SAN FRANCESCO AMAVA  LA NATURA PERCHE' ATTRAVERSO LE CREATURE, VEDEVA IL CREATORE

[ Da : Domenico Giuliotti, San Francesco, Firenze, C. Cherubini 1931 (NEMI -Nuovissima Enciclopedia letteraria illustrata n. 25), pp 61-62 ]

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               Chi ha detto che il Vangelo è deprimente ? Carducci scrisse una volta a proposito di Cristo (e in quel momento era un disgraziato), queste parole insensate: Tu di tristizia l'aer contamini. Ma non è il Vangelo per chi può viverlo, altissima, purissima, assolutissima liberazione e gioia?

               Il cristianesimo (dice Federigo Ozanam, nel suo libro Les Poètes Franciscains), tanto spesso accusato di calpestare la natura, è il solo che ha insegnato all'uomo a rispettarla, a veramente amarla, facendone apparire il piano divino che la sostiene, la rischiara e la santifica. E Francesco considerava la creazione sotto questa luce. Egli ne percorreva tutti i gradi per cercarvi le tracce del suo Dio. Egli trovava nelle creature belle Colui che è la bellezza sovrana: né disdegnava le più piccole e le più disprezzabili creature; e perché si ricordava della loro comune origine, le chiamava fratelli e sorelle . In pace con tutte le cose e ritornato in qualche modo, alla primitiva innocenza, il suo cuore traboccava d'amore non soltanto per gli uomini, ma per tutti gli animali che brucano, che volano o che strisciano; amava le rocce e le foreste, le messi e le vigne, la bellezza dei campi, la freschezza delle fonti, il verde degli orti, la terra, il fuoco, l'aria, i venti, e li esortava a restar puri, a onorare Dio, a servirlo. Dove altri occhi non vedevano che bellezze periture, egli scopriva come per mezzo di una seconda vista, gli eterni rapporti che uniscono l'ordine fisico all'ordine morale e i misteri della natura a quelli della fede.

               L'Universo insomma era per lui come un poema immenso che canta incessantemente le lodi del suo Creatore.

               San Francesco, continua l'Ozanam, con la sua innocenza e la sua semplicità, era ritornato per così dire, alla condizione di Adamo, quando questo primo padre vedeva, tutte le creature dentro la luce divina e le amava con  carità fraterna, mentre le creature a loro volta obbedivano  a lui come al primo uomo e rientravano per lui, nell'ordine ch e fu distrutto dal peccato .

                Ecco dunque come si diceva, il secondo e più grande Orfeo: l'Orfeo cristiano.

                In lui la religione è poesia, la poesia religione; amava poco i libri; amava molto il libro dei libri: la natura; amava infinitamente l'autore di questo immenso libro: Iddio. In Dio vedeva ogni creatura riflessa e trasfigurata; in Dio penetrava (per quanto è possibile schiarirli, non con la teologia ma col solo amore) tutti i misteri. L'amore faceva dunque di questo mezzo ignorante, un dotto, perché lo metteva a parte d'una gran parte della Scienza Divina. La scienza non riscaldata né rischiarata dall'Amore, ha occhi annebbiati e cisposi, sebbene la stolta ami di sentenziare e si gonfi.

                Parigi (cantava Jacopone alludendo ai magni dottori di quella celebre Università) àne destrutto Assisi. Voleva dire che lo spirito francescano consistente nella povertà, nell'umiltà, nella semplicità, era stato tradito da quei minori che avrebbero dovuto restar minori e invece s'èran fatti maggiori, ostentando un sapere che non era più quello evangelico, unicamente voluto da San Francesco e dai suoi pochi fidi.

                La molta scienza (diceva il Santo) non giova alla salute spirituale; chi vuol molto sapere, deve lavorar molto e inchinar molto il capo.

                E frate Egidio (sua eco fedele) a un altro frate che gli chiedeva esser benedetto da lui prima di accingersi a predicare, disse: Si ti benedirò, ma purché tu non dica che questo : "Bo, bo, molto dico e poco fo".

                E dopo tanti secoli tali parole restano ammonimento prezioso dell'antico spirito francescano.

 

FINE

 

 

 

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