GLI ITALIANI SCOPRIRONO PER PRIMI IL BELLO DEL PAESAGGIO

(Jacob Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia, NSM Cles (TN), Newton & Compton 1994 - Il Giornale 2006, pp.253-61)

21-11-06

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Introduzione e Commento

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INTRODUZIONE E COMMENTO

                Tra le trattazioni della storia della cultura, questa dello svizzero J. Burckardt sul rinascimento italiano (Die Kultur der Renaissance in Italien), edita a Basilea nel 1860, è considerata una delle più riuscite: e tuttoggi si conserva tale giudizio.

                L'opera si divide in sei parti : nella prima si parla dello Stato rinascimentale quale opera d'arte (principati e signorie); nella seconda si illustra lo sviluppo della individualità e  il rapporto tra lo Stato e l'individuo; nella Terza si esaminano i vari aspetti dell'umanesimo e i riflessi sociali della resurrezione dell'antichità; nella Quarta si descrive la scoperta del mondo esteriore e dell'uomo (scoperte nel campo della cosmografia, scienze naturali, coscienza personale -letteratura biografica- ..ecc); la Quinta e Sesta, parla della morale e della religione nei rapporti con la vita sociale e contemporanea.

                 Il Brano sottostante appartiene dunque alla terza parte, onde si dice che il gusto moderno dei rinascimentali per la natura e il paesaggio, è un tratto tipico del loro proprio umanesimo, che dunque così nitido e moderno , non si trova né nell'antichità greca e romana né tantomeno in qualche altro popolo o luminare o artista moderno in Europa e nel mondo.

                Vi è però nella trattazione dello svizzero, i seguenti limiti, che devono essere considerati : 1.sottolinea troppo l'individualismo rinascimentale, tanto da farne il motivo più unitario della sua biografia, quello che lega in assoluto, tutte le parti della trattazione; 2. sottovaluta l'importanza della religione e fa dei rinascimentali, degli estranei a Cristo e alla Chiesa ; infatti dice Jacob, Il cristianesimo passivo e contemplativo, con le sue esperienze in una vita migliore al di là della tomba, non esercitava più alcuna forza in questi uomini. Macchiavelli lancia espressamente l'ultima parola su esso, affermandolo dannoso allo Stato, e inutile alla difesa delle sue libertà (p. 460) .

                Ora è vero, che il maggior benessere materiale del quattro-cinquecento, rispetto al medioevo, provocherà come sempre avviene nella storia del mondo in casi simili, un immancabile e relativo rilassamento dei costumi, onde s'ebbe minor fede e rigore morale; ma è anche molto vero, che il rinascimento non è solo sintesi o imitazione del passato greco-romano e scoperta maggiore dell'uomo e della natura; esso fa queste operazioni con secoli di cristianesimo alle spalle, e nonostante gli eventuali rilassati e più dimentichi (dei quali Macchiavelli ne è certo il campione), non può fare a meno di pensare e credere cristianamente : si pensi a quanta fede profonda c'è nelle opere degli artisti e di Michelangiolo e quanto, proprio a quella fede intensa e sincera, deve in qualità e intensità drammatica, la bellezza estetica e concettuale; si pensi al fatto che il dominio dell'uomo sulla natura, come anche l'indagine sull'uomo stesso, bandiere rinascimentali descritte pure da Jacob, sono già aspetti biblici ed evangelici, tradotti nella vita di tutti i giorni; pertanto il recupero del passato pagano, peraltro favorito dalla benevolenza dei monaci medioevali che copiarono gli antichi manoscritti salvandoli da sicura distruzione, non avvenne per costruire un uomo soltanto pagano, ma ancora eminentemente cristiano, nella maggior parte popolare e culturale. Non si può capire niente anche del Rinascimento e specie del Rinascimento, se si separa dalla ispirazione cristiana che lo presiedette, nonostante il recupero dell'antico.

TESTO

                 Ma oltre all'investigazione scientifica, vi era anche un'altra maniera di accostarsi alla natura, e in un senso veramente particolare. Gli Italiani sono i primissimi fra i moderni che scoprirono e gustarono il lato estetico del paesaggio 1) .

