del primo e immediato conoscimento.
Ma se in vece di far riverberare l' unità dell' intuito nella cognizion riflessiva per mezzo del metodo sintetico, l' uomo si ferma all' analisi, in luogo del vero unico egli non assegue che molti brani di verità sparpagliati ; i quali, disgiunti gli uni dagli altri, e divisi da misteriosi intervalli, paiono slegati di lor natura e fra sè discordanti. L' analisi è buona a dividere, ma la sintesi sola, procedendo per deduzione, è atta a comporre i veri, mostrando la moltitudine delle conseguenze racchiuse nell' unità dei principii, e riducendo i vari principii derivati a un principio originale, unico e supremo, che tutti gli abbraccia; il quale non è altro che la prima formola.
Perciò, se si adopera il solo processo analitico, la verità dà luogo necessariamente a molte antinomie e dissidenze intestine, che al sembiante paiono fondatissime, e inducono gli spiriti logici e severi allo scetticismo assoluto. Così il pirronismo di Davide Hume si fonda su tali ripugnanze, benchè da lui percepite solo in modo confuso; ma Emanuele Kant, sottentrando allo Scozzese, le ridusse a certe leggi subbiettive dello spirito umano, finchè l' Hegel tolse a conciliarle, valendosi del panteismo, confondendo insieme le contrarietà di ordini differentissimi, e riducendole tutte a un' assoluta e discorde medesimezza.
Ora in ciascuna di tali antinomie il vero è messo a pugna col vero dal cattivo metodo del filosofo, che non sa vedere la loro concordia nell' unità di un principio; come accade, verbigrazia, a coloro che sequestrano l' ideale dal reale, perchè non risalgono a quel pronunziato, in cui l' idealità si immedesima colla realtà assoluta, e aprono, senza avvedersene, il varco a uno scetticismo senza limiti.
Imperocchè, chi non avvisa che nella nozione dell' Ente l' ideale si unifica col reale, perchè l' ideale non si può pensare se non come reale, nè il reale se non come ideale, e si ostina a mantenere il contrario, anche dopo che tal errore fu posto in pienissima luce, sarebbe forse meglio a lasciar di filosofare, piuttosto che far increscere e ridere bonamente di sè.
(Primato ... , cit sopra all' esordio ,pp. 228-35). Torna su
NOTE
1: Allude a Gian Giacomo Rousseau.
6.ESORTAZIONE AI SAPIENTI D' ITALIA, AFFINCHE' RINNOVINO L'ACCORDO DELLA RELIGIONE CON LA SCIENZA .
La religione, come ogni altra cosa umana, vale e frutta fra gli uomini, proporzionatamente al modo in cui viene praticata ed estrinsecata da' suoi fautori. Posta nel suo vero aspetto, ella fa miracoli: non v' ha un intelletto sano, che non sia colpito dalla sua luce, non un animo diritto e un cuore ben fatto, che non si sentano tocchi dal suo benefico calore e adescati dalle sue attrattive.
Ma, come infinita in sè medesima, ella è una cosa obbiettiva , di cui la subbiettività umana, per quanto si voglia supporre squisita e capace, non può appropriarsi che un piccolo sorso : Iddio solo, se posso così esprimermi, è perfettamente religioso, perchè la religione è la sua essenza. Noi poveri mortali a cui è disdetto di abbracciare e di esaurir l' infinito, dobbiamo fare ogni nostro potere, affinchè quella tal porzioncella di scienza divina, che possediamo, abbia la maggiore ampiezza e perfezione possibile.
Questa misura varia e dee variare secondo la qualità degl' ingegni, la inclinazione degli animi e l' artificiale loro cultura; ma si può dire, generalmente parlando, che nessuna classe d' uomini è meglio disposta e condizionata per tal rispetto dei letterati e dei dotti di professione, avvezzi a comprendere le ragioni universali dello scibile. Perciò a voi, o sapienti della Italia, più che ad ogni altro ceto di cittadini, incumbe il glorioso officio di ristorare le dottrine ideali in quella patria, che coll' ingegno e cogli studi cotanto onorate.
La quale negli ultimi tempi, corsa, battuta, spogliata, lacerata dagli stranieri, ha vedute di ogni sorta ruine: lettere, scienze, arti, libertà, dignità, onore e ogni altro bene le fu tolto, e colle presenti dovizie vennero anco disperse e manomesse in gran parte le memorie e le ricchezze dei secoli trapassati. Ma i brutali, non ancora contenti a tanto sterminio, ci vollero persino rapir la speranza, e privarci dell' avvenire, trattandoci come quei popoli antichi, che erano strappati dagli altari, a cui vinti fuggivano; così noi orbati fummo della religione, unico conforto dei miseri, unica fiducia degli abbattuti e arra del loro risorgimento.
La religione è necessaria a tutti, ma più ancora al nostro che agli altri paesi, poichè è connaturata alla sua indole e non si può scompagnare dalle sue umane grandezze. Oh che sarebbe l' Italia se questo lume divino si spegnesse nel suo seno ? Che diverrebbero le sue preterite glorie, e le magnifiche poesie, e le vaste, sontuose basiliche, e i sovrumani dipinti, se la fede inspiratrice di questi miracoli a superstizione si ascrivesse ? Qual sarebbe il suo avvenire, se consigliandosi con certi savi, ella sostituisse le vie ferrate e i colli di cotone alle idee consolatrici, e credesse di poter supplire ai voli dell' ingegno, ai trionfi morali e civili, colle macchine a vapore ?
E pure i barbari han fatto ogni opera per disertarci anche da questo lato: i barbari ci hanno inoculata una filosofia pestifera, ci hanno insegnato a ridere dei nostri padri, a schernire e a straziare le cose più venerande, a mettere in deriso i misteri di Dio, le consolazioni del cielo e i sacramenti della patria.
E benchè non siano riusciti a spegnere la fiaccola immortale, benchè questa arda tuttavia in molti cuori eletti e gentili, e riscaldi il corpo delle generazioni italiche, non si può negare che in molti intelletti ella non sia estinta e in moltissimi illanguidita. Ora siccome il male è proceduto dalla falsa scienza straniera, che soffoca la divina fiamma e cospira ad ammorzarla, egli è debito della vera scienza italiana il farla rivivere e restituirle l' antico suo splendore.
