LA LINGUA PIU' DEMOCRATICA E MAI IMPOSTA
[ Commento e presentazione di un articolo di Vittorio Messori ( Titolo originale : I primi vati dell'italiano. Tutti padani? ) riportato sottostante dal Corriere della Sera del 20 agosto 2009 ]
Logo della lingua italiana : simmetria musicale e alta ispirazione :
la Sindone in alto, esprime il retroterra teologico, il punto più misterioso e profondo;
la Rotonda del Palladio e l'uomo leonardesco richiamano l'estetica pittorica e architettonica;
Dante e la Sibilla, rappresentano il Genio poetico e della ispirazione .
1. INTRODUZIONE
Nel processo di formazione delle lingue moderne e nazionali dell’Europa, avviene un fatto importante, destinato a decretare la fine del latino o dell’antico germanico e slavo, come lingue vive o parlate, e la nascita delle lingue nazionali al posto del latino, del proto e antico germanico e slavo, stessi.
Tale fenomeno consiste nella frattura tra il popolo che parla come può (perciò possiamo dire: parla in volgare), e la classe dirigente e ecclesiastica che usa il latino in occidente o l’antico slavo ecclesiastico nell’ortodossia orientale.. , per i documenti ufficiali, e la letteratura … .
E’ questo il periodo che, a riguardo del processo di trasformazione del latino nelle lingue romanze, va dalla fine dell’Impero Romano o 475 d.C. , a tutto il medioevo :
il primo documento del francese risale all’842 (Serment de Strasbourg o Giuramento di Strasburgo); il primo dell’Italiano risale all’VIII° secolo (Indovinello Veronese); il primo dello spagnolo-castigliano risale al X° secolo (Glosse Silensi e Emilianensi) ; il primo del portoghese, al XII secolo (prima del 1175 : Patto di non aggressione tra i due Fratelli Gomes Pais e Ramiro Pais); il primo del Rumeno risale al XVI ° secolo (Lettera del 1521 del Giudice di Kronstadt); ma le origini del rumeno volgare, risalgono certamente alla Comunità latina dell’antica Dacia ; il primo documento del volgare sardo, risale al 1080 (Donazione del Giudice Torchitorio all’Arcivescovo di Cagliari, dei villaggi di Sant’Agata di Sulcis e Sant’Agata di Rutilas).
A riguardo del processo di formazione del protoslavo nelle lingue slave, ci sono almeno due tappe importanti : la prima va dal Protoslavo del III secolo a. C. al IX d. C., quando compare lo Slavo ecclesiastico : l’adozione dello slavo ecclesiastico, risale come ordetto al IX secolo, allorché i santi bizantini Metodio e Cirillo, tradussero la Bibbia nel dialetto slavo di Salonicco (Solun) . Questo slavo ecclesiastico, sopravvissuto fino ad oggi quale lingua liturgica di alcune chiese ortodosse e greco-cattoliche in oriente, da un lato represse le istanze letterarie e espressive dei vari dialetti; dall’altro favorì lo sviluppo di una letteratura e lingua slava comune o più analoga, e anzi, ha probabilmente favorito perfino la preminenza del russo, sulle altre lingue slave.
A riguardo del processo di formazione dal protogermanico al tedesco , si possono descrivere pure due tappe fondamentali : la prima è appunto, l’esistenza del protogermanico, cioè una lingua archetipica o comune a tutte le lingue germaniche, ma solo dedotta dagli studi comparati e solo orale, onde non ha lasciato documenti se non qualche iscrizione in alfabeto runico nella Scandinavia del 200 a.C. ; la seconda tappa, è la preminenza odierna del tedesco, essendo parlato da oltre 110 000 000 di persone . Il tedesco comincia la sua ribalta con Carlo Magno , conservando in questa fase i soli due tempi del passato e presente, tipici del protogermanico; poi dal 1050 in poi, ad opera della corte carolingia e della Chiesa, e specialmente con la traduzione della Bibbia da parte di Martin Lutero nel 1521-34, assume già la veste di lingua moderna; infine questa lingua ormai compiuta, sarà perfezionata tra otto-novecento .
