LA SPOSA GIACINTA PRETENDE IL MATRIMONIO IN CHIESA

(Da: Giovanni Papini, Lo Sposalizio, in: La Seconda Nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 169-76) 

 

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                Anche l'amor della donna mi portò a Cristo. 

                Non voglio raccontare storie di passioni: se v'è dentro gusto di peccato e spezie di voluttà son fomiti al male, già troppo; e gli amori casti e legittimi non sopportano d'esser deflorati dalle parole che, per quanto belle si scelgono hanno sempre il peso delle pietrerie false in confronto al brillar d'una gocciola sospesa nell'aria, d'una favilla che sale, d'un aroma che si spande invisibile. E di storie dell'una e dell'altra qualità son pieni i libri, mentre si contan sulle due mani coloro che raccontan d'altri amori, e non sempre di quelli tra maschio e femmina e tra uomo e donna, e si propongono come voleva Leopardi, di scrivere la Storia di un'anima .

                Nella storia della mia il ritorno a Cristo era stato preceduto, da una volontà di tornare al Vangelo e a Dio. La filosofia, per me, doveva essere ricerca e esercizio di potenza spirituale, non tessitura di concetti cincischiamento di parole, tetralogia di sistemi. Su questa malagevole via non incontrai soltanto negromanti e mistagoghi ma santi e mistici e questi, a me italiano e amator di chiarezze concrete, piacquero più degli altri. Scrissi allora e stampai alcune pagine sull'imitazione di Cristo, che potrei con qualche ritocco di parola, accettare anche oggi.

                Nello stesso tempo cominciarono a rumoreggiare i cosidetti modernisti, i quali offrivano ai malati di critica e ai cristiani tentati dalla concupiscenza del dubbio, un ponte largo e ben lastricato sul quale potevan passare comodamente i fedeli per fare un po' di compagnia a qualche demonio addomesticato e i demonici per venire  a rinfrancarsi all'ombre benefiche della fede.

                Dopo si vide che il ponte era una passerella di legno non stagionato e legato alla meglio coi vinchi tanto che vacillava e sconnetteva sotto i passi precipitosi, o meglio ancora un ponte levatoio abbassato per far entrare nella cittadella romana, il cavallo di troia delle eresie. Allora, però a questi pericoli e danni non badavo e quell'apertura offerta al mio sazio pirronismo per inserirmi quasi a tradimento, per il cunicolo segreto della simbologia, fin nel cuore del cristianesimo mi parve, li per li, una mezza fortuna da non lasciarla scappare. Il Papa mi sembrava un curato di campagna che si volesse opporre, per cortezza di mente e di scienza, al fatale andare de' nuovi apostoli; i teologi di curia tanti sartori vecchi che tentassero invano di rammendare con aghi rugginosi il velario ragnato del medievalismo.

                Conoscevo di persona quasi tutti i paraninfi di quelle invocate nozze tra la chiesa e il pensiero moderno e certuni (l'affermo volentieri anche oggi) eran davvero galantuomini in buona fede. Ma un di loro ch'era insieme galantuomo e gentiluomo, a me che una sera gli dicevo in una strada di Milano, che ormai per dirmi cattolico mi mancava solo la persuasione della divinità di Gesù, invece di rallegrarsi come m'aspettavo e di incuorarmi a far l'ultimo salto, pacatamente rispose che decisioni di quel genere son tanto gravi ch'è meglio prender tempo e pensarci e ripensarci poi.

                Forse aveva ragione; ma forse quelle sue parole mi rattennero anche troppo, forse feci male a farmi intiepidire da quel consiglio, forse se mi avesse soccorso meglio mi sarei trascinato ai piedi della Croce più di dieci anni prima e mi sarei risparmiato chissà quanti errori, e forse (e questo sarà l'ultimo forse) è stata volontà d'Iddio che io m'ingaglioffassi in tutti i vicoli ciechi del male perché dopo, tornando sulla via regia dell'Evangelo, non avessi più mai a lasciarla, ché l'altre strade l'ho tutte percorse e ormai so dove portano: a pantani e a voragini.

                Proprio nell'epoca di questi altalenamenti di pensieri e di voleri, la giovane che volevo sposare mi annunziò che non intendeva di firmar solamente un contratto in comune ma di celebrare un sacramento. Era tutt'altro che una bizzoca; ma la sua anima di semplice cristiana non immaginava un matrimonio che non fosse benedetto da Dio oltre che registrato dagli uomini.

                Quella sua richiesta che mi metteva dinanzi a una soluzione manifestabile in atti, sulle prime mi turbò. Avevo già dovuto vincere in me più d'una battaglia per risolvermi alla rinunzia di quella che mi pareva, allora, divina e necessaria libertà. Un profeta, pensavo non può accovarsi intorno a un focolare e che figura farà un falco dentro una stia? Pure dopo rivolte e rimorsi, aveva vinto; ossia l'amore di una creatura aveva confutato i sofismi dell'amor di sé.

                Ma questa dello sposalizio in chiesa era un'altra difficoltà, non dirò non preveduta affatto , ma sulla quale avevo cercato di non fermare la riflessione perché l'altre difficoltà non diventassero anche più difficili. Non potevo chieder consiglio a nessuno: e son cose queste dove giova il consiglio? L'unico che avrebbe potuto consigliarmi sarebbe stato proprio colui che avrebbe dovuto legarci colle parole dell'evangelo: andar da un prete a chiedergli se un sacramento è proprio necessario?