Tanto più che il danno è anche maggiore negli altri paesi ; imperocchè i giorni falegici e paganici sono risorti per tutta Europa, e quella fede, che or sono diciotto secoli in lei discese ad illuminarla ed ingentilirla, sdegnata alle ingiurie e all' ingratitudine degli uomini, s' è di nuovo ritirata nel cielo. Ma a chi appartiene il richiamarla ad abitar fra i mortali ? Chi dee ammannirle l' albergo ? A chi sta il prenunziarne l' arrivo e prepararne i nuovi trionfi ? A chi spetta insomma l' incominciare la seconda ribenedizione dei popoli ? Non certo alle nazioni, che furono prima causa di tanta ruina e pietra di scandalo: non alla Germania eretica, alla Francia incredula, all' Inghilterra e alla Russia scismatiche, alla Spagna imitatrice e copiatrice servile de' suoi sviati vicini. L' onor del riscatto e il benefizio della salute non possono provenir da coloro, su cui pesano la colpa e l' onta del servaggio e del parricidio.
Questa gloria si addice solo all' Italia , alla nazione creatrice e redentrice, religiosa e ieratica per eccellenza, perpetua conservatrice delle promesse e mallevadrice delle speranze , arca del nuovo patto e simbolo di quel cielo, dove non arrivano le ombre della terra, nè le alternative del giorno e della notte , perché vi piove un fulgore eterno dalle faci del firmamento . E' l' Italia sacra, che vive nel cuore dell' altra, e in cui il fuoco celeste è perenne , perché sebbene reso talvolta men chiaro dai nembi che lo circondano, non può mai essere spento dalla furia degli elementi , nè orbato di quello splendore per cui brilla nel buio notturno, come un faro inalberato a salute dei naviganti.
A questa diva Italia dee ricorrere con fiducia chi voglia emergere dalle tenebre addensate sul resto di Europa, di cui la nostra bella penisola è quasi l' astro vivificatore; onde a lei sogliono rifuggire i malinconici figliuoli del norte quando, stanchi delle brume perpetue e dei gelati aquiloni, aspirano a fruire di un aura balsamica e di un raggio sereno di primavera. Ma l' alta impresa d' intiepidire e ralluminare il mondo assiderato e ravvolto nelle caligini dell' errore, è vostra principalmente, o ingegni divini, che rappresentate l' intelletto e il senno italiano nel concilio dei popoli civili.
La età, in cui vivete, è propizia per fecondare la scienza colla religione, per ravvivare la religione colla scienza, e per valersi di entrambe insieme confederate a rianimare il cadavere di quella patria, che è nostra madre comune. E chi ha perduto il più sodo e dolce pascolo dei pensieri e dei sentimenti anela a racquistarlo. La società è piena di miseri fra le delizie, e di affamati nell' opulenza, che dolorano ramingando, e vivono tribolando, perchè mancano di quel soave cibo, che solo può appagare lo spirito e satollare l' umano affetto; ai quali niuno può meglio di voi soddisfare colle scienze che insegnate, guidandoli quasi per mano alla meta suprema degli umani desideri, e facendoli salir dolcemente dalle maraviglie terrene a quelle del cielo.
Abbiate pietà di tanti poveri giovani ingegnosi, fervidi, avidi del bello e del grande, che bevono la falsa scienza solo perchè non trovano chi amministri loro la sincera ; lo spirito dei quali si schiuderebbe cupidamente alla verità, quando altri la porgesse alle loro brame, come il calice dei teneri fiori si apre alla rugiada dell' alba e al sole mattutino. Movetevi a compassione della misera plebe ; perchè a lungo andare essa pensa e giudica sottosopra, come gli uomini colti, benchè non possa partecipare alle squisitezze della loro coltura; onde quando i dotti cominciano a non credere, il morbo si propaga in breve pel rimanente della nazione, com' è avvenuto in Francia.
Ora il torre la fede al povero volgo è come il torgli la vita, anzi per un verso è azione più detestabile; perchè da un lato il volgo è il ceto più infelice e più bisognoso di conforto, e dall' altro lato la religione è il solo balsamo e l' unica speranza del meschinello, penurioso o manchevole di ogni altro bene. Le umane consolazioni poco giovano nei gravi infortunii, eziandio a quelli che possono averle più a dovizia; e chi fa professione di studi, di sapienza, dee conoscere la vanità di tali conforti più ancora degli altri uomini, poichè, penetrando più addentro nella nostra natura, è altresì meglio informato dell' insanabile miseria che la travaglia.
E in vero, di qual efficacia può essere la scienza contro l' acerbità del dolore ? E pure il dolore empie il mondo, piglia tutti gli aspetti, e non vi ha mortale così privilegiato che sfugga alle sue punture. E ancorchè le evitasse, potrebbe forse sottrarsi al morbo della vecchiezza o rimediare alla morte ? Che giova ai morituri la scienza scompagnata dalla speranza ? Chiedetelo a tanti uomini insigni, che, giunti all' ultimo passo, si dolsero di averla acquistata, e si pentirono della loro fama. La sapienza umana è impotente, non che a differire o ad evitare, ma ad addolcire l' ultima e suprema sciagura; la quale è altresì a ciascuno la più imminente, com' è la più inevitabile ed universale.
A ogni momento che scorre nella lenta seguenza dei secoli migliaia e migliaia d' uomini mandano fuori l' anima nelle varie parti del mondo con diversi modi e dolorosi di morte. Tutta la terra è un vasto tormentatorio, dove il nostro genere è straziato continuamente con ogni qualità di supplizi, finchè tocchi ad ogni individuo il colpo mortale, che lo estingue; e i brevi piaceri della vita, (onde anche molti son privi,) si possono paragonare a quei corti intervalli di riposo, che i giustizieri concedono ai martoriati, acciò non manchino troppo presto, e, ripreso un po' di lena, tornino freschi e più sensibili ai tormenti.