Stando così le cose circa i tre gruppi linguistici fondamentali dell’Europa (latino, germanico e slavo…), si può dire che il rimescolamento e la fusione dei popoli a causa delle invasioni barbariche e evoluzioni preesistenti e conseguenti, portò alla nascita di un volgare differente a seconda delle nazioni :
le lingue neolatine o romanze, si formarono a partire dalla fine del latino come lingua parlata e vedono la preminenza dell’italiano in ambito rinascimentale, del francese nel periodo moderno; le lingue germaniche, si formarono a partire dalla fine del protogermanico come lingua parlata, subirono un assestamento fondamentale a partire dalle conseguenze delle invasioni barbariche (per cui alcune si trasformano da germaniche in lingue romanze : francese dei Franchi e spagnolo dei Goti...) e dell’ascesa del tedesco, a sua volta altra ragione influente sulle altre lingue germaniche; le lingue slave, si formarono a partire dalla fine del protoslavo e dall’ingresso dello slavo ecclesiastico e ascesa preminente del russo.
In questo processo generale di formazione, ciascun gruppo linguistico della triade europea, ha pertanto il suo punto di partenza , sebbene tutti i gruppi siano della famiglia comune delle lingue indoeuropee .
Può dirsi perciò, che tutte queste lingue, nonostante gli innegabili condizionamenti storici di conquistatori e conquistati, sono democratiche, perché sebbene con misura, modalità e tempi diversi, si evolvono ciononostante, recuperando la base della maggioranza orale, popolare-nazionale.
Tuttavia, alcune di queste lingue come l’Italiano , sono per così dire, più democratiche delle altre, perché non sono state mai imposte da leggi, ma solo dalla consuetudine più autorevole. Nel corso di questa evoluzione del volgare, gli Stati spesso sono intervenuti per scegliere come lingua ufficiale un dato dialetto a scapito di altri, ritenuti minoritari o giudicati meno autorevoli.
Ma l’Italiano (l’italiano più del tedesco stesso) come dice Messori sottostante, si afferma mirabilmente senza l’imposizione di nessuna legge, ma solo per naturale autorevolezza letteraria, collettivamente condivisa e ammirata ; d’altronde il tedesco, si è affermato per decisione maggioritaria degli Stati germanici a favore del Sassone aulico scritto, della traduzione biblica di Lutero. Per questo può dirsi a ragione, che la evoluzione linguistica italiana e tedesca, è la più democratica che possa esistere, infatti avviene naturalmente a causa della sola forza della consuetudine o convenzione, e quindi al di fuori di ogni imposizione legale o statale .
E’ perciò una involuzione campanilistica, la recente pretesa della Lega Nord, di recuperare i dialetti in opposizione all’Italiano, anziché recuperarli come una variante interessante e doverosa, del medesimo Italiano .
Infatti per ragioni storiche e capacità linguistiche e letterarie stupefacenti, nessun dialetto della Penisola, per quanto interessante e apprezzabile (per quanto creativo e amabile possa essere), può tuttavia ritenersi a ragione, linguisticamente e culturalmente superiore all’Italiano attuale.
E le ragioni ideologiche o leghiste, su questo punto, non possono prevalere sulla obbiettività storica, in Italia e nemmeno nella Padania-Italia, senza mettere in discussione un aspetto importante della fondamentale identità italiana, cioè l’italiano attuale .
1. La signora Ester Amletica mi manda con email del 17 luglio 2012, le seguenti proposte di correzione soprastante, che mi riservo di prendere in considerazione appena ne avrò il tempo :
Gentilissimo
Metozzi Orlando,
non entro in merito delle sue opinioni discutibilissime, volevo
segnalarle un paio di errori nell'intervento qui:
http://www.lettereadioealluomo.com/Italiano_quale_lingua_democratica.htm
mi riferisco solo alla parte informativa iniziale, che ho letto.
