[Da: Ada Negri -1870.1945-, Messa natalizia, in: Finestre alte, Verona, Mondadori 1942 (1° ed. 1923), pp.289-92)]
Ancora un tuffo nelle vie buie: ancora ammiccar di fanali pazienti e saggi: poi l'aprirsi di una porta chiodata: il sollevarsi d'una pesante portiera: uno splendor di lumi, un'ondata d'incenso, un fremere, un piangere d'organo.
Beatitudine d'essere in Chiesa!... Non perché allora amassi ferventemente Iddio. Iddio, in quel tempo, esisteva per me come l'aria: lo respiravo senza vederlo. Ma i miei sensi già vigili e inquieti si placavano in quell'armonia calda e ricca di vermiglio e d'oro, di fiammelle, di riflessi, di sacerdoti dai movimenti nobili e ritmici nei camici di trina, nelle pianete di Damasco. Fra quelle bellezze potevo evadere dalla povertà di casa mia, dalla meschinità rigida e buia delle aule scolastiche, dalla chiassosa volgarità della strada.
Cercava la mamma, per farmi felice -a quella messa mattiniera di natale- di portarmi a sedere proprio dinanzi al presepio, ch'era esposto a destra sotto l'altare. A bocca semichiusa, con occhi estatici ammiravo il bambino, contavo i pastori, i mandriani e le loro offerte, e rifacevo con la fantasia il viaggio dei re Magi, sotto la guida della stella d'oriente.
Ma non potevo fare a meno di guardare, volgendo la testa, anche i quadri della via crucis, appesi lungo la navata centrale, e messi in luce dalle fiamme dei molti candelabri, tra festoni rossi cangiati d'oro.
Il Nazzareno che porta la Croce, che cade sotto la Croce, che sanguina alle nerbate dei Giudei, che lascia l'impronta del suo viso sul fazzoletto della Veronica, che spira sul Calvario, confitto alla Croce, era pur stato il grassoccio Bambino riposante nella capanna di Betlemme, in grembo alla Madre.
Fra soli tre mesi, in primavera, il venerdì santo, sarei venuta a baciar la piaga del costato a un terribile Cristo morto, di legno dipinto al vero, con veri chiodi infissi nei piedi e nelle mani.
Nel presepio natalizio, Egli aveva succhiato il latte della Madonna: e intanto i Re magi, sulle magnifiche cavalcature, gli portavano in dono oro, incenso e mirra.
Era nato, aveva patito, era morto per gli uomini, per me.
Quale dei due Gesù m'era più caro ? ... Il Bambino raggiante o il salvatore sanguinoso ?... E quale era il vero ?...
Augusto, il prete officiava, assistito dai chierici, con precisi movimenti di rito, cantilenando parole di rito in una lingua ch'io comprendevo senza saperla. Forse in un'altra età l'avevo parlata io stessa, poi me n'era stata tolta la memoria; ma non il senso; e la riconoscevo.
Alla campanella del sanctus, accompagnata da una fuga d'organo impetuosa come il volo di uno stormo di rondini nel vano delle navate, e dall'unanime curvarsi delle teste dei fedeli, rispondevo con l'ansioso tremito di tutto l'essere. Ansioso e pavido. Che cosa annunziava ?... Quale apparizione si sarebbe mostrata in quel momento ?... Quale miracolo stava per compiersi?... Forse l'infante di pietra sarebbe ad un tratto divenuto di viva carne ?...
Nulla. Il rito continuava. Il mio tremore interno man mano si attutiva sotto la pesante carezza dell'incenso. All'Ite missa est, che il sacerdote pronunciava con gravità solenne, quasi a benedirci per un lungo viaggio, tutte le donne in piedi cantavano in coro le litanie di Natale.
Oh quei ripetuti Mater, Virgo, Mater, Virgo, quanto eran misteriosi e soavi al mio cuore. La mamma anch'essa cantava, piccola piccola nello scialle nero, con un viso di liberazione, con voce d'anima consolata: io no, per una mia nativa impossibilità al canto, che sempre mi durò nella vita. Ma, dentro si: dentro di me salmodiavo, a note lunghe, piene e distese, di passione e di felicità, che superavan le altre e che io sola udivo ... .
Fine .