Premessa
:
L’Italia ha per Patrono non solo un Santo, ma anche un poeta; e tra i poeti,
Francesco d’Assisi è il più serafico e contemplativo, il più lirico. Ciò
possiamo dirlo certo a causa del Cantico
delle Creature; ma specialmente lo possiamo dire, a causa dell’intero
stile di vita, umilissimo e immerso nella natura, in costante dialogo con essa,
portandogli il massimo rispetto e insieme amore, proprio perché la riconosce
fortemente come opera meravigliosa della principale fonte d’ogni rispetto e
amore, cioè dell’Altissimo Bon Signore, il Creatore stesso di tutto e di tutti.
Però Francesco amante e poeta della natura e della vita, proprio perché tale,
ha un amore ancora più grande e viscerale per l’edificio celeste sulla Terra,
che è la Chiesa stessa. Perciò come ammansisce e redime i lupi malvagi e i
briganti e i ladroni (insomma come ammansisce e ripara la natura e la natura
umana che in qualche modo son debilitate, e anzi, talvolta gli umani son più
depravati delle bestie), passa la vita a riparare anche la Chiesa, specialmente
la Chiesa:
“Un giorno Francesco stava inginocchiato nella Chiesa di San Damiano, sotto
l’immagine d’un grande Crocifisso bizantino. Forse gli chiedeva mentalmente
la via da seguire nel mondo; a un tratto come se partissero dal Crocifisso, gli
risuonarono nel cuore queste parole: Non
vedi Francesco che la mia Casa rovina? Và dunque a ripararla. E
Francesco tutto tremante : Si mio
Signore, farò la tua volontà . E interpretò alla lettera (allora non
poteva capire che si trattava della riforma morale della Chiesa) il comando
divino. Le mura della Cappella di San Damiano erano quasi in rovina. Egli doveva
dunque restaurarle. Ma pare che in quel momento per le molte elemosine
distribuite, non avesse in tasca denaro sufficiente al bisogno, né volesse
chiederlo in casa. Allora pressandolo il comando ricevuto, piglia questa
audacissima risoluzione: entra, assente il padre, nel fondaco, carica parecchie
pezze di stoffa sul dorso di un cavallo, va al mercato di Foligno e vende
cavallo e stoffe. Poi il ricavato vuol versarlo nel mani del prete di San
Damiano, che messo al corrente della faccenda, per paura di Pietro Bernardone,
rifiuta. Allora Francesco getta il danaro sul davanzale di una finestra come
fosse una manciata di polvere; dopodichè il curato di San Damiano lo ospita”
(Domenico Giuliotti,
San Francesco, Nemi
–Nuovissima enciclopedia monografica illustrata-, Firenze, 1931, p. 9b; tra 8
anni, nel 1939, Francesco sarà proclamato Patrono
d’Italia) .
Il Santo d’Assisi è dunque un formidabile riparatore della natura, della
umanità immersa nella natura, della Chiesa immersa nella umanità e nella
natura. E può fare questa opera riparatrice e annunciatrice del Regno di
Dio, perché tutto vede sotto la luce soprannaturale della Grazia, o della luce
evangelica del Creatore. Il Dio di San Francesco non è dunque una divinità
panteista, che si identifica con la natura e contraddistingue la maggioranza dei
filosofi e delle religioni; ma è, come insegna la Bibbia,
il Creatore della natura; la nobiltà e bellezza della Natura, per San
Francesco, sta dunque nel mostrare le tracce del suo Autore;
però questo Autore non è un Creatore qualunque e non è un Creatore
invisibile, ma è invece personalissimo e visibilissimo, tanto che si è fatto
uomo. Da qui la formidabile reinterpretazione e innovazione del Presepe
di Greccio , cioè del momento che segna la storia dell’umanità, a
causa della incarnazione e nascita di Dio quale uomo, di Dio che viene a
prendere dimora in mezzo all’umanità, perché è il Dio
con noi, l’Emmanuele.
Con queste premesse il Patrono d’Italia, indica e ricorda alla stessa Italia,
quale è la sua principale funzione o vocazione nel mondo: portarvi la civiltà
riparatrice e promotrice della natura e degli uomini, che procede da Dio e dalla
sua legge .