Se i singhiozzi, i pianti, le strida, gli ululati dei dolenti e dei moribondi, che si trovano dispersi nelle varie parti del globo, insieme si accozzassero, che suono lugubre, che gemito immenso farebbero nell'universo! La scienza nonché poter medicare la maggior parte dei mali, è ridotta al doloroso ufficio di denunziarne l'esistenza . Laonde , s' ella è sola, serve piuttosto ad aggravare ed inacerbire, che a mitigare la miseria degli uomini ; oltre che le sciagure vengono spesso avvalorate dall' immaginazione, e riescono tanto più forti quanto chi le sostiene ne ha una conoscenza più chiara, più distinta, ed è persuaso che la maggior parte di esse sono quaggiù senza rimedio.
A che valga il sapere anche più eminente, senza la religione , l' Italia ha testè potuto vederlo in uno dei più rari spiriti, che l' abbiano illustrata da lungo tempo . Giacomo Leopardi 1) , fu alla nostra memoria un ingegno straordinario ed universale : grecista e latinista consumato e finissimo in quella età, che suole appena balbettare gli elementi delle lettere , lirico nuovo e stupendo, prosatore squisitissimo, erudito vasto e profondo, acuto osservatore del cuore umano, non ospite in alcuna ragione di scienze, alienissimo negli studi, nelle opinioni letterarie e politiche, dalla levità e frivolezza moderna, dotato di un gusto austero, sobrio e delicatissimo; egli fu insomma uno di quegli nomini d' antica stampa italiana, che non furono frequenti in alcuna età, ma non mai così rari come al di d' oggi.
A questo, un costume illibato, un sentire modesto, un animo schietto, equabile, temperato, forte, costante, schivo di ogni simulazione, abborrente da ogni viltà ed ingiustizia, e uno de' cuori più generosi e benevoli che io mi abbia conosciuti; tanto che, essendo io stato suo amico, avendolo, non solo amato, ma sto per dire adorato, la ricordanza , de' suoi errori non può in me scompagnarsi da quella delle sue morali e civili virtù, e trova nella considerazione di esse qualche cagione di lenimento e di conforto.
Questo pellegrino e sovrumano spirito visse e mori vittima di quelle filosofiche dottrine che, nate o piuttosto educate e cresciute in Francia, da per tutto allora signoreggiavano, avvalorate dalla triplice forza della novità, dello esempio e delle apparenze; mostrando col fatto suo che , i più alti doni della mente e l'animo più libero dalla tirannia, dell' opinione non possono sempre salvare un valentuomo dai traviamenti del suo secolo .
Ma all' incontro degli altri sensisti il robusto ingegno del Leopardi recò nel suo sistema la logica intrepida, ond' egli aveva il bisogno e il coraggio; strappò con fiero ardimento quel velo bugiardo, che l' eterodossia pretende alle sue dottrine, per renderle allettative e piacenti ; ne mostrò nè sciorinò al cospetto dell' universale le sconsolate conclusioni, e giunse per ultimo risultamento a maledire la filosofia e la scienza, come capitali nemiche degli uomini.
Prima di lui Davide Hume , aveva già messe in luce le ultime deduzioni speculative del dogma cartesiano. Il Leopardi applicò la stessa , acutezza e intrepidità di dialettica alle conseguenze pratiche, e rese, senza avvedersene, un gran servigio al sapere; perchè il modo più efficace per distruggere l' errore è il porre in evidenza i corollari, che ne derivano. Le opere del Leopardi sono animate da una malinconia profonda, da una tranquilla e logica disperazione, che apparisce al lettore non come un morbo del cuore, ma come una necessità dello spirito e il sunto di tutto un sistema. La pittura ch' egli fa delle miserie umane, è dolorosa, ma utile, perchè vera sostanzialmente, e solo difettosa in quanto non è accompagnata dalla speranza; e quando deplora la nullità di bene creato in particolare,
E l'infinita vanità del tutto 2) ,
egli non fa se non ripetere le divine parole dell' Ecclesiaste e dell' Imitazione 3) .
L' errore di quel grande infelice consiste nel fermarsi ai fatti presenti e sensati, e nel volere con essi soli costruire la scienza; quasi che il fatto contenga in sè stesso la propria dichiarazione, e possa essere spiegato senza risalir più alto. Il fatto è muto per sè medesimo, essendo un mero sensibile, e non può pure essere pensato, senza l' intelligibile, che lo rischiara, e ne porge la legge, cessando le antinomie, e conciliando le discordanze, che possono emergere tra i varii fenomeni.
La contrarietà, che corre tra il fatto del dolore e il desiderio della felicità, i quali son due fenomeni sensati del paro, attuali e presentissimi, vien tolta via dalla ragione, che appoggiandosi alle notizie ideali, trova la spiegazione di questa pugna in quel principio universale dello scibile per cui tutte le asprezze si raumiliano e le ripugnanze si accordano. Il qual principio, rivelandoci la teleogia del creato, e l' intreccio dei due cicli, ci mostra nel dolore e nell' appetito del piacere due mezzi egualmente ordinati alla finalità materiale e morale del mondo, come strumenti di conservazione e come fomiti di perfezionamento; giacchè l' uomo collocato nel tempo, ma destinato allo eterno, non può anelarvi, sia che la brama di un' infinita beatitudine non alberghi nel suo animo, sia che questa sete venga saziata nel corso della vita terrestre; poichè in ambo i casi il cuore umano non potrebbe aspirare allo avvenire, e senza uscir dai cancelli del tempo, troverebbe il suo riposo nella presente apatia o nell' attual godimento.
Oltre che le ragioni speciali della religione, le tradizioni dei popoli e la conferenza dell' ordine colle antinomie dell' universo, ci fanno eziandio considerare il dolore come un vero morbo, liberissimo nella sua prima cagione, e quindi giusto e sapiente nell' effetto. Ma la filosofia, che il Leopardi beve col latte, non gli permetteva di uscire dai termini sensibili ; onde, mosso dalla contraddizione presentanea, che corre fra la realtà e il desiderio negli ordini di questo mondo, egli negò che la moralità e quindi la intelligenza preseggano alla natura; senz' avvedersi ch' egli ammetteva l'ordine morale nel punto stesso che lo negava, e per non risalire a un principio superiore, lo riputava discordante dall' ordine sensitivo.
Io porto ferma opinione che questo precoce ingegno, se non fosse stato costretto da un morbo insanabile e fierissimo a dismetter gli studi fin dallo entrare della giovinezza, non si sarebbe indugiato a scoprire i vizi cardinali delle dottrine, che allora regnavano; tanta era la perspicacia e la forza della sua mente. Con lui rivisse l' estro italogreco in tutta la sua perfezione; imperocchè io non conosco scrittore antico o moderno di alcuna lingua, che per l' attica squisitezza del buon gusto e della immaginativa lo superi.
