Cercate il senso e non badate al tuono Gir. Parrà che io dica uno sproposito: ma leggete le poesie in prosa e le prose poetiche dei nostri tempi, e vedete essere la pura verità che usa fare il cristiano. Quel diluvio di sonettai che nel cinquecento ansava a messer Francesco Petrarca, affogò in una piena d’inedia poetica l’amore per la creatura, e d’allora in poi non s’è più riavuto: il moderno sciame dei rimatori d’Inni, per la smania d’arrivare il Manzoni, padre incorrotto di corrotti figli, falsificano l’amore per il Creatore; gli atei fanno il salmista, e pochi oramai son quelli che sappiano che cosa è amore, e che di cuore dicano un Pater Noster di buono. Fu detto pochi anni fa ( e con molta ragione): lasciate stare in pace gli Dei d’Omero e tutti gli altri rococò della poesia; smettete di romperci la testa con gli elmi dei paladini e con le strampalerie di Malagigi, Eccovi i nostri costumi, la nostra storia, la nostra religione cristiana, fonte inesauribile di affetti che ci riguardano più da vicino, e per conseguenza di vera e schietta poesia. Alcuni pochi, come Achille alle acque infuriate dello Scamandro (mi servo apposta d’un paragone classico), vollero resistere a questo fiume che chiamarono boreale, quasi che il buon senso appartenesse più al settentrione che al mezzogiorno; i più, e specialmente i giovani, abbracciarono con avidità le nuove massime, ed esultarono all’idea di vedere rovesciato nel fango il colosso della vecchia letteratura, che come quello di Nabucco aveva il capo d’oro e al zampa di terracotta, ossia cominciava da Omero e finiva con l’abate Chiari. Ma le cose non si fanno ad un tratto. Apollo per doventar cattolico, apostolico, romano, aveva bisogno di fare un noviziato più lungo; ma impaziente com’è, grattò l’arpa idumea senza sapere il canto fermo e col pollice tuttavia mezzo pagano. Una lettura della Bibbia fatta nell’ore avanzate, una filza di frasi pie e di figure orientali prese di qua e di la dalle prediche o da Lamennais, è l’ordito che riempiono della loro mistica vanità i nostri Daviddi in giubbino, i moderni Lattanzi con la corvatta. Ma la più bella è questa: che molti di costoro, specialmente di là dai monti, sono apppunto figlioli di quelli che con un decreto popolare vollero scasare Domineddio dal suo trono eminente per poi fargli la grazia di rimettercelo, regalandogli Robespierre per sommo sacerdote. Anzi godono e goderannno e lasceranno godere ai loro figlioli cristianissimi, il frutto delle lampade rubate e dei calici strutti. O angeli del Cielo, se mai vedete di costassù qualche altro Eliodoro entrare nel tempio e stendere gli artigli sui vasi sacri, risparmiatevi le vostre sante legnate e lasciatelo fare, perché di lì a poco o esso o i suoi figlioli, vi tradurranno il Miserere o il De Profundis . E’ veramente il tempo di dire: La volpe vuol ire a Loreto! Ferrau frate? E qualche volta d’aggiungere, Ah tu sei per la Vergine Maria, Romito falso e più briccon di pria. Cosa c’è poi da meravigliarsi se tutte le virtù pubbliche e private per lo più non sono altro che arte di non parere ? La fede erudita di questi nostri maestri in divinità, è più un’idropisia del cervello che un affetto delirante del cuore. Per apparire, ognun s’ingegna e face Sue invenzioni, e quelle son trascorse Dai predicanti, e il vangelio si tace. Oltre a questo se la religione comincia a riguardarsi come il taglio dei soprabiti, un giorno o l’altro c’è da vedere Maometto o Brighella per le Basiliche. Riformatevi fratelli. Attaccate per ora il Salterio a un chiodo, e esercitatevi sopra uno strumento più usuale, più casalingo, se mè permesso chiamarlo così. Toccate la corda degli affetti di famiglia, di fratellanza, di patria; la corda, per esempio che toccò (ah troppo di volo!) Beppe Montanelli; e di quando in quando frammezzo, tanto per assuefarci voi stessi e gli orecchi del pubblico, una tastatina religiosa, ma spicciativa e senza frastuono. Così lemme lemme, potrete forse percorrere tutta la scala dei tuoni. Se durerete così, se dal pastorello d’Anfriso rinculerete ad un tratto a quello che sfrombolò Golia, vi farete canzonare e desterete la nausea di Dio e degli uomini. Fratelli, non intendo di bastonarvi, ma mi rincresce vedere, in questo gelo universale del cuore, la penna dei cannibali evangelizzare nei romanzi e nelle gazzette. Non scambiate le acque dei vostri rigagnoli con quelle del Giordano; in queste bisogna entrarci a piedi scalzi, e non ci si può patinare , perché l’acqua che emana dal fonte della verità, non gela mai. La rete di San Pietro non somiglia a quella di don Fracassa e di don Tempesta, fatte per chiappare gli uomini e poi sbatterli in terra e farne una fricassea; ma simboleggia quell’amorevole agguato, quella dolce violenza con la quale un labbro semplice e verace, circonda e tira le anime a sé dal grande oceano dell’errore. L’avete voi questo labbro ? quest’amo lo sapete voi gettare ? Ma basti così, che non vorrei naufragare anch’io in questo mare .
Fonte: Giuseppe Giusti, Scritti vari (per la maggior parte inediti) in prosa e in versi, a.c. di Aurelio Gotti, Firenze, Monnier, 1863; pp.169-172 |
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