"il primo
documento del francese risale all’842 (Serment de Strasbourg o Giuramento di
Strasburgo); il primo dell’Italiano risale all’VIII° secolo (Indovinello
Veronese); il primo dello spagnolo-castigliano risale al X° secolo (Glosse
Silensi o Emilianensi) ; il primo del portoghese, al XII secolo (prima del 1175
: Patto di non aggressione tra i due Fratelli Gomes Pais e Ramiro Pais); il
primo del Rumeno risale al XVI ° secolo (Lettera del 1521 del Giudice di
Kronstadt); ma le origini del rumeno volgare, risalgono certamente alla Comunità
latina dell’antica Dacia ; il primo documento del volgare sardo, risale al 1080
(Donazione del Giudice Torchitorio all’Arcivescovo di Cagliari, dei villaggi di
Sant’Agata di Sulcis e Sant’Agata di Rutilas)"
Il quadro introduttivo da lei fatto non è preciso quanto dovrebbe essere. Tre
osservazioni:
- glosse silensi ed emilianensi sono due cose diverse, quindi sarebbe più
corretto scrivere "glosse silensi ed emilianensi" per non generare il
fraintendimento che siano la stessa cosa: le seconde sono contenute in un codice
proveniente dal monastero di San Millàn, le prime proveniente da Santo Domingo
de Silos
- non è trascurabile l'osservazione che l'indovinello veronese, stando alle più
recenti indagini, NON è il primo testimone documentario in italiano volgare
L'indovinello infatti recita: se pareba boues alba pratalia ecc... le
interpretazioni sulle prime due parole sono controverse, ma se si esclude la
tesi del solo Migliorini di SE derivato da SIC (così) e si accoglie invece
l'interpretazione dei più (Contini, Roncaglia, Monteverdi, Meneghetti ecc) di SE
pronome "si" (la traduzione potrebbe essere "si assomigliava ai buoi" oppure "da
sè spingeva i buoi") è evidente che l'autore non sta rispettando la LEGGE DI
TOBLER-MUSSAFIA, che l'italiano antico fino al XII secolo segue (es. Dante nel
III canto "feceMI la divina potestate": il pronome atono, se a inizio frase,
viene attaccato al verbo); ora questo significa che l'autore dell'indovinello,
un chierico certamente colto, non stava scrivendo italiano, ma solo un latino
più "inquinato" rispetto a quello "classico" della "gramatica", latino non
ancora compitamente volgare che gli esperti chiamano "latino della parola" o "sermo
circa romancum". La definizione di questo latino è piuttosto labile: ma
nell'indovinello veronese la pervasività del latino è troppo forte per poter già
parlare di italiano; mancano gli articoli, per esempio. Il primo documento in
italiano è il Placito Capuano del 960 d.C.: è di carattere documentario, ma
è senz'altro la prima attestazione "certificata".
- ultima osservazione: non esistono dialetti superiori ad altri. L'italiano,
come lei ha scritto, deriva dal dialetto toscano ma il fatto che, per tante
ragioni, questo dialetto abbia avuto più felice sorte sugli altri non significa
che sia ad essi superiore. Per esempio: il caso del francese, che imponendosi ha
messo in posizione marginale il provenzale Eppure il provenzale ha prodotto nei
secoli XII e XIII la "creme della creme" della letteratura gallo-romanza. Ma
questo credo che già lo sappia bene lei di suo :)
... allora per approfondire il seguente quadro le consiglio la lettura "le
origini delle letterature romanze" della Meneghetti.
cordiali saluti,
Ester
2. TESTO :
I PRIMI VATI DELL’ITALIANO? TUTTI PADANI
di Vittorio Messori
20 agosto 2009 : Corriere della Sera
Il guaio dell’età che avanza –parlo per esperienza– è soprattutto la noia. Quella di chi subisce il ciclico ritorno degli stessi dibattiti , degli stessi temi, degli stessi equivoci. E’ naturale: ogni generazione deve ricominciare da capo. Ma, per il povero anziano, è pur sempre tedioso.
Tra i “tormentoni" ricorrenti, ecco di nuovo, in queste settimane, la questione – rinfocolata periodicamente dalla Lega- del rapporto tra lingua nazionale e dialetti locali . Qui, i seguaci di Bossi hanno un grosso, irrisolvibile handicap rispetto a molti movimenti stranieri federalisti o separatisti. In effetti, non vale per l’Italia quanto osservava Ernest Renan: << Una lingua non è che un dialetto che ha trovato uno Stato e un esercito >>. E’ vero per altri grandi idiomi. Il francese imposto da Parigi a occitani, bretoni , normanni, còrsi, alsaziani, lorenesi . Il castigliano imposto da Madrid a catalani, baschi, valenciani, galiziani, aragonesi. L’inglese imposto da Londra a gallesi, scozzesi, irlandesi. Il russo imposto da Mosca a ucraini, bielorussi e altre etnie slave . Il mandarino di Pechino imposto a tutti i cinesi. Due sole, grandi lingue , divenute ufficiali per uno Stato, non sono state imposte a popolazioni in parte riluttanti : il tedesco e l’italiano. Entrambe sono, per dir così , “democratiche“. Per comunicare tra loro, le genti germaniche, prive di unità politica, dopo un lento avvicinamento degli infiniti dialetti, decisero di adottare, almeno per la scrittura, il sassone aulico in cui Lutero tradusse la Bibbia. Quanto all’Italia, anch’essa frammentata, ebbe solo tardivamente uno Stato, ma fu precocemente una “nazione“. A partire dal tardo Quattrocento, chi abitava la Penisola era distinto dagli altri popoli come un “ italiano “. Ma già nel Medio Evo, tra le “nazioni“ riconosciute in Europa - ad esempio, nelle università e nelle corporazioni di mestiere –c’era quella “italiana“. Sta soprattutto nella lingua il motivo di questa identità, malgrado lo spezzettamento politico e le forti differenze di ogni tipo tre le Alpi e lo Ionio.