Ma l' ingegno greco-latino venne in lui accompagnato dai difetti di quell' antica coltura, a cui apparteneva, cioè dalle dottrine scarse e alterate del paganesimo, inette a edificare sodamente la scienza. Lo studio dei classici partorì più o meno lo stesso effetto in una buona parte de' suoi cultori, persin dal primo periodo dell' antichità risorta; onde nacque quella spezie di miscredenza, che infettò le lettere nostrali ancora bambine nella corte del secondo Federigo, e trapela più o meno velata in parecchi de' nostri prosatori e poeti, finchè si mostrò quasi alla scoperta nel Pomponazzi, nell' Ariosto, nel Machiavelli e nel Bruni, per non parlare di altri scrittori meno illustri.
Il che non si dee già attribuire allo studio degli antichi in sè stesso, necessario, non che utile, alla civiltà moderna; ma bensì al difetto di quella instituzione filosofica e cristiana, che dee accompagnarlo e correggerlo, per cessarne ogni pericolo e renderlo profittevole, non solo alla significazione del pensiero, ma eziandio alla sua sostanza.
Nel Leopardi poi alle impressioni dell' antico paganesimo si aggiunsero quelle del nuovo, che allora signoreggiavano: la più generosa pianta del suolo italico fu avvelenata dai gallici influssi. Simbolo eloquente d' Italia in quei tempi infelicissimi, quando, delusa e straziata in mille guise, e compresa da ineffabili angosce, non poteva riposarsi nè meno nella speranza, perchè i suoi tiranni l' avevano avvezza a schernire quelle credenze, che la inspirano ed alimentano, invece d' invocarle nei propri dolori.
Singolar cosa! Dall' Alfieri al Leopardi, gli spiriti più liberi, più indomiti, più italiani, più avversi al giogo e al genio francese, sentirono francescamente intorno a quelle cose, che per la loro nobiltà ed importanza occupano la cima dell' ingegno umano. Se non che il primo di questi grandi parve ricredersi nell' età matura delle preoccupazioni, che avevano sedotta la sua giovinezza ; laddove l' ultimo, men fortunato, fu vittima del proprio inganno, e dopo avere errato dolorosamente di villa in villa, solo, infermo, privo di ogni conforto, salvo quello dell' amicizia, ma buono, innocente, generoso, magnanimo, e con un cuore non complice degli errori dell'intelletto, morì esule, si può dire, nel seno della sua patria.
Io spero che il doloroso ciclo della eterodossia italiana sia terminato col Leopardi negli ordini del pensiero, come finì col Buonaparte in quelli dell' azione; il quale, naturalmente religioso, ebbe tuttavia il Cristianesimo per un trovato della politica, come il primo, virtuosissimo d' animo e di costumi, fu nondimeno condotto dal suo sistema a riputar la virtù per una chimera dell' immaginativa (Vai a 4) .
Quando una dottrina è giunta a partorir tali frutti, si può tenere per morta, senza rimedio; imperocchè gli uomini, mossi da quell' istinto di conservazione che annida in ciascuno individuo e nella società umana, e inorriditi all' ultimo esito speculativo e pratico di una opinione tenuta dianzi per vera, si rifanno ad esaminare i principii con animo imparziale e libero da ogni preoccupazione in loro favore, e ne scuoprono la falsità intrinseca.
Il sistema, onde Davide Hume trasse nel giro della speculazione un nullismo e uno scetticismo assoluto, e da cui Napoleone e il Leopardi derivarono negli ordini della vita operativa la politica della forza e la morale della disperazione, ebbe per primi autori Lutero e Cartesio, e si fonda su pronunziati così frivoli e ripugnanti, che non possono essere fatti buoni, se non da chi alla cieca gli abbraccia.
Per tal modo la Providenza permette gli errori di alcuni sommi ingegni, come la calamità e le ruine di stati fiorentissimi, per richiamare gli omini ai veri principii, far loro toccare con mano nella perversità degli effetti il vizio delle cagioni, e ricondurli a quella beata concordia della civiltà e della religione, dell' umana e della divina sapienza, che è il sovrano principio della quiete e felicità loro.
Io mi sono ingegnato nel presente discorso di accennare i modi più opportuni per ristabilire questa concordia fra i miei compatrioti. E perciò, riepilogando le cose dette, e riducendo in uno le fila sparse del mio ragionamento, dico che la salute d' Italia dipende dall' unione di tutti i componenti della civiltà nostra; la quale si può ridurre a tre capi , cioè alle cose , alle persone e alle dottrine .
La divisione regnò finora su questi tre articoli e fu causa di ogni nostra sventura; e non vi si potè rimediare, perchè tutte le medicine adoperate, essendo negative, lasciarono intatto il male, o lo accrebbero ed avvalorarono, invece di guarirlo. Il che nacque dal voler procedere col metodo esclusivo, in cambio del conciliativo; intendendo a distruggere in ciascuna dualità occorrente l' uno dei due membri contrapposti e pugnanti, in grazia dell' altro, invece di comporli insieme nella perfezione del mezzo coll' aiuto di un principio armonico, più eccelso e comprensivo di entrambi.
Così, riguardo alle cose, la libertà e il principato, il moto e la quiete delle instituzioni, la Chiesa e lo stato, la civiltà e la religione, furono spesso a conflitto; e i più di quelli che avvocavano una di queste cause, contrastavano all' altra, quasi che ciascuna di tutte, e tutte di ciascuna non bisognassero. Fra gli uomini il dissidio fu ancor più grande, perchè più intimamente congiunto colle loro passioni; onde lasciando stare le dissensioni varie e continue fra gl' individui, le famiglie, i municipi, le province, gli stati e i loro rettori, ogni classe della società fu in guerra coll' altra; cioè i principi coi sudditi, i nobili coi borghesi, i letterati coi militi e coi trafficanti, i laici coi chierici, i preti coi frati, e via discorrendo per tutte le diramazioni secondarie di questi ordini.
