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La Bibbia ha un'alta concezione positiva del lavoro manuale, e dà il primato a quello agricolo, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento. Per questo ciò che potrebbe essere intitolato semplicemente Concezione positiva e biblica del lavoro, lo intitolo invece: Santità dell'agricoltura, perché, come si spiega sotto, viene specificatamente detto da un salmo, di non disprezzare l'agricoltura, e il Cristo prende il pane e il vino come simboli eucaristici.
Vediamo dunque di spiegare quanto affermato.
In Genesi 2,15 , è detto che Dio pose l'uomo nell'Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse .
Da ciò si evince, che anche prima della caduta dei progenitori e il successivo comando di lavorare, dopo il quale comando, il lavoro avverrà in compagnia della fatica espiatrice, l'agricoltura esisteva come un compito fondamentale dato all'uomo in Grazia di Dio, quindi integro nella scienza, in mirabile equilibrio con le facoltà manuali :
l'agricoltura dell'Eden, non era infatti, solo lavoro manuale, ma chiaramente manuale e intellettuale insieme, perché l'uomo non intaccato dal peccato, viveva in armonia con la natura e con Dio, in comunione unica, si che è chiaro quanto pacifico, che questa comunione implicava pure una lettura quotidiana, una comunicazione reciproca, onde i fenomeni naturali, i segreti delle piante e degli animali, del Creato, erano dai Progenitori facilissimamente penetrati e potuti comprendere, forse persino a lor piacimento, posto che Dio Padre, non avrà all'occorrenza negato alle sue creature, la riflessione e la partecipazione consapevole, alla gestione di ciò che egli stesso aveva loro paternamente affidato. Certamente era una partecipazione e una gestione agraria, che non prevedeva la fatica, perché questa sarà esplicitamente prevista solo dopo la consumazione del peccato d'origine (Gn. 3,1-24).
Inoltre, il genere di lavoro svolto nell'Eden, non riguardava solo la coltivazione del Giardino, ma anche la custodia del medesimo: pertanto quel lavoro dei progenitori, non era solo agricolo, ma anche di ordine amministrativo, secondo i dettami del buon gusto e dei propri piaceri. In conclusione possiamo dire che i Progenitori prima del peccato, erano agricoltori e amministratori o custodi dell'Eden.
La concezione del lavoro antico-testamentario prima della caduta, è dunque altamente positiva e integra: e non distingue tra lavoro manuale e intellettuale, bensì l'esercizio dell'agricoltura e della amministrazione del Giardino, implica un equilibrio mirabile e contemporaneo, tra nozioni manuali e scienza teorica.
Questa distinzione tuttavia diventerà necessaria, dopo la caduta dei Progenitori: allora la terra producendo frutti solo a condizione di sudare o faticare per mangiarli, diventerà necessario studiare e inventare dei metodi sempre più efficaci per realizzare il massimo della produzione col minore dispendio di energie. E questo compito molto oneroso, non può essere espletato al meglio da un solo uomo e da una sola categoria di uomini, come gli agricoltori: ci vuole l'aiuto di tutti, specialmente degli scienziati come dei politici come dei teologi che devono creare le premesse programmatiche e le giustificazioni religiose o mitologiche, per un tale concorso collettivo, a cominciare dal fatto che ora comunque sia, l'uomo non ha scelta: deve lavorare se vuol mangiare.
La Bibbia anticotestamentaria tuttavia, conserva una buona concezione del lavoro manuale e insieme dell'agricoltura, anche dopo la caduta dei Progenitori, cioè anche dopo la maledizione divina :
infatti il salmo 128,2, lo dice chiaramente che è bene e non male, vivere del lavoro delle proprie mani, cioè del lavoro manuale: Vivrai del lavoro delle tue mani. E anche in Siracide 7,15-16 si legge: Non disprezzare il lavoro faticoso / neppure l'agricoltura creata dall'Altissimo .
Resta tuttavia che tale lavoro è sotto il peso della fatica, e deve fare i conti con una natura e una creazione che ha perduto la perfezione originaria e talvolta può essere ostile, proprio all'uomo e ai suoi bisogni primari.
Il Nuovo Testamento riprende in proposito, la tradizione antica, ma sembra assumere la necessità del lavoro, con la fatica e il sacrificio che implica, non tanto come una semplice sopportazione o eredità da espiare, quanto come un ingrediente importante e non secondario, del cammino dell'uomo verso il riscatto terreno ed eterno, cioè in definitiva verso la santità totale :
infatti Gesù Cristo, il figlio di Dio, nasce figlio di un falegname e poi, secondo la tradizione, fa il falegname egli stesso, fino a circa trenta anni; sua madre, fa la casalinga e la sposa esemplare di Giuseppe, allevando il figlio Gesù, e accettando tutte le sofferenze e privazioni del suo stato o caso, come la fuga in Egitto per sottrarsi a Erode, i lavori di cucina e tessitura dei vestiti, l'allevamento dei fiori e dei frutti dell'orto nella casa di Nazareth..ecc.
Insomma, Maria, Giuseppe e Gesù, sono tutti lavoratori manuali, che sanno tuttavia esercitare una perizia certamente di tipo artigianale.