                Questa attitudine è sempre il risultato di un lungo e complicato svolgimento della cultura, e la sua origine è assai difficile da rintracciare, in quanto che un sentimento segreto di questa specie può esistere da lungo tempo prima che si manifesti nella poesia e nella pittura e con ciò acquisti la coscienza di se stesso. Presso gli antichi per esempio l'arte e la poesia si restrinsero alla rappresentazione di tutto il ciclo della vita umana, prima di passare a descrivere quella della natura, e quest'ultima rappresentazione rimase pur sempre entro limiti molto ristretti, nonostante che da Omero in poi, in un numero grandissimo di espressioni e di versi appaia evidente l'impressione sempre più forte che la natura veniva facendo sull'uomo.

                Più tardi le stirpi germaniche che fondarono le loro rovine sull'Impero romano, portavano già con sé una naturale predisposizione a sentire fortemente lo spirito del paesaggio campestre, e anche se il cristianesimo le ha costrette per un certo tratto a non vedere nelle fonti e nei monti, nei laghi e nei boschi fino allora venerati che la presenza di spiriti falsi e bugiardi, non c'è dubbio però che questo stadio di transizione fu presto superato. E' un fatto che ancora in pieno medioevo, intorno all'anno 1200, esiste nuovamente un sentimento schietto e profondo del mondo esteriore, che si manifesta chiaramente nei canti dei menestrelli delle diverse nazioni 2) . Da essi traspare un vero entusiasmo per i fenomeni più semplici, quali l'apparire della primavera e dei fiori, il rinverdire delle foreste e dei boschi. Ma sono scene senza sfondo a tal punto che anche i loro personaggi, i crociati, che pur percorsero tanta parte del mondo, in quei canti quasi non figurano più come tali. Anche la poesia epica, la quale, ad esempio, ci descrive con tanta esattezza gli abbigliamenti e le armature dei guerrieri, non è che imperfettissima nella descrizione dei luoghi, e il gran Volframo di Eschenbach, ci dà appena una immagine sufficiente della scena nella quale si muovono i suoi personaggi. Da quei canti nessuno indovinerebbe che questa nobiltà poetante d'ogni paese abitasse o avesse visitato e conoscesse perfettamente migliaia e migliaia di castelli situati nelle posizioni più pittoresche. Anche nelle poesie degli scolari vaganti manca il senso della prospettiva, il paesaggio propriamente detto, mentre invece le cose vicine sono talvolta dipinte con tale vivezza di colorito, che non se ne trova riscontro in nessun menestrello della cavalleria. Infatti dove trovare una descrizione della foresta d'amore simile a questa, che noi crediamo di un poeta italiano del secolo XII° ?

 

Immortalis fleret

Ibi manens homo:

Arbor ibi quaelibet

Suo gaudet pomo:

Vae myrrha, cinnamo

Fragrant et amomo -

Conjectari poterat

Dominus ex domo etc.  3).

 

                 È evidente che per gli Italiani la natura è già da lungo monda e purificata da ogni riflusso di potenze soprannnaturali. S. Francesco d' Assisi nel suo inno al sole loda il Signore non per altro, che per la creazione delle luci del cielo e dei quattro elementi.

                Ma le prove più convincenti della profonda impressione esercitata dalla natura sull'animo dell'uomo cominciano  con Dante. Egli ci ritrae al vivo in poche linee non solo il sorgere dell'aurora e il tremolar della marina sotto la brezza mattinale o la tempesta che fa tremare le selve e i pastori, ma sale pure sulle cime dei monti con l'unico intento di godere grandiose prospettive 4) uno dei primi o il primo forse, dopo i poeti antichi, che abbia sentito la bellezza di tali spettacoli. Boccaccio lascia indovinare, più che non descriva egli stesso, quanta sia l'impressione che fanno su  lui le scene della natura; tuttavia nei suoi romanzi pastorali non si può disconoscere qualche tratto di squisito e delicato paesaggio, che se non altro, sarà esistito nella sua fantasia 5). Con coscienza poi ancora più compiuta Petrarca, uno dei primi uomini perfettamente moderni, mostra l'importanza delle grandi scene della natura per un'anima sensibile. Quel lucidissimo spirito, che per primo cercò in tutte le letterature le origini e i progressi del sentimento pittoresco della natura, e che ha dato lui stesso nei suoi Tableaux de la nature i quadri descrittivi più perfetti che esistano,  Alessandro Humboldt, non s'è mostrato del tutto giusto riguardo a Petrarca, ed è perciò che, anche dopo quanto egli ne scrisse, a noi pure rimane qualche cosa da aggiungere.

