SOLO A BULCIANO MI SENTO UN UOMO INTERO E FELICE

(Da: Giovanni Papini, La Nunzia, in: La seconda nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 78-80) 

 

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                Tornando verso casa mi esamino senza ipocrisia. Nel gusto che trovo a star quassù, tra poveri e percossi, non c'è un pò di epicureismo spirituale, diciamo pure cristiano: la vanità d'essere utile a qualche creatura, di consolare un addolorato, di stringere le mani ad un infermo, a chi ha bisogno di sentir l'affezione di un superiore? O peggio ancora, la mia umanità, che pure sembra spontanea anche a me, non potrebbe nascondere talvolta l'artista cercatore di  sentimenti e di figure ?

               Fatto si è che mi sento solamente quassù uomo intero e felice. Non basta la solitudine, l'altitudine, l'uggia del caldo e delle città, il bel raccoglimento ad agio nell'aria che ravviva l'ingegno per dar ragione di questa mia contentezza fedele. Forse il motto di Cesare s'avvera anche per me: meglio primo in un villaggio che secondo a Roma.

               Se non sono né un re né un padrone, sono il ben visto protettore del paese; una specie di capo liberamente accettato da queste sparse famiglie di contadini e di pigionanti. A me ricorrono per lo spirituale ed il temporale; piccoli servigi, ma che a loro, avvezzi alla burbanza dei proprietari e alla venalità dei cittadini, sembrano miracoli di generosità.

                Mi compensano come possono, anche troppo, e a casa mia portano di mese in mese le decime agresti delle stagioni, decime non obbligate e non richieste, da me ripagate in più modi, ma che danno a me e a loro l'indicibile gioia del dare.

                Per quanto io faccia, sono in credito loro. A queste centoquaranta anime io debbo un senso immediato e concreto della vita degli uomini, della povertà, dello stento, della fatica, del male, della morte. 

                Nelle città piene di fiati si vive tra le migliaia ma senza affratellarsi neppure con quelli che vediamo ogni giorno. Gli anici hanno lo stesso mestiere, le classi sono divise, solo apparente ogni intimità: non vedi vivere gli altri nella loro vita umile, vera, ordinaria.

                 Non si conoscono che facciate e famigliarità di pura intelligenza; ogni uomo è irremissibilmente solo.

                 Quassù invece io sono l'unico di una specie diversa, mescolato a tutta la vita elementare della gente semplice, che soffre e travaglia senza complicanze e mascheramenti; ammesso in tutte le cucine e in tutte le camere; accolto come un amico potente ma famigliare, al quale non si nasconde nulla. Eppure la vita di questo scampolo d'umanità, nelle sue vicende essenziali, riproduce e riflette l'eterna vita dell'universale, colle sue passioni, le sue leggi non scritte, le sue avventure, le sue viltà, i suoi amori, i suoi atti eroici. 

                Soltanto vicino ai popolani di questo popolo minimo e povero ho preso coscienza della mia natura e destinazione di uomo, della mia piena umanità. Sol quassù mi ritrovo uomo fra uomini, uomo utile agli uomini, uomo unito ed affezionato agli uomini; uomo completo, perché senza l'amore, anche l'arte non empie l'anima. Negli anni innanzi ero un pellegrino tra stranieri; quassù seggo alla tavola della famiglia, il mio viso è conosciuto, conosco i segreti di tutti, le mie parole hanno un significato intero e definitivo, ho compreso finalmente cosa voglia dire il prossimo dell'Evangelo, perché il cuore, tradito dall'intelligenza, ha riconquistato liberamente la grazia della sincerità.

 

 

FINE

 

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