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Il villaggio nella campagna detto La Vaglia, è un casamento colonico e povero, dove quattro famiglie abitavano un tempo, in due blocchi di case affiancati ma distinti, che si possono dire caseggiati.
La valle scoscesa e selvaggia, nel suo digradare deciso, ospitava il villaggio La Vaglia col suo corredo di stalle e rimesse per i foraggi. Le aie dove avvenivano le trebbiature annuali, erano piazze vuote, e regolarmente s'aprivano dinanzi alle porte principali delle abitazioni.
V'èra quindi nell'angolo tra l'aia maggiore e la carreggiabile publica, un vecchio capanno, che se fosse finalmente crollato, avrebbe dato la visuale del fondovalle. Pertanto, quando di li a poco rovinò, si decise di farne a meno, e tolte le travi maggiori, qualche masso eccessivo per dimensione, in quel luogo panoramico, rimase solo una muriccia.
Subito le erbe, gli arbusti, i roghi, persino qualche acero e roverella, cercarono di competer tra loro per colonizzare la sassicaia. Il tempo passava in fretta e le piante crescevano o morivano, non trovando abbastanza terra, ma solo rocce. Le lucertole, i ramarri, i serpi, abitaron quei buchi, presidiati con successo dai gatti locali, sempre affamati.
Ma un giorno, la Delia, decise di piantare una bella rosa, proprio in quel luogo di pietre e di rovina. Era una rosa rustica, tolta dall'orto dietro casa, piena zeppa di spine esili e puntute sul gambo, faceva ciononostante fiori giganteschi e ripieni; una bellezza nostrana e rosso porpora, vigorosa, dalle foglie di un verde forte ma non cupo; un capolavoro di beltà spontanea e forza agreste, una gentilezza abbondante e fresca, come le acque preziose e francescane, di quelle zone.
La rosa, attecchita e annaffiata nei primordi, crebbe rapidamente, smentendo l'opinione di molti, che dicevano non poter attecchire tra quelle pietre. Anzi, non solo divenne alta, ma presto si dotò di una sua famiglia, e il luogo del vecchio capanno, fu detto Il Roseto.
In quel luogo così panoramico e visibile, ben presto il roseto del vecchio capanno, divenne famoso; e va detto che nell'ambito di un villaggio di montagna, esser famosi significa non solo esser conosciuti ma anche esser simpatici a tutti, sebbene tale fama o sentimento non giunga alle orecchie delle città e dei media. Pure quelli che guidavano le tregge e i carri, anche i pastori con le mandrie, che passavano senza fermarsi dalla carreggiabile, gettavano uno sguardo a quelle rose. Persino i fanciulli, dopo la scuola, giocavano più volentieri nelle vicinanze del roseto. E ogni sera le massaie, ne coglievano di quelle belle rose, qualcheduna, per metterla per lo più di nascosto, davanti alla statua della madonna o sotto il crocifisso.
Ma nessuno diceva apertamente, con enfasi pubblica o confidenziale, la bellezza di quelle rose in quel luogo misero e ben visibile. I campagnoli infatti, rifuggono facilmente dall'esprimere con frequenza i sentimenti (anche se buoni e belli), perché temono che ciò li indebolisca di fronte alle fatiche e durezze del lavoro e della vita. Talvolta Essi sono perciò una specie di contemplatori che si nascondono; e di fronte alla bellezza appariscente e di intensità lirica, come può esser quella di una rosa, rispondono in silenzio, piuttosto da meditabondi tanto semplici quanto naturali.
Tuttavia c'èra una manifestazione publica, che li vedeva trasformarsi da timidi a estroversi, ricorrendo in massa ai roseti: l'infiorata del Corpus Domini tra maggio e giugno. Per l'occasione, la strada bianca dalla Chiesa al Crocifisso del Colle vicino, tre-quatro chilometri in processione, era tutta cosparsa di petali di rose e di fiori di ginestra, tra la devozione e l'allegria generale, tipica della campagna pedemontana e toscana, in primavera.
FINE
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