                In quei tempi leggevo molto Pascal e l'ammiravo anche più di ora, il che vuol dire moltissimo. Chiesi consiglio a Pascal: qual consiglio potesse darmi lo sanno tutti:

                Vous voulez aller a la foi et vous n'en savez pas le chemin...apprenez de ceux qui ont été liés comme vous, e qui parient maintenant tout leur bien...Suivez la manière par où ils ont commencé: c'est faisant tout comme s'ils croient, en prenant de l'eau bénite, en faisant dire des messes, etc. Naturellement même cela vous fera croire et vous abêtira.

                Conoscevo troppo bene il mio Pascal per inalberarmi dinanzi a quella parola che in altri tempi mi avrebbe fatto stridere i denti: s'abêtir! e m'era anche provato a seguir quella regola, ma troppo poco e troppo di rado per poter dire che era falsa. E la sua scommessa, una scommessa che da una parte promette una vincita infinita e dall'altra un guadagno breve ma certo, era così tentante!

                E Pascal seguitava con parole che facevano al caso mio:

                Il faut que l'exterieur soit joint à l'interieur pour obtenir de Dieu; c'èst a dire que l'on se mette à genoux, prie des lèvres, etc. afin que l'homme, orgueilleux, qui n'a voulu se soumettre à Dieu, soit maintenant soumis a la creature.

                Qual fatica pregar coi labbri per sottomettersi a una creatura, e per giunta amata, e colla speranza d'arrivare a uno sposalizio anche più glorioso, dell'anima con Dio? Preparato dai mistici, allettato dai modernisti, consigliato da Pascal, e infine spinto da due occhi bellissimi, alla fine mi arresi e una bella mattina di luglio andai da un prete perché mi preparasse alla prima comunione. Sarà una prova, dissi tra me. Sperimento la teoria di Pascal e nello stesso tempo fo contenta una donna che amo e che mi vuol bene. Il desiderio di credere l'ho davvero e sincero, sicché non inganno propriamente nessuno. Voglio cominciare in tutti i sensi, una vita nuova e se Dio mi vuole son pronto ad ascoltarlo: eccomi qua.

                Il prete al quale mi rivolsi sarà stato certamente un sant'uomo (non l'ho più rivisto) ma non capì bene lo stato mio e mi parve quasi insospettito o infastidito. Mi disse con parole asciutte di comprare un catechismo e di tornar da lui appena l'avessi studiato. In quel tempo ero ancora troppo orgoglioso per scoprire alla prima le sublimità che son chiuse, come perle in un sacchetto di canapa, negli umili paragrafi d'un catechismo da quattro soldi: avvezzo a leggere Santa Caterina e Santa Teresa, quelle domande e risposte mi fecero lo stesso effetto che farebbe il melappio a una bocca assuefatta a bere sciampagna.

                Tornai dal prete qualche giorno dopo. Il caldo era grande e il suo fervore, piuttosto piccolo. Stava buttato, più che seduto, su un canapè coperto di roba rossa e gialla, dinanzi a una tavola ovale dominata da un lume a petrolio col piede e la cipolla di porcellana, alto e bianco come una torcia cinese che avesse in cima una palla di vetro spulito. Il poveretto era grasso e sudava; un fazzoletto rosso quasi quanto il suo viso era quasi sempre in moto e appena aveva asciugato una tempia si vedeva gocciolar quell'altra, e mi faceva pena. Mi rivolse tre o quattro domande e mi licenziò invitandomi per il giorno dopo nella sua chiesa.

                La chiesa di san Simone non è tra le belle della mia città: una navata sola, chiara, con altari qualunque e quadri che d'antico hanno solo l'appannatura del fumo. Quella mattina c'èra quando entrai, soltanto una donnina povera che pregava e ogni tanto faceva di gran sospiri, e pareva fosse li per chiedere una grazia che premesse a lei sola. Ero andato li con buona intenzione ma con la stessa sincerità, confesso che mi sentivo più confuso che commosso. Feci una confessione che avrebbe dovuto esser generale ma che per esser la prima fu lacunosa per forza eppoi la messa cominciò.

                Ero quasi solo, inginocchiato in un banco, cercavo di seguire in un libriccino le rubriche del Mysterium magnum, per me tutto nuovo o quasi. Una fascia di sole polveroso folgorò a un tratto sull'altare, fece brillare il ciborio e la calvizie rosata del celebrante.

                Chinai la testa confuso da un rimescolamento di pensieri in contrasto: ora quasi mi vergognavo d'esser li in quella positura che avrebbe fatto ridere tanti se mi avessero visto; ora mi sentivo ravvalorato dal sentirmi per la prima volta in comunione  visibile colla religione della mia patria e di tutta la civiltà d'occidente; ora pregavo con parole mie Gesù che mi facesse la grazia di un'illuminazione, di un segno certo, di una fiamma che mi bruciasse tutto d'amore, e mi togliesse da quella fumosa tiepidezza; ora sentivo un disagio, una molestia, una pena e una gran voglia che tutto finisse presto; ora m'illudevo che quell'improvvisa invasione d'oro solare fosse un presagio, un contrassegno propizio, un benestare celeste.

                Dopo la comunione mi sentii sollevato; ma Cristo scendendo in me, non mi aveva trovato ancor tutto degno di Lui e il benefizio fu labile più della mia fede germinante.

                Poche mattine dopo un servo di Maria benedisse due anelli d'oro e due sposi in quella chiesa della santissima Annunziata dove, per la prima volta, nel crepuscolo d'una desolata domenica d'agosto, m'era parso di sentire nella voce tonante dell'organo la chiamata d'Iddio.

 

FINE

 

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