                Petrarca non fu soltanto un valente geografo (si vuole che a lui si debba la primissima carta d'Italia) 6) e nemmeno ripete semplicemente quanto avevano detto gli antichi 7), ma il vero aspetto della natura trovò nel suo spirito un'eco immediata. Il godimento degli spettacoli naturali gli risulta gradito in qualsiasi occupazione mentale: associando l'una cosa con l'altra, si intende assai facilmente quel desiderio di solitudine erudita, che lo incatena a Valchiusa e altrove, e le sue fughe periodiche dal suo secolo e dal mondo 8). Gli si farebbe un gran torto, se dalla sua ancor debole e scarsa potenza descrittiva della natura si volesse inferire in lui una certa mancanza di sentimento. La descrizione del meraviglioso golfo della Spezia e di Porto Venere, per esempio, che egli innesta sulla fine del sesto canto dell' Africa, e che non fu mai fatta da nessuno né degli antichi, né dei moderni 9), non è, a dir il vero, niente più che una semplice enumerazione. Ma egli conosce ormai la bellezza, che risulta dal contrasto delle rupi, e sa in generale separare l'importanza pittoresca di un luogo dalla sua utilità 10). In occasione della sua dimora nei boschi di Reggio, l'improvviso spettacolo di un grandioso paesaggio agisce talmente, su lui, che egli continua una poesia da lunghissimo interrotta 11). Dove però il suo entusiasmo raggiunge il colmo, è nell'Ascesa che egli fece al monte Ventoux, non lontano da Avignone 12) . Un vago desiderio di godere un ampio orizzonte s'esalta in lui sino al punto di una vera passione alla lettura accidentale di quel passo di Livio, dove è narrata la ascensione al monte Emo di Filippo di Macedonia, l'eterno avversario di Roma. Egli pensa tra se: come non sarà da scusare in un giovane di condizione privata ciò che non si biasima nemmeno in un vecchio re? Infatti il salire alle cime di un monte senza uno scopo prestabilito pareva stranezza inaudita a quanti lo circondavano, ne certo era il caso di pensare a trovare amici o conoscenti che lo accompagnassero. Petrarca non prese dunque con se che il fratello minore e, dall'ultima stazione di riposo in avanti, due uomini del luogo in qualità di guide. Mentre con costoro aveva cominciato già la salita, un vecchio pastore lo scongiurava di tornare sui suoi passi, dicendogli che anche lui, circa 50 anni prima, aveva tentato la stessa impresa, ma con l'unico risultato di averne le ossa rotte e le vesti lacerate ,  e che nessuno mai, né prima né dopo,  si era avventurato per quella via. Ma essi non si lasciano atterrire per questo, e tra indicibili stenti avanzano ancora, sinché si trovano con le nuvole sotto i piedi e hanno raggiunto la cima. Ora è vero che noi, giunti a questo punto, ci attendiamo invano una descrizione della prospettiva che si apre loro dinanzi; ma ciò accade non perché il poeta sia rimasto freddo e insensibile a quella vista, ma perché l'impressione fu troppo forte in lui. In quell'altezza solitaria gli passano dinanzi alla mente tutti i fantasmi e le follie della sua vita passata: egli si rammenta come per l'appunto dieci anni prima era partito ancor giovane da  Bologna, e volge un ansioso sguardo di desiderio all'Italia; per ultimo apre un libriccino che si era preso a compagno di quel viaggio, le Confessioni di S. Agostino, e l'occhio gli cade appunto casualmente su quel passo del capitolo decimo dove è scritto: E gli uomini se ne vanno attorno e ammirano l'altezza dei monti e la vastità dei mari e il fragore dei torrenti e il corso dei pianeti, immemori in mezzo a tutto questo, di se medesimi . Suo fratello al quale egli legge queste parole, non sa comprendere, perché dopo ciò egli chiuda nuovamente il libro e se ne stia meditando in silenzio.