A tal pugna civile e universale degli uomini e delle cose loro, le cupidità ingenite del cuore umano conferirono certo non poco ; tuttavia io non credo che sarebbero prevalute come fecero, e avrebbero condotta l' Italia a quello stato in cui si trova, se non ci si fosse aggiunta la discrepanza delle dottrine. La quale di sua natura contiene il principio degli altri scismi; giacchè l' azione procede dal pensiero, e ad esso appartiene prima di prorompere e di estrinsecarsi . La principal cagione dell' italiana scissura consiste adunque nella discordia degl' intelletti ; per cui le divine scienze tenzonano colle umane, le filosofiche colle matematiche e colle fisiche, le lettere amene colle austere discipline, la cognizione dei fatti con quella delle idee, e sovente in una sola specie di studi un ramo di essa e un sistema sono a lite cogli altri rami e cogli altri sistemi.
Uomini dotati di buon giudizio e di ottime intenzioni tentarono talvolta di comporre alcune di queste differenze; ma non ci riuscirono con tutta la buona volontà loro: il che avvenne per due cagioni principali. L' una delle quali si è che vollero procedere per via di un eclettismo volgare, operando sugli elementi discordi, senza penetrare nella loro essenza, e salire a un principio sovrastante, che li comprenda e li signoreggi. L' altra, che, recando tropp' oltre l' amor della pace, vollero, se così posso esprimermi, pacificare la stessa guerra, conservando nelle varie opinioni ciò che le rende fra loro dissonanti e contrarie, e mantenendo quindi il fomite della disunione nell' atto stesso che si proponevano di estirparlo.
Havvi, infatti, in ogni dottrina imperfetta un principio di esclusione assoluta verso le altre dottrine diverse e contrarie: facendo sparagno del quale, torna impossibile ogni accordo; onde bisogna reciderlo senza misericordia, e imitare il chirurgo, che risparmia con grande studio le parti integre e profittevoli del corpo infermo, ma adopera senza pietà il gammautte 5) nei tumori e nelle nascenze. Nè pertanto altri tema di mancare all' ufficio di conciliatore; imperocchè la parte delle opinioni, che si dee troncare, non è positiva, ma negativa, e la falsità, come il male, riducendosi a un mero nulla, causa solo qualche effetto, in quanto al vero ed al bene si attraversa.
La tolleranza verso gli abusi delle instituzioni e gli errori delle dottrine è la sola biasimevole, perchè riesce intollerantissima verso ciò che vi ha di buono e di sodo nelle une e nelle altre. Ben s' intende che io voglio parlare di tolleranza intellettuale, e non civile. Io mi sono studiato di cansare questi due inconvenienti dell' eclettismo superficiale e della tolleranza biasimevole, rannodando da una parte tutte le cognizioni ad un principio unico assoluto, enciclopedico, universale come il mondo, immenso come il suo fattore, e discendendo da esso alle varie parti di tutto lo scibile; e ripudiando dall' altra parte tutti i sistemi negativi, quali sono il psicologismo, il sensismo, il panteismo, il razionalismo e simili, che costituiscono la eterodossia dell' età moderna e di ogni tempo.
Il che io noto espressamente per rispondere a certi benevoli, ai quali parve che io combattessi con troppo calore alcuni sistemi di filosofia coetanei; quando egli è chiaro che io ripudiai solamente la parte negativa di tali sistemi, e credetti di doverlo fare con tanto più di vigore, quanto che essi sono l' unico ostacolo alla concordia comune. Imperocchè, (posso dirlo risolutamente e senza paura dei contradittori,) la dottrina che professo non esclude il menomo elemento positivo, qualunque siasi la specie di oggetti, che si consideri, ed è solo infesta alle negazioni ed al nulla.
Applicando poscia questa larghezza e imparzialità speculativa alla pratica nella doppia sfera delle cose e degli uomini, mi parve di poter affermare non esservi in Italia instituzione, che non sia buona nella radice, e non possa giovare, quando gli abusi e i trascorsi se ne correggano. Perciò la dottrina esposta nel presente libro, (per quanto gravi e copiosi ne siano i difetti,) mi pare avere dalla maggior parte di quelle che corrono questo vantaggio, che della speculazione essa non rifiuta alcuna idea positiva, e della pratica non rigetta verun fatto vivo , reale; onde, senza aspirare a rifar di pianta la società e l' enciclopedia, il reale e lo scibile, come oggi si costuma da molti, essa si contenta di purgare i dati ideali e effettivi dai difetti umani che gli accompagnano, e di rannodarli insieme con un principio comune.
Quella gran testa del Buonaparte è forse l' unica nell' età moderna, che abbia concepita la necessità di tentar l' unione, o com'egli diceva, la fusione di tutti gli elementi speculativi e reali della società europea; ma lo uomo sommo, non che riuscirvi, trovò nel suo conato l' ultima rovina, perchè volle dare per centro a tutte le cose il suo egoismo, e scambiò, con troppo enorme sbaglio, la propria persona coll' assoluto.
Ora, ciò che Napoleone volle, ma non seppe fare, in ordine alla Europa, gl' Italiani possono effettuarlo, volendo, riguardo al proprio paese; giacchè l'unità, che dee por fine allo scompiglio delle cose, degli affetti e dei pensieri, vive e risplende fra loro. Ed è appunto alla grande opera di questa fusione italiana, che io consacro questo libro e gli altri miei piccoli studi.
E siccome l' armonia delle cose e degli uomini deriva da quella dei pensieri, io mi sono adoperato per introdurre nelle dottrine quella varietà e quel concento, che mi par di ravvisare nei letterati e nei sapienti della mia patria. E confesso che l' idea del presente discorso mi fu in parte suggerita dalla unanimità di menti e di cuori che rifulse da parecchi anni in qua in quelle assemblee, e direi quasi diete letterarie, nelle quali si vide raccolto il senno della nazione 6) .
Vivo specchio della universalità e potenza dello ingegno italico ; perchè, se questo, appena uscito da una procella di vent' anni e da un cumulo di calamità, che sarebbero bastate a più di un secolo, non che essere abbattuto, si mostra nondimeno cosi ricco di brio e di vita, che prodigi non se ne potrebbono aspettare, quando ai doni e ai privilegi naturali arridesse la fortuna ?