Orlando
Metozzi
San Francesco
riceve le stimmate, Canonica della Parrocchia di S Matteo a Rassina (Arezzo)
Cantico
delle Creature
Altissimo,
onnipotente, bon Signore
Tue so' le laude, la gloria et l'honore
et onne benedictione.
A te solo, Altissimo, se konfanno
Et nullo homo ene digno te mentovare.
Laudato si', mi' Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente messer lo frate sole
lo quale è iorno et allumini noi per lui,
et ellu è bellu e radiante, cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sostentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile et humile
et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu
per lo quale enallumini la nocte
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra madre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano
per lo tuo amore,
et sostengo' infirmitate et tribolatione.
Beati quelli ke le sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore,
per sora nostra morte corporale
da la quale nullo homo vivente po' skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà
ne le sue sanctissime volutati,
ka la morte secunda nol farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore,
et rengratiate et serviteli
cum grande humilitate.
(S. Francesco
d'Assisi)
Da
: http://www.santiebeati.it/Detailed/21750.html
:
[Mise
e mette in luce i principi universali del Vangelo]
Nel suo 'Testamento'
scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel
che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo
il Santo Vangelo”.
Per questo, è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu
una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non
spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva. Ma proprio a
lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più
profondi del suo tempo.
Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo,
con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a
nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo
cristiano ma anche al di fuori di esso.
Origini e gioventù
Francesco, l'apostolo
della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del
1182 da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna
detta “la Pica”, di origine provenzale.
In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle
partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa
paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco
piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra.
La madre in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in
Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma
ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà
poi sul primo.
Questo nome era l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio
alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e occasioni di mercato; disse s.
Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di
panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega
la familiarità con questa lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata
dalla madre.
Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che come tutti i ricchi assisiani godeva
dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il
duca di Spoleto Corrado di Lützen.
Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola
parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad
ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe
dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e
l'erede dell'attività di famiglia.
Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era
estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate,
spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere
acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle
feste.
Combattente e sua conversione
Con la morte
dell'imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l'elezione a papa del card.
Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari
politici cambiarono; il nuovo papa sostenitore del potere universale della
Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi,
togliendolo al duca Corrado di Lützen.
Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti
all'imperatore e sfruttatori dei loro concittadini, essi furono cacciati dalla
rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia; poi con l'aiuto dei perugini mossero
guerra ad Assisi (1202-1203).
Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò
nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche.
Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto
prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un lungo terribile
anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco
ritornò in famiglia con la salute ormai compromessa.
La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia; ma una volta guarito
egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo
un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata
e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
Come ogni animo nobile del suo tempo, pensò di arruolarsi nella cavalleria del
conte Gualtiero di Brenne, che in Puglia combatteva per il papa; ma giunto a
Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno
rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone
invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi.
Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione
dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.
Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa
meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il gran
Re, ma non sapendo come; andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma con
la speranza di trovare chiarezza.
Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i
lebbrosi, ma fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in
preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e mentre fissava un
crocifisso bizantino, udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e
ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente
chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue
mani, utilizzando anche il denaro paterno.
A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso
per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo come dilapidatore
dei beni di famiglia; notissima è la scena in cui Francesco denudatosi dai
vestiti, li restituì al padre mentre il vescovo di Assisi Guido II, lo copriva
con il mantello, a significare la sua protezione.
Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel
monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci
furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita
di “araldo di Gesù re”, indossò i panni del penitente e prese a girare per
le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri,
consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate
di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.
La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione
Nell'aprile del 1208,
durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante
la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le
parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non
procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né
bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché
l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio
entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino
alla vostra partenza”.
Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese
allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla
ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi
membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”,
cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio in
uso presso i contadini del tempo e camminando a piedi scalzi.
Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà”
tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con
l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.
Francesco apparve in un momento particolarmente difficile per la vita della
Chiesa, travagliata da continue crisi provocate dal sorgere di movimenti di
riforma ereticali e lotte di natura politica, in cui il papato era allora uno
dei massimi protagonisti.
In un ambiente corrotto da ecclesiastici indegni e dalle violenze della società
feudale, egli non prese alcuna posizione critica, né aspirò al ruolo di
riformatore dei costumi morali della Chiesa, ma ad essa si rivolse sempre con
animo di figlio devoto e obbediente.
Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la
pace, l'uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità
della povertà, l'amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa,
la venuta del regno di Dio.
Inizio dell'Ordine dei Frati Minori
Ben presto attirati
dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco, quelli che sarebbero
diventati suoi inseparabili compagni nella nuova vita: Bernardo di Quintavalle
un ricco mercante, Pietro Cattani dottore in legge, Egidio contadino e poco dopo
anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro ed altri fino al numero di dodici, proprio
come gli Apostoli, formanti una specie di 'fraternità' di chierici e laici, che
vivevano alla luce di un semplice proposito di ispirazione evangelica.
Il loro era un vivere alla lettera il Vangelo, senza preoccupazioni teologiche e
senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali, indicando così una nuova
vita a chi voleva vivere in carità e povertà all'interno della Chiesa; per la
loro obbedienza alla gerarchia ecclesiastica, il vescovo di Assisi Guido prese a
proteggerli, seguendoli con interesse e permettendo loro di predicare.
Ai primi del 1209 il gruppo si riuniva in una capanna nella località di
Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la Porziuncola,
iniziando così la “prima scuola” di formazione, dove durante un intero anno
Francesco trasmise ai compagni il suo carisma, alternando alla preghiera,
l'assistenza ai lebbrosi, la questua per sostenersi e per riparare le chiese
danneggiate.
Giacché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò
poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo
di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III per farsi approvare la prima breve
Proto-Regola del nuovo Ordine dei Frati Minori.
Regola che fu approvata oralmente dal papa, dopo un suggestivo incontro con il
gruppetto, vestito dalla rozza tunica e scalzo, colpito fra l'altro da “quel
giovane piccolo dagli occhi ardenti”; nacque così ufficialmente l'Ordine dei
Frati Minori, che riceveva la tonsura entrando a far parte del clero; sembra che
in quest'occasione Francesco abbia ricevuto il diaconato.
Chiara e le clarisse
Tutta Assisi parlava
delle 'bizzarie' del giovane Francesco, che viveva in povertà con i compagni
laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo con
il permesso del vescovo, augurando a tutti “pace e bene”; nella primavera
del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di S. Rufino, dove
nell'attigua piazza abitava la nobile famiglia degli Affreduccio e sicuramente
in quell'occasione, fra i fedeli che ascoltavano, c'era la giovanissima figlia
Chiara.
Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà
evangelica e cominciò a contattarlo, accompagnata dall'amica Bona di Guelfuccio
e inviandogli spesso un poco di denaro.
Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto il
suo palazzo e correndo al buio attraverso i campi, giunse fino alla Porziuncola
dove chiese a Francesco di dargli Dio, quel Dio che lui aveva trovato e col
quale conviveva.
Francesco, davanti all'altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga
capigliatura (ancora oggi conservata) consacrandola al Signore.
Poi l'accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia, per sottrarla all'ira
dei parenti, i quali dopo un colloquio con Chiara che mostrò loro il capo senza
capelli, si convinsero a lasciarla andare.
Successivamente Chiara e le compagne che l'avevano raggiunta, si spostò dopo
alterne vicende, nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano,
dove nel 1215 a 22 anni Chiara fu nominata badessa; Francesco dettò alle
“Povere donne recluse di S. Damiano” (il nome 'Clarisse' fu preso dopo la
morte di s. Chiara) una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella
della stessa santa.
Chiara con le compagne, sarà l'incarnazione al femminile dell'ideale
francescano, a cui si assoceranno tante successive Congregazioni di religiose.
L'ideale
missionario
Francesco non desiderò
solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato
dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie
i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani.
Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano
tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per
primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma
offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio.
Mandò per questo i suoi frati prima dai Mori in Spagna, dove vennero condannati
a morte e poi graziati dal Sultano e dopo in Marocco, dove il gruppo di frati
composti da Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto, Ottone, mentre predicavano,
furono arrestati, imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio
1220.
Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione
francescana nell'allora canonico regolare di S. Agostino, il dotto portoghese e
futuro santo, Antonio da Padova.
