Oggi 22 giugno 2008, XII° Domenica del tempo ordinario, mi sono recato alla messa alle 18,30 in San Francesco d'Arezzo.
Il sacerdote, un frate conventuale, commentava il passo evangelico di Matteo 10,28 che dice:
Et nolite timere eos qui occìdunt corpus, ànimam autem non possunt occìdere; sed potius timéte eum qui potest et animam et corpus pérdere in gehénnam :
Non spaventatevi inoltre per quelli che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l'anima. Temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna .
Onde il buon frate concludeva giustamente che da un lato ci sono gli uccisori del corpo da non temere, e dall'altro un gran numero di cristiani modello, che pieni di speranza e fede e carità, si lascerebbero ammazzare; tanto muoiono solo nel corpo; tanto l'anima è eterna; tanto ci sarà la resurrezione del corpo alla fine dei secoli; tanto i giusti vanno subito in paradiso dopo la morte, posto che giusti siano, secondo il giudizio particolare di Dio, subito dopo la morte.
Tutti i fedeli ascoltano ben disposti. E nessuno obbietta: non si può obbiettare al prete seduto sul trono dell'Altare. Egli da quel pulpito da quel trono santo, dice sempre il vero. E' sempre illuminato dallo Spirito Santo.
Credo che ciò sia vero. Ma spesso i preti sottintendono molte cose nelle loro esposizioni. Onde non esplicitandole, l'uditorio potrebbe essere indotto a non capire bene o a fraintendere. E nella circostanza della suddetta messa che cosa si è omesso di dire, e al contempo di esplicitare?
La risposta è a mio avviso la seguente. Il popolo cristiano non può essere considerato un branco di pecore, che per obbedienza a Cristo, il Signor suo, si fa gratuitamente ammazzare dai nemici o malvagi, perché tanto chi uccide il corpo non è da temere. Sia il buon frate che tanto più Gesù Cristo, non intendono consigliare un tale sacrificio di massa.
Tuttavia essi intendono accettare il martirio totale senza opposizione violenta alcuna, a chi vivendo nella perfezione e santità di Cristo, può come lui, esser vittima per i peccati del mondo; onde queste anime predilette e sante, sull'esempio di Cristo che morì in Croce, vanno oltre il comandamento che dice : Non fare agli altri quello che non vorresti sia fatto a te. Ma chi non vuole o non si sente o non può per santità parziale o insufficiente, giungere a tanta perfezione o generosità di sacrificio di se per il bene altrui, nemici compresi, non è tenuto a immolarsi in tal modo. E' al contrario autorizzato da Cristo stesso a combattere per difendere la propria vita e quella della sua famiglia o quella della sua Patria. Costui se dunque non potrà offrire a Dio la sua vita, come i martiri, tuttavia potrà offrire il sacrificio e la fatica del dover combattere per la giustizia, con tutte le armi possibili, quelle legali o quelle militari, o quelle di qualunque difesa necessaria.
In conclusione, il Vangelo non pretende che tutti sappiano immolarsi in Croce allo stesso modo del Cristo. Pretende però che tutti accettino la fatica e il combattimento che implica portare la Croce. Cioè pretende che che qualunque cristiano, nessuno escluso, osservi la regola de Decalogo che dice di non fare agli altri quello che non si vorrebbe fosse fatto a se. E soltanto da alcuni più santi e generosi, accetta l'immolazione totale sulla Croce.
FINE
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