Imperocchè, ragguagliata ogni circostanza, e bilanciati sovratutto gli ostacoli, che la prostrazione degli spiriti nazionali nei molti attraversa al culto dell' ingegno nei pochi, non v' ha forse nazione gentile, che ci pareggi, non che ci supèri, per la copia e la bontà di coloro, che attendono alle lettere e alle dottrine 7) .
Si vorrebbe bensì vedere ampliato, non tanto il numero degli studiosi, quanto il giro degli studi italici, i quali nelle discipline naturali, e in quelle che alle ragioni civili s' attengono, furono sinora troppo digiuni di filosofia, non dico già presso tutti, ma presso la maggior parte di coloro che ci dànno opera . Ora, la ricerca dei fatti, non rischiarata, nè aggrandita dalle de- duzioni e dalle induzioni raziocinali, è piuttosto una descrizione di fenomeni e una storia, che una scienza.
I dotti italiani dovrebbero pigliar dai Tedeschi, non già la filosofia, ma l' uso di filosofare, che è il condimento, lo spirito e il seme fecondativo di ogni altra dottrina , e fu quasi nei tempi addietro un privilegio della penisola , rinnovando ed ampliando l' antico connubio pitagorico della filosofia colle altre cognizioni, e facendo per modo che tutti gli ingegni culti d' Italia siano insieme confederati da una sola sapienza speculativa, come il sono da una sola fede e da una sola favella, acciò si verifichi eziandio nell' altre parti l' antico sogno dell' unità italiana .
(Primato ... , cit sopra all' esordio ,pp. 243-59) Torna su
NOTE
1 : Il G. conobbe G. Leopardi di persona nel 1828, accompagnandolo nel , suo ritorno a Recanati dalla Toscana.
2 : Eccl., 1,1. - De imit., I. [G.].
3 : Canti, 28, Napoli, 1835, pag. 133. [G.].
4 : Torna a 4) . Pochi uomini resero alla virtù un culto così caldo, sincero, profondo, ed ebbero un intuito di essa così vivo, come il Leopardi, malgrado gli errori suoi. Fra i molti luoghi delle sue opere, che esprimono l' alta bontà del suo animo, ne eleggerò uno solo, che mi pare il più singolare, poichè si tratta di un topo morto valorosamente in battaglia. Dopo di aver descritto il fato eroico di Rubatocchi, il poeta esclama : Bella virtù di te s'avvede, / Come per lieto avvenimento esulta / Lo spirito mio : nè da sprezzar ti crede / se in topi anche sii tu nutrita e culta. / Alla bellezza tua c'ogni altra eccede, / O nota e chiara, o ti ritrovi occulta , / Sempre si prostra : e non pur vera e salda, / Ma imaginata ancor, di te si scalda. / Ahi, ma dove sei tu ? Sognata o finta / Sempre ? Vera nessun giammai ti vide? / O fosti già coi topi a un tempo estinta, / Nè più fra noi la tua beltà sorride ? / Ahi , se d'allor non fosti invan dipinta , / Nè con Teseo peristi o con Alcide, / Certo d'allora in qua fu ciascun giorno / Più raro il tuo sorriso e meno adorno (Paralipomeni, V, 47, 48) . Come mai quel divino ingegno del Leopardi non si avvide che la apprensione dell' ordine morale è infinitamente più efficace, vigorosa, irrepugnabile, che quella dell' ordine sensibile e del materiale universo? che se altri, dietro la scorta del senso, ammette l' esistenza dei corpi, dee molto maggiormente , dietro la guida della ragione riconoscere quella della virtù ? che il sistema dell' idealista è cento volte meno assurdo dell' immoralismo ? E chi meglio sentiva questa differenza di un uomo che anteponeva sinceramente un atto virtuoso alle più splendide bellezze e delizie di natura ? Se la realtà di un oggetto è proporzionata alla vivacità della sua intrinseca evidenza, e alla forza dell' impressione, che produce sul nostro spirito, qual è la cosa che sia più effettiva del bene morale, di un' azione virtuosa, nobile, magnanima, eroica ? E pure il Leopardi, che non dubitava della realtà del caldo e del freddo, di un sassolino, di un insetto, considerava la virtù e la Provvidenza come una chimera dell' immaginazione. E perchè? Perchè la virtù non è felice sulla terra, e la Provvidenza permette all' arbitrio umano di turbarne il regno quaggiù. Ma non è appunto nella difficoltà, nel dolor della pugna e della dilazione del premio, che consiste la grandezza della virtù ? Il Leopardi ritorce contro l' ordine morale ciò che ne fa l' essenza. Egli misura la realtà di un ordine che si affaccia allo spirito come assoluto ed eterno, perchè l' uomo ha la potestà di prevaricarlo, durante uno spazio di vita più corto di un secolo, e perchè questa potenza temporaria è appunto una condizione richiesta a tal ordine. Tali sono le contraddizioni a cui giungono gli intelletti più prelibati, quando muovono da un falso principio. Il predominio del senso sull' animo dell' uomo è l' unica causa per cui questi è inclinato ad anteporre le impressioni sensibili alle apprensioni ideali. Singolar cosa ! Il filosofo sensista, che crede col suo ingegno di toccar le stelle, è schiavo della preoccupazione più grossolana e volgare; imperocchè spremute le ragioni, per cui egli nega l' ordine morale e la Provvidenza, esse riduconsi a dire che Dio e la virtù non sono, perchè non si possono vedere cogli occhi del corpo. Il suo ragionamento è simile a quello del cieco di natività, che nega l'esistenza dei colori; il che però non accade se al vizio della pupilla non si aggiunge quello dell' intelletto. L' intuito ideale , non potendo penetrare quaggiù l'essenza intima delle cose, non può certo appagare le brame dell' intelletto; ma questa potenza dee nutrire il desiderio , e non partotire il dubbio .L'anima viatrice , dee aspirare alla visione dell' essenza increata , come la cieca di nascita, che brama di fruire con gli occhi l' oggetto più chiaro al suo cuore e alla sua immaginazione . Imagine bellissima che il lettore troverà espressa con molta grazia e delicatezza presso uno scrittore nostro coetaneo, che aggiunge l' ingegno poetico a una nota e rara maestria nell'arte divina della musica (Ferranti , Nuovi Frammenti, Brusselle , Meline , Cans e C , 1842 , pp. 137-39) , [G.] .