                Pochi decenni più tardi, intorno all'anno 1360, Fazio degli Uberti nella sua cosmografia 13), scritta in versi rimati, descrive la vasta prospettiva che si gode dal monte Alvernia, con quella freddezza che è propria di un geografo e di un antiquario, ma al tempo stesso con quella verità, che contraddistingue il testimone oculare. Egli deve però aver ascese ancora cime più elevate, perché conosce fenomeni che non si possono osservare se non a più di diecimila piedi sopra il livello del mare, quali le vertigini, il rigonfiamento degli occhi e le palpitazioni del cuore, da cui lo guarisce la sua mitica guida, Solino, con una spugna intrisa in una particolare essenza. Del resto non vi è dubbio che le ascensioni del Parnaso e dell'Olimpo, delle quali pure egli parla 14) , non sono che prette finzioni.

                Col secolo XV° poi, tutta a un tratto i grandi maestri della scuola fiamminga,  Hubert e Jan van Eyck, strappano interamente alla natura il suo velo e ne rubano la vera immagine. Ma il loro paesaggio non si ferma li, né è soltanto una naturale conseguenza del loro sforzo di presentare in generale un riflesso della realtà; esso ha già un concetto poetico suo proprio, un'anima, benché tuttavia in modo ancora convenzionale. L'influenza di questo paesaggio su tutta l'arte occidentale è innegabile, e non poterono quindi non risentirla anche gli artisti italiani. Ma, colti ed esercitati già da se in questo genere, non la subirono che in parte, ne ciò bastò distog1ierli dalla via che s'erano tracciata essi stessi.

                Anche da questo punto di vista, come nella cosmografia, la voce di Enea Silvio è una delle più autorevoli del tempo. Anche  se non si volesse tenere alcun conto di lui come uomo, si sarebbe però sempre costretti a confessare che ben pochi sono gli altri nei quali l'immagine di quel tempo e della sua cultura spirituale, si trovi così viva e intera, e che assai pochi inoltre si accostarono, al pari di lui, al tipo normale dell'uomo del Rinascimento. Del resto, lo diciamo incidentalmente, anche dal punto di vista morale non lo si giudicherà mai con piena giustizia sino a che si porranno a base del giudizio le lagnanze della Chiesa tedesca defraudata, a causa dei tentennamenti di lui, del tanto invocato Concilio 15) .

                 Qui egli chiama a se tutta la nostra attenzione per essere stato il primo non solamente a sentire la magnificenza del paesaggio italiano, ma anche a descriverla sin nei minimi particolari con vero entusiasmo. Lo Stato della Chiesa e la Toscana meridionale (sua patria) sono i due paesi che egli conobbe in modo speciale, e fatto papa, fu sempre solito impiegare i suoi ozi nella migliore stagione dell'anno in escursioni campestri più o meno lunghe. Ora almeno la gotta, di cui era affetto da lunghissimo tempo non gli era più un serio ostacolo a visitare monti dove si faceva trasportare in lettiga; e se con questi suoi gusti si paragonano quelli dei papi che gli succedettero, Pio, entusiasta della natura e dell'antichità e appassionato per i modesti, ma eleganti edifici, apparirà quasi un santo. Ed egli stesso nello splendido e  vivace latino dei suoi Commentarii ci ha lasciato la più veridica testimonianza di quanto in tali piaceri si sentisse felice 16) .