A questo punto tuttavia, avviene però un fatto fondamentale, che lega per sempre i prodotti dell'agricoltura al Cristo Risorto :
Gesù stesso nell'ultima Cena, prende il Pane e il Vino come simboli universali e permanenti dell'Eucarestia 1) . Infatti dice:
Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: 'Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me' . Allo stesso modo dopo aver cenato prese il calice, dicendo : 'Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi' (Luca 22,19-20).
Dunque, non solo Gesù e la Sacra Famiglia lavorarono manualmente quali artigiani, ma quando si tratta di prendere un simbolo duraturo (fino alla fine dei tempi) per l'Eucaristia, il Figlio di Dio, cava materia non dall'artigianato o da altro lavoro, ma dall'agricoltura .
E non poteva non esser così, perché l'agricoltura, oltre a essere il principale lavoro per il sostentamento del mondo antico, fu pure il lavoro primordiale comandato da Dio nell'Eden (il primo e unico tra tutti i lavori), e pertanto è logico che sia ancora l'agricoltura mediante i suoi prodotti principali (il pane e il vino), a simboleggiare la grande opera della Redenzione o Nuova Creazione (cioè del ripristino negli uomini della integrità o Grazia originale o edenica) nel corso dei secoli, che finirà alla fine del tempo :
allora mediante la Resurrezione finale e il Giudizio finale, Dio riporterà l'uomo salvato, nello stato di perfezione generale, proprio, anzi ancor meglio, di come l'aveva fatto in principio, essendo che ora sarà definitivamente sconfitta pure la morte.
Insomma, così come il Creatore aveva previsto l'agricoltura come lavoro per i progenitori non decaduti dal peccato, allo stesso modo il Redentore, prende come simboli dell'Eucaristia (principale sacramento di salvezza redentrice) il pane e il vino, prodotti della terra .
In tal modo, l'agricoltura come parte della integrità umana e del Creato ante-peccato d'origine, corrisponde ai simboli agricoli (parte visibile che richiama il lavoro agricolo e ogni altro lavoro manuale e intellettuale) post-peccato d'origine e insieme epoca della Redenzione. E tale corrispondenza significa che la buona e integra agricoltura edenica, sminuita dal peccato dopo la caduta dei Progenitori, torna ad esser buona e integra, anzi più buona e più integra di prima, a causa della redenzione di Cristo. Il Cristo infatti, della vecchia creazione, quale Redentore e quale Dio, rifiuta ed estingue solo l'imperfezione mortale del peccato, ma riprende e porta a compimento qualsiasi altra antica perfezione vitale. E l'agricoltura non potrebbe fare eccezione in questo contesto.
In conclusione, e ripetendo, l'agricoltura, dopo il culto dovuto a Dio, era la principale attività che l'uomo esercitava nell'Eden nel suo stato di Grazia; e allora era quasi l'unica attività insieme alla custodia del medesimo Eden.
Poi con la redenzione di Gesù, la stessa agricoltura torna ad essere fondamentale anche per tale Redenzione o Nuova creazione, e viene elevata da attività importante o principale, ad attività simbolica (ed in tal senso esclusiva) della stessa Redenzione:
infatti i suoi prodotti principali, il pane e il vino, sono presi a simbolo dell'Eucaristia, sebbene l'agricoltura non sia più ormai l'unica attività dell'uomo, ma è divenuta naturalmente solo una attività tra le tante.
Questa attività conserva e aumenta dunque, anche nell'epoca della redenzione (la nostra epoca), un primato di nobiltà e importanza, sia per la sacralità che gli assegnò Dio nell'Eden, sia perché sarà ritenuta dallo stesso Redentore, degna di dare i simboli al Sacramento dell'Eucaristia neotestamentaria, sia per l'importanza primaria che ha naturalmente, a livello antropologico, producendo cose primarie per il sostentamento diretto degli uomini, a cominciare dal pane e dal vino.
1: La scrittrice franco-ebraica Simon Weil (1909-1943), prima marxista rivoluzionaria, poi cristiana senza però mai prendere il battesimo, così spiega la scelta di Gesù del Pane e del Vino, quali simboli eucaristici:
La seconda roforma sarebbe di fare dell'Eucaristia il centro assoluto della vita quotidiana in tutti i paesi a vigneto e a grano. Se il Cristo ha scelto il pane e il vino per incarnarvisi dopo la morte, ogni giorno, attraverso i secoli, e non per esempio l'acqua e i frutti selvatici, ciò non è avvenuto a caso. V'è senza dubbio un'infinità di ragioni: eccone forse una.
Un uomo che lavora brucia la propria carne e la trasforma in energia, così come una macchina brucia il carbone. Perciò se lavora troppo o se non mangia proporzionalmente al lavoro che fornisce, dimagra, perde carne. Così si può dire in un certo senso che il lavoratore manuale trasforma la propria carne e il proprio sangue in oggetti fabbricati. Per l'agricoltore questi oggetti fabbricati sono il pane e il vino. Il sacerdote ha il pregio di far sorgere sull'altare la carne e il sangue di Cristo. Ma il contadino possiede un privilegio non meno sublime: la sua carne e il suo sangue, sacrificati nel corso d'interminabili ore di lavoro, passando attraverso il grano e l'uva, divengono essi stessi la carne e il sangue di Cristo.
(Crf. S. Weil., Pensées sans ordre concernant l'amour de Dieu. Parigi, Gallimard, 1962).
FINE
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