5: Il Gammautte è uno strumento chirurgico in forma di piccolo coltello da chiudersi e che serve ad oeprare i grossi tumorie a dilatare le piaghe .
6: Allude ai congressi degli scienziati, che dal 37 si erano cominciati a tenere in italia. Cfr. intorno ad essi : R. Ciasca, L 'origine del Programma per l' opinione nazionale italiana, dal 1847-48, Milano, 1916, pag.404 e seguenti.
7: Nella prima edizione del' 43 seguiva a questo punto (pagg.523-529) l' elogio, che si riproduce qui in nota, di parecchi connazionali onoranti la patria col culto delle buone dottrine e delle buoue lettere. (Cfr. la mia Introduzione, nel 1° vol., pagg. LIVII-LIX): Quante sono le glorie coetanee, che possano competere con quella del Plana e del Carlini, principi nella storia del cielo ? Il primo dei quali, oltre all' essere il legislatore del minor pianeta, è anche eminente, come il Lagrangia suo nazionale, nella scienza calcolatrice. Nell' una o nell' altra di queste ardue discipline il DeVico, il Santini , il parmigiano Colla, il Capocci, il Bordoni, il Piola, il Mussotti, il Mainardi, il Sammartino, il Venturoli, il Fossombroni, e altri, fanno intorno a quei due astri sovrani più di una pleiade. Basta il menzionare Macedonio Melloni per mostrar che la patria del Volta non è disposta anche al di d' oggi a cedere lo scettro della fisica agli stranieri ; e il Marianini, il Matteucci, il Linari, lo Avogadro partecipano alla fama di quel grande colle loro scoperte importantissime intorno ai due fluidi più potenti della natura : alla quale Giuseppe Belli impone le leggi del calcolo, mentre il Fusinieri, il Zante- deschi, il Botto, l' Antinori, il Piria, fisici e chimici lodatissimi le rapiscono altri suoi secreti. La storia delle piante è descritta con vastità di dottrina e sagacità di analisi dal Bertoloni, dal Moris, dal Gussone, da Gaetano Savi, da Luigi Colla, dal Tenore, dal De Notaris, dal Balsamo-Crivelli, dal Vittadini, dal Garavaglia, dal Moretti, e da quella gentildonna romana, in cui la poetica fantasia degli antichi avrebbe creduto di raffigurare la dea dei fiori, discesa a rivelarne il magisterio e a diffonderne lo studio fra i mortali. Il Meneghini e il Gasparini sono autori di pregiati lavori sulla fisiologia del vegetabili ; nella quale Giambattisla Amici levò sommo grido anche fuori d' Italia, così per la copia e la singolarità dei trovati, come per avere, a esempio di Galileo, creato egli medesimo lo strumento scopritore di pellegrine meraviglie. Nella zoologia e nella scienza dei minerali e della terra, Carlo Luciano Buonaparte, Oronzio Gabriele Costa, Paolo Savi , il Genè, il Passerini, lo Spinola, il Porro, il Pareto, il Pasini, il Sismonda, il Pilla, il Repetti, il Monticelli, il Dal Rio, il Catullo, il Gemellaro, coltivano ed aumentano con operoso ingegno due antiche glorie, degli Italiani. Lo studio della vita e degli organi animali , fu singolarmente promosso dalle sololerti investigazioni di Bartolomeo Panizza, di Stefano delle Chiaie, del Rusconi , del Bellingeri, dell' Alessandrini; e mentre quei due lumi dell'arte medica, il Tommasini e il Buffalini offrono l'esempio di una gara d' ingegno, inaccessibile ai profani, ma attissima pel conflitto intrinseco delle dottrine a maturare la scienza e accordarla mediante un' armonia superiore, il Puccinotti, il Giacomini, il Geromini, l' arrichiscono di nuove avvertenze, di terapeutiche lucubrazioni e di risultati notabili. Niuno ha meglio meritato dell' agricoltura che Cosimo Ridolfi, fondatore dell' instituto agrario di Meleto, e cerebre in ogni paese, che si pregi di gentilezza. Se dalle scienze, che versano nella considerazione della quantità e dei corpi, passiamo a quelle che si occupano dell' animo degli uomini, per chiarirne l' indole, i diritti, i doveri, il linguaggio, la storia, ovvero per educarli, migliorarli, dilettarli ed ingentilirli, e sono di natura mista o prettamente speculativa, l' Italia non è talmente povera, che sia agevole il noverare tutte le sue ricchezze; e quando ella non possedesse altro filosofo che Pasquale Galluppi, non avrebbe da vergognarsi per questo rispetto degli oltramontani. Ottimo pensatore, e ciò che più importa, vero savio; poichè in lui alla perspicacia dell' intelletto, alla finezza del giudizio, e alla copia della dottrina si aggiunge un animo officioso e altamente benevolo, che sovrasta a qualunque lode. Ma gli scritti del Rosmini, del Bozze1li, del Testa, del Poli, del Borrelli, del Tedeschi, del Mancino, del Sola , fan buona prova che sebbene l' unità italiana sia difficile a conseguire in filosofia, non meno che in politica, questo è un difetto felice, poichè non viene da carestia di ingegno, ma da abbondanza. Nelle discipline giuridiche, economiche descrittive o migliorative delle cose civili e dell' umano consorzio, il Carmignani, Niccolò Nicolini, lo Sclopis, il Marzucchi, il Mancini, il Petitti, il Romei, il Torregiani, il Dalpozzo, l' Eandi, il Mazzarosa, il Cagnazzi, il Serristori e altri moltissimi, fanno argomento che se le leggi, le instituzioni e gli ordini amministrativi del nostro paese sono in alcune parti viziosi, ciò non succede per difetto di uomini sagaci e periti, che additino il male e ne insegnino il rimedio. E chi potrebbe, parlando di coloro che volgono i sussidi della civiltà e della religione insieme accoppiati a soccorrere la precoce sventura dei poveri fanciulli e ad educare in essi le speranze della patria, pretermettere il nome caro e venerando di Ferrante Aporti e di Raffaele Lambruschini? Nella filologia classica ed orientale, nell' archeologia , nella numismatica , nella storia , nella geografia , nella varia erudizione , risplendodono un Angelo Mai, (che per la copia e la mirabilità dei lavori non ha chi lo pareggi, ed