Francesco non si scoraggiò, nel 1219-1220 volle tentare personalmente l'impresa
missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa
dalmata, il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, occupata dai
musulmani, ma si ammalò e dovette tornare indietro, infine un terzo tentativo
lo fece approdare in Palestina, dove si presentò al sultano egiziano Al-Malik
al Kamil nei pressi del fiume Nilo, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con
interesse; il sultano non si convertì, ma Francesco poté dimostrare che il
dialogo dell'amore poteva essere possibile fra le due grandi religioni
monoteiste, dalle comuni origini in Abramo.
La seconda Regola
Verso la metà del
1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi
frati, cresciuti ormai in numero considerevole, per cui l'originaria breve
Regola era diventata insufficiente con la sua rigidità.
Il Poverello non aveva inteso fondare conventi ma solo delle 'fraternità',
piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando che la
felicità non era nel possedere le cose ma nel vivere in perfetta armonia
secondo i comandamenti di Dio.
Ma la folla di frati ormai sparsi per tutta l'Italia, poneva dei problemi di
organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità
dell'apostolato in un mondo sempre in evoluzione; quindi il vivere in povertà
non poteva condizionare gli altri aspetti del vivere nel mondo.
Nell'affollato “capitolo delle stuoia”, tenutosi ad Assisi nel 1221,
Francesco autorizzò il dotto Antonio venuto da Lisbona, d'insegnare ai frati la
sacra teologia a Bologna, specie a quelli addetti alla predicazione e alle
confessioni.
La nuova Regola fu dettata da Francesco a frate Leone, accolta con soddisfazione
dal cardinale protettore dell'Ordine, Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX
e da tutti i frati; venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III.
In essa si ribadiva la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione
tra gl'infedeli e l'equilibrio tra azione e contemplazione; si permetteva ai
frati di avere delle Case di formazione per i novizi, si stemperò un poco il
concetto di divieto della proprietà.
Il presepe vivente di Greccio
La notte del 24
dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio
volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l'umile nascita di Gesù
Bambino con figure viventi.
Nacque così la bella e suggestiva tradizione del Presepio nel mondo cristiano,
che sarà ripresa dall'arte e dalla devozione popolare lungo i secoli
successivi, con l'apporto dell'opera di grandi artisti, tale da costituire un
filone dell'arte a sé stante, comprendenti orafi, scenografi, pittori,
scultori, costumisti, architetti; il cui apice per magnificenza, realismo,
suggestività, si ammira nel Presepe settecentesco napoletano.
Il suo Calvario personale
Ormai minato nel fisico
per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu
costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine, che aveva creato
pur non avendone l'intenzione.
Nell'estate del 1224 si ritirò sul Monte della Verna (Alverna) nel Casentino,
insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per celebrare con il digiuno e
intensa partecipazione alla Passione di Cristo, la “Quaresima di San Michele
Arcangelo”.
La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre
pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali
di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell'aria.
Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con
mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce; quando la visione scomparve
lasciò nel cuore di Francesco un ammirabile ardore e nella carne i segni della
crocifissione; per la prima volta nella storia della santità cattolica, si era
verificato il miracolo delle stimmate.
Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad
Assisi; era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al
fegato, con frequenti emottisi, inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di
un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.
Il lungo declino fisico, il “Cantico delle creature”, la morte
Dopo le ultime prediche
all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento
annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e
le sue suore.
E in questo suggestivo e spirituale luogo di preghiera, egli compose il famoso
“Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, sublime poesia, ove
si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della
natura, contemplando sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio.
Se la fede gli aveva fatto riscoprire la fratellanza universale degli uomini,
tutti figli dello stesso Padre, nel 'Cantico' egli coglieva il legame d'amore
che lega tutte le creature, animate ed inanimate, tra loro e con l'uomo, in un
abbraccio planetario di fratelli e sorelle che hanno un solo scopo, dare gloria
a Dio.
In questo periodo, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche
il suo famoso 'Testamento', l'ultimo messaggio d'amore del Poverello ai suoi
figli, affinché rimanessero fedeli a madonna Povertà.
Poi per l'interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò
di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti; poi ancora a
Fabriano, Siena e Cortona, ma nell'estate del 1226 non solo non era migliorato,
ma si fece sempre più evidente il sorgere di un'altra grave malattia,
l'idropisia.
Dopo un'altra sosta a Bagnara sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché
potesse avere un po' di refrigerio, i frati visto l'aggravarsi delle sue
condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata
Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il
salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni.
Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già
sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il
santo, che un giorno (fra Camara e Bevagna), aveva invitato gli uccelli a
cantare lodando il Signore; e in altra occasione in un campo verso Montefalco
aveva tenuto loro una predica, che gli uccelli immobili ascoltarono, esplodendo
poi in cinguetii e voli di gioia.
La mattina del 4 ottobre, il suo corpo fu traslato con una solenne processione
dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio ad Assisi, dove era
stato battezzato e dove aveva cominciato nel 1208 la predicazione.
Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta,
affinché santa Chiara e le sue “povere donne” potessero baciargli le
stimmate.
Nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato
nella Basilica inferiore, costruita da frate Elia, diventato Ministro Generale
dell'Ordine.
Intanto il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte,
proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre madonna Pica,
del fratello Angelo e altri parenti, del vescovo Guido di Assisi, di numerosi
cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4
ottobre.
Il culto, Patronati
Gli episodi della sua
vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei “Fioretti di San
Francesco”, opera di anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga
diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda 'Vita', scritte dal
suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
Alcuni episodi sono entrati nell'iconografia del santo e riprodotti dall'arte,
come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla
tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, il ricevimento delle Stimmate, ecc.
È patrono dell'Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA
che da lui prese il nome; innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i
conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome; come pure tanti altri santi
e beati, venuti dopo di lui, che ebbero al battesimo o adottarono nella vita
religiosa il suo nome.
Il grande santo di Assisi, che lo storico e scrittore, don Enrico Pepe definisce
“Patrimonio dell'umanità”, fu riconosciuto da papa Pio XII, come il “più
italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, lo
proclamò Patrono principale d'Italia.
Il cammino dei suoi 'Frati Minori'
La Regola
composta da s. Francesco su istanza del cardinale Ugolino de' Conti, futuro papa
Gregorio IX e approvata solennemente da Onorio III nel 1223, era formata da 12
capitoli, essa prescriveva una rigida e assoluta povertà, il lavoro per
procurasi il cibo e l'elemosina come mezzo sussidiario di sostentamento.
Capo dell'Ordine, che si propagò rapidamente al punto che, vivente ancora il
fondatore, annoverava già 13 Province, fu un Ministro Generale. Le costituzioni
furono redatte da San Bonaventura da Bagnoregio.
Mentre ancora l'organizzazione del nuovo Movimento religioso si stava
consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell'Ordine si divisero in
due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e
prescindere dall'obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno
difficile lo sviluppo dell'Ordine stesso; la seconda al contrario, si proponeva
di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si
acuirono di più quando Gregorio IX con la bolla “Quo elongati” (1230),
concesse ai frati, che presero in seguito il nome di 'Conventuali', la
possibilità di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze.
Nel campo opposto, correnti definite ereticali, come quelle degli spirituali e
dei fraticelli, rappresentarono l'ala estrema del francescanesimo e agitarono un
programma di rinnovamento religioso misto ad un'auspicabile rinascita
politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell'avvento del regno dello
Spirito, ma si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità
ecclesiastiche e feudali.
La divisione in due Movimenti, Osservanti e Conventuali, fu sanzionata nel 1517
da papa Leone X; nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati
Cappuccini, guidato dal frate Minore Osservante Matteo da Bascio della Marca
d'Ancona, dediti ad una più austera disciplina, povertà assoluta e vita
eremitica; altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini,
Riformati, Amadeiti) in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutti obbedivano al
Ministro Generale dell'Osservanza.
L'Ordine francescano comprende anche il ramo femminile, le Clarisse e il
Terz'Ordine dei laici o Terziari francescani, fondati dallo stesso s. Francesco
nel 1221, per raccogliere i numerosi seguaci già sposati e di ogni ordine
sociale.
L'Ordine, ai cui membri dei diversi rami, Leone XIII nel 1897, ingiunse di
prendere il nome comune di Frati Minori, è tra i più importanti della Chiesa.
Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, essi furono e sono dediti alla
predicazione, ad un apostolato di tipo sociale in luoghi di cura, e soprattutto
all'opera missionaria.
Da
: http://www.santiebeati.it/Detailed/21750.html
: firmato Antonio Borrelli .
FINE
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