                Il  suo occhio appare variamente esercitato, quanto qualsiasi uomo moderno. Egli si sente rapito in una estasi dinanzi alla grandiosa magnificenza della scena che si gode dal più alto dei colli Albani, il monte Cavo. Di là la sua vista spazia sulla spiaggia del territorio a lui soggetto da Terracina e dal monte Circeo sino all' Argentario, nonché su tutto l'ampio tratto di paese che contiene le rovine delle antichissime città, coi profili dei monti dell'Italia di mezzo, con le grandiose foreste tutto all'intorno verdeggianti nelle pianure e coi laghi delle montagne, che l'illusione fa credere vicini. Egli sente tutta la bellezza della posizione di Todi, che sta come in trono in mezzo ai suoi vigneti e boschetti di ulivi, con la prospettiva delle lontane foreste e della valle del Tevere, dove brulicano da ogni parte i castelli e le piccole borgate poste lungo le sponde del fiume. Il delizioso  paese vagamente ondulato intorno a Siena con le sue ville e i suoi chiostri sul vertice d'ogni collina è la sua patria, e ad esso quindi si volgono con predilezione speciale le sue descrizioni. Ma egli è felicissimo anche nel rilevare i singoli indici pittorici, come per esempio, quando descrive quella lingua di terra che si protende nel lago di Bolsena e che è detta Capo di Monte: Gradinate di pietra, ombreggiate da vigneti, conducono giù direttamente alla spiaggia, dove tra gli scoli verdeggiano perpetuamente le querce, rallegrate di continuo dal canto dei tordi. Sulla via che costeggia tutto intorno il lago di Nemi, seduto all'ombra dei castagni e di altri alberi da frutta, egli sente che, se mai vi fu luogo atto ad ispirare un poeta, tale è certamente questo «segreto asilo di Diana». Si sa che spesso egli teneva il concistoro e faceva la segnatura e dava udienza agli ambasciataori sotto quegli antichi e giganteschi castagni o all'ombra di quegli ulivi sedendo su un verde prato o presso lo zampillo di qualche fontana. Alla vista di una gola montuosa, che si va restringendo e sulla quale arditamente si stende in arco un ponte, si risveglia immediatamente in lui il suo senso d'artista . Non vi è cosa, per quanto minuta, che non lo interessi vivamente con la perfezione e specialità caratteristica che le è propria: i campi azzurri di lino molleggiante ondeggianti, il giallo della ginestra che riveste le colline, e perfino i pruni selvatici di qualsiasi specie, nonché singole piante e sorgenti, che gli sembrano miracoli di natura.

                Ma il colmo dell'ebbrezza lo aspetta sul monte Amiata, dove salì nell'estate del 1462, quando la peste e un'afa infuocata rendevano assolutamente inabitabile la pianura. A metà dell'altezza nell'antico convento longobardo di  S. Salvatore, egli fermò con la curia la sua residenza: di là tra i boschi di castagni sospesi sul pendio dirupato si domina tutta la Toscana meridionale e si vedono in lontananza le torri di Siena. Egli non salì fino alle più alte cime del monte, ma vi salirono i suoi seguaci, ai quali si unì anche l'oratore veneziano, e lassù trovarono due enormi massi di pietra addossati l'uno all'altro che forse servirono di altare a qualche popolo primitivo, e credettero di scorgere in gran lontananza, oltre il mare, le due isole di Corsica e di Sardegna 17) . In quella deliziosa frescura, all'ombra delle annose quercie e dei castagni, sul verde smalto dell'erba, dove nessuna spina trafiggeva il piede e nessuno insetto o serpente insidiava la vita, il papa godette i suoi giorni più felici: per la segnatura, che aveva luogo in giorni determinati, egli cercava sempre nuovi posti e nuove ombre 18),  Novos in convallibus fontes et novas inveniens umbras, quae dubiam facerent electionem .

                In tali circostanze gli accadde anche una volta di vedere la caccia che i cani diedero a un cervo enorme, che fu visto fuggire sul monte difendendosi come meglio poteva con le unghie e con le corna. Di sera il Papa soleva sedere nel piazzale del convento dal lato che s'affaccia sulla valle del Paglia, trattenendosi con i cardinali in piacevoli ragionamenti. I curiali che si sbandavano qua e là per cacciare, riferivano che alle falde del monte, il caldo era insopportabile, e che la campagna arsa e deserta sembrava l'immagine di un vero inferno, al cui paragone il monastero con i suoi freschi e verdi contorni poteva dirsi una dimora di paradiso.

                In tutto questo c'è vero gusto moderno, non imitazione o influenza antica. E, ammesso che anche gli antichi , abbiano anch'essi sentito a quel modo, certo è che le poche espressioni di qualche scrittore, che Pio può benissimo aver conosciuto, non furono né poterono essere quelle che bastassero ad accendere in lui un così vivo entusiasmo 19) .

