AGLI AMICI DELLA VALLE TIBERINA

(Giosuè Carducci, Giambi e Epodi, in : Tutte le Poesie, Roma, Newton 1998, p.245; Pieve S. Stefano 25 agosto 1867)

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Sansepolcro e la sua pianura, viste da Anghiari

Pur da queste serene erme pendici

D'altra vita al rumor ritornerò;

Ma nel memore petto, o nuovi amici,

un desio dolce e mesto io porterò.

 

Tua verde valle ed il bel colle aprico

Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor;

Bulciano albergo di baroni antico,

Or di libere menti e d'alti cor.

 

E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi

Discendendo dai balzi d'Apennin,

Come gigante che svegliato tardi

S'affretta in caccia e interroga il mattin.

 

Tu ancor m'arridi. E quando a i freschi venti

Di su l'aride carte anelerà

L'anima stanca a voi poggi fiorenti,

Balze austere e felici, a voi verrà.

 

Fiume famoso il breve piano inonda;

Ama la vite i colli; e a rimirar

Dolce fra verdi querce ecco la bionda

Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar.

 

De i vecchi prepotenti in su gli spaldi

Pasce la vacca e mira lenta al pian;

E de le torri, ostello di ribaldi,

Crebbe l'utile casa al pio villan.

 

Dove il bronzo de' frati in su la sera

Solo rompea, od accrescea l'orror.

Croscia il mulino, suona la gualchiera

E la canzone del vendemmiator.

 

Coraggio amici. Se di vive fonti

Corse, tocco dal santo, il balzo alpin,

A voi saggi ed industri i patrii monti

Iscaturiscan di fumoso vin;

 

Del vin ch'educa il forte suolo amico

Di ferro e zolfo con natia virtù:

Co'l quale io libo al padre Tebro antico

Al tebro tolto al fin di servitù.

 

Fiume d'Italia, a le tue sacre rive

Peregrin mossi con devoto amor

Il tuo nume adorando, e le dive

Memorie l'ombra mi tremava in cor.

 

E pensai quando i tuoi clivi Tarconte

Coronato Pontefice salì,

E, fermo l'occhi nero all'orizzonte,

Di leggi e d'armi il popol suo partì;

 

E quando la fatal prora d'Enea

Per tanto mar la foce tua cercò,

E l'aureo scudo de la madre dea

In su l'attonit'onde al sol raggiò;

 

E quando Furio e l'arator d'Arpino,

Imperador plebeo, tornava a te,

E coprivan l'altar capitolino

spoglie di galli e tedeschi re.

 

Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi

Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor;

Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi,

L'agnel ti salta e turbati il pastor.

 

Meglio così che tra marmoree sponde

Patir l'oltraggio de Chercuti re.

E' con l'orgoglio de le tumid'onde

L'orme lambire d'un crociano piè.

 

Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni

che la vergogna dura: or via, non più.

Ecco, un grido io ti dò -Morte a' tiranni-;

Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu.

 

portal col suono c'ogni suon confonda

Portal con le procelle d'Appennin,

Portalo o fiume; e un'eco ti risponda

Dal gran monte plebeo, da l'Aventin.

 

Tende l'orecchio Italia e il centro aspetta:

Allor chi fia che la vorrà infrenar ?

Cento schiere di prodi a la vendetta

Da le tue valli verran teco al mar.

 

Risplendi o fausto giorno. Ahi, se più tardi,

Romito e taumaturgo esser vorrò:

Da la faccia de' rei figli codardi

Ne le tombe de' padri io fuggirò.

 

Con l'arti vò che cielo e inferno insegna

Da questi monti il foco isprigionar,

E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna,

Al Campidoglio vile io vo mandar.

 

 

Monastero di Cerbaiolo (Pieve S. Stefano, Arezzo)

 

FINE

 

 

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