Ebbene, spesso si dimentica che, se in Italia si parla e si scrive così, ciò è dovuto alla libera scelta degli uomini di governo e, soprattutto, di cultura, di ogni angolo di quello che solo molti secoli dopo sarebbe divenuto uno Stato. In Italia non ci fu una Capitale dove sedesse un’autorità che imponesse un dialetto locale divenuto lingua ufficiale per le leggi, i tribunali, l’esercito. Da noi, ancor più che in Germania, l’idioma comune fu una sorta di referendum, fu il frutto di una decisione pragmatica che si impose liberamente: poiché, divenuto sempre più arduo esprimersi in latino, occorreva una koiné italica, i gruppi culturalmente e politicamente dirigenti finirono coll’accordarsi (prima nei fatti, e poi nelle teorie dei dotti) sulla variante di volgare illustrato dalla triade sublime, Dante, Petrarca, Boccaccio. Così, fu il dialetto toscano, e in particolare fiorentino, che divenne la lingua franca per gli scambi, la letteratura e poi la cultura in generale.
Lingua “democratica“, dunque, e al contempo “aristocratica“ nel senso che, sino all’unità politica, fu soprattutto scritta da chi sapeva di lettere. Ci vollero non tanto la scuola obbligatoria quanto prima l’Eiar e poi la Rai, nonché il sonoro nei film, per trasformarlo in un idioma praticato da tutti, o quasi. Sta di fatto che -a differenza di un catalano nei confronti di un castigliano o di un provenzale nei confronti di un parigino o di uno scozzese nei confronti di un londinese – nessuno, di nessuna regione italiana, può accusare uno Stato o un Potere di avergli imposto un idioma che, dalla sua, ha avuto semmai solo la forza della cultura . Firenze nulla fece, se non approfittare del talento dei suoi grandi scrittori. Quanto agli attuali “padani“, pur comprendendo alcune delle loro ragioni, non dimentichino che, tra Ottocento e Novecento, coloro che più fecero per dare una lingua moderna a tutti gli abitanti della penisola, facendoli uscire dai dialetti e dal toscanismo angusto, furono il lombardo Manzoni, il ligure piemontesizzato De Amicis, il saluzzese Pellico, il torinese d’Azeglio, il dalmata Tommaseo, il veneto Fogazzaro, il romagnolo Pascoli, il genovese Mazzini . E che, ancor prima, l’astigiano Alfieri, il subalpino Baretti, i milanesi Verri e Beccaria, molto avevano fatto per radicare la lingua comune. Per tornare all’Ottocento, il parmigiano Verdi, malgrado offerte di francesi, inglesi, tedeschi, rifiutò di musicare libretti che non fossero in italiano; e persino il “federalista“ lombardo Carlo Cattaneo accettò di buon grado la scelta del toscano, in cui scrisse in modo impeccabile, irridendo ai passatismi dialettali. Non irrisione, ma furore, provocavano nel nizzardo Garibaldi coloro che mettevano in discussione l’unità dell’idioma. Morì accanto a lui, all’assedio di Roma, il genovese Mameli, che aveva cantato l’unione di “Fratelli d’Italia“ in tutto, a cominciare dalla lingua. Tutti “padani“ o, almeno, “nordisti“; e tutti contro la babele vernacolare, anche la loro.
“E’ la storia, bellezza!“ , verrebbe da celiare con chi si ostinasse a barricarsi sotto il suo campanile, inveendo contro una lingua che gli sarebbe stata imposta da qualche prepotente forestiero. E’ colpa, o merito, della storia se non esiste non si dice un chimerico “padano“, ma neanche un “lombardo“ (si capiscono, forse, uno di Sondrio e uno di Cremona, uno di Bergamo e uno di Pavia?) e, se altri idiomi di altre regioni italiane, al Centro e al Sud, esistono, ma non sono praticabili come lingue . Ciò non toglie che i dialetti siano una ricchezza: posso dirlo anche perché, se mi è permesso un riferimento personale, mio padre fu tra i più popolari e, credo, dotati, poeti in modenese. Ma è una ricchezza ancor maggiore lo strumento divenuto pian piano comune, in quasi mille anni, ad almeno 60 milioni di persone. Per forza propria, senza bisogno di decreti governativi tutelati dai gendarmi .
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FINE