è quasi il Cuvier delle antiche lettere risorte,) un Mezzofanti , un Lanci, un Rosellini, un Peyron, un Inghirami, un Micali, un Venniglioli, un Castiglione, un Gorresio, un Quaranta, un Cavedoni, uno Schiassi, un Ciampi, un Gazzera; un Troya, un Balbo, un Manno, un Cibrario, un Cantù, un Ambrosoli, un Borghesi, un Avellino, un Provana, un Domenico e un Carlo Promis, un Vesme, un Sauli, un Lamarmora, un Rosini, un Corcia, un Barocchi, un Dalmazzo, uno Spotorno, un Litta, un Morbio, un Varese, un Adriano Balbi, un Falconetti, un Drovetti, un Biondelli, un Ranieri, un Amari, un Ricotti ; di età e fama dispari, ma tutti benemeriti, e alcuni di sommo grido anche fuori della penisola. La poesia e le lettere gentili ed amene sopravvivono in Giambattista Niccolini, nel Giordani, nel Pellico, nel Marchetti, nel Nota, nel Marchisio, nel Marenco, nel Carrer, nell' Azeglio, nel Paravia, nel Romani, ne1 Brofferio, nel Grossi, nel Zaiotti, nel Ravina, nel Guadagnoli, nel Tommaseo, nel Maffei, ne1 Bellotti, nel Bigliani, nel Farini ; eletta schiera, capitanata dal Manzoni, e abbellita dal sesso più gentile nei due estremi d' Italia, da che il Sebeto e il Po superiore veggon rifiorire sulle loro sponde gli allori letterari di Eleonora Pimentel e di Diodata Saluzzo. Io non fo qui che ripetere alcuni di quei nomi, che la fama pubblica o la voce di qualche amica recò nella mia remota e oscura solitudine, piuttosto per eccitar nel lettore il desiderio di conoscere i viventi onori d' Italia, che per soddisfarlo . Nè l' ingegno italiano si racchiude fra i limiti della penisola, ma risplende eziandio fra gli stranieri e ricorda loro di presenza, onde sia venuta quella luce di civiltà , a cui sono obbligati dei beni che posseggono. Quando la Francia volle instituire una cattedra di ragion politica, in cui gli ordini del suo governo filosoficamente s' insegnassero, ella invitò ad occuparla uno statista italiano, celebre per la vasta e profonda notizia delle cose civili e per la sagacità pratica congiunta all' acume speculativo; e il nome di Pellegrino Rossi è un vivente omaggio reso dai nostri vicini alla patria del Sarpi e del Machiavelli. Guglielmo Libri, che non è secondo a nessuno nelle matematiche, e ha pochi pari nella scientifica erudizione, dopo di avere arricchito l' ingegno patrio colle sue importanti scoperte intorno alla teoria dei numeri, alle funzioni discontinue e ad alcune parti del calcolo integrale, scrisse dottamente l' istoria di quello, mantenendo vivo e incorrotto anche in paese straniero, il culto d' Italia. Qual amatore di sapienza e di eleganza [chi] non conosce e non ammira Terenzio Mamiani ? Si può egli essere filosofo più penetrativo ed austero, poeta più religioso e verecondo, più fervido e assennato adoratore della patria ? Perfino in quel suo stile virgiliano e purissimo, leggiadro senza mollezza, decoroso senza affettazione, e signorile senza arroganza, trovi il ritratto del suo animo e della sua mente. E chi potrebbe, discorrendo della poesia esule, scordarsi Giovanni Berchet, il Tirteo lombardo, inventore dèll' òde patria e della lirica nazionale, quasi ignote dianze all' Italia ? Il nome di Carlo Pepoli non è uno dei più cari e onorandi a chiunque ama le gentili lettere nobilitate dalla bontà dell' animo e dal decoro della vita ? Francesco Orioli non è egli versato e facondo in molte ragioni di scienza e nelle cose etrusche peritissimo ? Fervore di gioventù in età matura, temperato da canuto senno, e un ingegno finissimo, fanno di Luigi Chitti uno di quegli uomini, che sono atti egualmente al pensiero e all' azione niuno sa comprendere meglio di lui le ragioni universali di una disciplina, o cogliere più sagacemente le rimote attinenze di un fatto, che sembra di poco o nessun rilievo, onde renderlo fruttuoso, trarne corollari utili alla scienza. Chi crederebbe, per cagion di esempio, che quei subiti rivolgimenti di fortuna, i quali turbano di tempo in tempo le ragioni del traffico, nascano in gran parte dall' uso soverchio della carta monetata ? E pure egli è difficile il dubitarne, quando si legge ciò che ne ha scritto il valente economico. Giovanni Arrivabene è maestro nel raccogliere e bene ordinare una lunga seguenza di dati positivi e sociali, e nell' illustrarli con dotte e giudiziose osservazioni; e com' egli ama ardentemente l' Italia, così abborrisce dall' egoismo nazionale di certuni, che vi racchiuggono tutti i loro affetti ; onde quando gli si porge l' occasione di far del bene anco agli estrani, egli suol dire che tutto il mondo è una patria. Giacinto di Collegno , Paolemilio Botta e Faustino Malaguti , sono altamente benemeriti della geologia, della storia naturale e della chimica ; e Lorenzo Cerige è uno dei collaboratori più ardenti a cessare l' ingiusto divorzio introdotto fra le scienze mediche e la religione . Quanti si trovano fuori di Germania, che conoscano la filosofia di questo paese, come Giambattista Passerini ? Anche nelle nobili arti i privilegi del nostro cielo riverberano fuori d' Italia; e mentre il Marochetti, (che rammenta un altro dei nostri dotti e onorati coetanei,) il Mercuri, il Calamatta e il Pistrucci hanno una riputazione classica e universale negli artificii figurativi, Giuseppe Poletti dimostra che la vena e il culto delle arti belle rivivono nella Sicilia loro antica patria. Potrei aggiungere a questa Italia peregrina il nome di alcuni miei giovani amici, che si apparecchiano con forti studi e laboriosa ritiratezza in paese forestiero a onorare se stessi e la patria, nelle scienze economiche, fisiche e matematiche; ma io debbo rispettare la loro modestia, e non antivenir la fama, che acquisteranno fra non molto dalle proprie opere » .
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