                Il secondo periodo di splendore che tra la fine del secolo XV° e l'inizio del XVI° ebbe la poesia italiana accanto alla latina, che era per sempre in fiore, ci offre numerose prove della forte impressione prodotta sugli animi dalle scene naturali, e a convincersene basta dare un'occhiata ai lirici di quel tempo. Ma vere descrizioni di grandiosi paesaggi campestri non s'incontrano quasi mai, appunto perché e la lirica e l'epopea e la novella, avevano ben altro da fare, in quell'energica età.  Boiardo e Ariosto tratteggiano i loro paesaggi con molta evidenza, ma quanto più brevemente possono, e senza impiegarli per mezzo di lontananza e di prospettive, a contribuire all'effetto 20) , che deve uscire tutto intero dai personaggi e dall'azione. Questo sentimento sempre crescente della natura trova un'espressione molto più spiccata nei tranquilli scrittori di dialoghi e di lettere 21). Singolarmente ligio a questo riguardo, si mostra Bandello alle leggi del genere letterario che egli stesso s'è imposto: nelle novelle non mai una parola più del necessario per designare i luoghi, dove si compiono gli avvenimenti 22), nelle dediche invece, che precedono ciascuna novella, ampie e particolareggiate descrizioni dei medesimi, come scena necessaria ad attuarvi i dialoghi e le conversazioni. Fra gli epistolografi ci duole di dover nominare l'Aretino 23), come colui che forse fu il primo a descrivere minutamente qualche splendido effetto di luce e di ombra nelle ore del tramonto.

                Ma anche presso i poeti s'incontra talvolta un singolare intreccio di vita sentimentale con graziose pitture di scene naturali, quasi altrettanti quadretti di genere. Tito Strozzi descrive (intorno al 1480) in una elegia latina 24) la dimora della sua innamorata: una vecchia casetta, rivestita d'edera con alcuni affreschi sacri corrosi dal tempo, nascosta fra gli alberi: accanto ad essa una cappella assai malconcia dalla violenza delle piene del Po che vi scorre in vicinanza: poco lontano di là la casa del cappellano, che coltiva i suoi sette magri iugeri di terreno con una coppia di buoi presi a prestito. Queste non sono certamente reminiscenze, né imitazioni da alcuno tra gli antichi poeti elegiaci romani, ma schietto sentimento moderno, al quale, sulla fine di questa parte del nostro lavoro, troveremo fare degno riscontro una altrettanto semplice e schietta descrizione della vita campestre .

                Ora si vuol dire comunemente che anche i grandi maestri tedeschi dei primi anni del secolo XVI° seppero talvolta rappresentare egregiamente tali scene naturali, come fece ad esempio Albrecht Durer nella sua celebre incisione del Figliol prodigo. Ma altro è che un pittore cresciuto in mezzo al realismo, aggiunga tali scene ai suoi quadri in via complementare e accessoria, e altro che un poeta, avvezzo di solito a spaziare nelle idealità, a vivere artificialmente nella mitologia, discenda nella realtà per un intimo impulso suo proprio e senta il bisogno di rappresentarla. Oltre a ciò la priorità di tempo, tanto in questa come nella descrizione della vita campestre, sta tutta in favore dei poeti italiani.

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NOTE

1: E' appena necessario riportarsi alla celebre pittura che di questo argomento si trova nel secondo volume del Cosmos di A. Humboldt .

2: A questo argomento si riferiscono le osservazioni di Guglielmo Grimm riportate da Humboldt, l. c. .

3: Carmina Burana, p. 162, de Phillide et Flora, str. 66.

4: Difficilmente s'indovinerebbe che cosa altrimenti fosse andato a fare sulla vetta del monte Bismantova nella provincia di Reggio; Purgatorio, IV, 26. Anche la precisione, con la quale egli cerca di mettere in evidenza tutte le parti del suo mondo soprannaturale, mostra in lui un profondo sentimento del bello, che risulta dalla natura e dalle forme. Che poi sulla cima dei monti si sognasse resistenza di tesori nascosti e al tempo stesso vi si guardasse con una specie di superstizioso terrore, si rileva  apertamente dal Chron. Novaliciense, II, 5, in Pertz, Script.. VII, e Mon. hist. patriae Script., III .

5: Oltre alla descrizione di Baia nella Fiammetta, della selva nell' Ameto ecc., vi è un passo nella Genealogia Deor., XIV, II, molto importante, dove egli enumera una quantità di oggetti campestri, alberi, prati, ruscelli, greggi, capanne ecc. e aggiunge che queste cose animum mulcent, e che il loro effetto è quello di mentem in se colligere.

6:  Libri, Histoire des sciences mathémat., II, p. 249.

7:  Quantunque volentieri vi si riporti; per es. De vita solitaria, specialmente a p. 241, dove cita la descrizione di un pergolato dalle opere di S. Agostino.

8Epist.famil., VII, p. 675. «Interea utinam scire posses, quanta cum voluptate solivagus ac liber, inter montes et nemora, inter fontes et flumina, inter libros et maximorum hominum ingenia respiro, quamque me in ea, quae antea sunt, cwn Apostolo extendens , et praeterita oblivisci nitor et praesentia non videre». Crf. VI. 3, p. 665.

9Jacuit sine carmine sacro. Crf. Itinerarium syriacum, p. 558.

10: Egli distingue nell' Itinerar . syr ., p. 557, nella Riviera di Levante «colles asperitate gratissima et mira fertilitate conspicuos. Sulla spiaggia di Gaeta cfr. De Remediis utyrisque fortunae, I,54.

11De orig. et vita, p. 3: «subito loci specie percussus».

12Epist. famil., IV, l, p. 624.

13: Dittamondo, m, cap. 9.

14: Dittamondo, III, cap. 21, IV, cap. 4. Papencordt, Gesch. der Stadt Rom ecc., p. 416, dice che l'imperatore Carlo IV aveva un gusto squisito per il paesaggio, e cita un di PelzeI, Karl der IV, a p. 456. (Le altre due citazioni da lui riportate non dicono questo.) Può darsi che una qualche velleità artistica sia venuta all'imperatore rapporti che egli ebbe con gli umanisti.

15: Bisognerebbe anche sentire Platina, Vitae Pontiff, p. 310: Homo fuit (pio II), verus,  integer apertus; nil habuit ficti, nil simulati, nemico d'ogni ipocrisia e superstizione, coraggioso, coerente.

16:  I passi più importanti sono i seguenti: Pii II, Commentarii, l IV, P. 183; La primavera in patria, p. 210: il banchetto alla fonte di Vicovaro, I. v, p. 251: il soggiorno d'estate a Tivoli, I, Vl, 307: l'eremo di S. Benedetto a Subiaco, I, VIII, 378: i dintorni di Viterbo, p. 387: il convento di S. Martino, p. 338: il lago di Bolsena, I, IX, p.396: la splendida descrizione di Monte Amiata, I. x, p. 483: la posizione di Momte Oliveto, p. 497: la prospettiva di Todi, I, XI, p. 554: Ostia e Porto, p. 572: descrizione dei Monti Albani, I. XII, p. 609: Frascati e Grottaferrata.

17: Così certamente deve leggersi invece che : si Sicilia.

18: Egli stesso, alludendo al suo nome, si chiama: sylvarum amator et varia videndi cupidus .

19: Sulla passione di Leon Battista Alberti per le scene campestri, crf. sopra Parte terza, Cap. 4  .

20: La creazione più completa di Arisoto a questo riguardo, il suo sesto canto, non si compone che di piture perfette si, ma senza sfondo.

21: Agnolo Pandolfini (Trattato del governo della famiglia, p. 90) contemporaneo di Enea, si compiace dei giocondi spettacoli che offre la campagna ragguardando que' colletti fronzuti, que'piani vezzosi, quelle fonti e quei rivi, che saltellando si nascondono tra le chiomne dell'erbe ; ma forse sotto questo nome si cela il grande Alberti, il quale come s'è detto, sentiva anche sotto altri punti di vista la bellezza del paesaggio.

22: Quanto alla decorazione architettonica, egli ha un'altro intento, quello di descrivere un lusso determinato e speciale, e in ciò la decorazione moderna potrebbe trovare qualche cosa da imparare anche oggi.

23: Lettere pittopriche III, 36. A Tiziano del maggio 1544.

24: Strottii Poetae , negli Erotica, I, VI, p. 182-ss .

 

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