1. [Introduzione]

                La Teologia gode di poco credito tra la maggior parte degli intellettuali occidentali. si ritiene che il  significato della parola faccia riferimento a una forma antiquata di pensiero religioso che abbraccia l'irrazionalità e il dogmatismo. Lo stesso vale per la Scolastica. nei dizionari scolastico significa pedante e dogmatico, a indicare così la sterilità del sapere della Chiesa medioevale. John Locke filosofo britannico del XVIII secolo, sminuisce gli scolastici definendoli i grandi maestri che coniano termini inutili atti a nascondere la loro ignoranza 1). Non è così, gli scolastici erano studiosi eccellenti che fondarono le migliori università europee e diedero inizio alla scienza occidentale. La teologia poi ha poco in comune con la maggior parte del pensiero religioso, essendo una disciplina sofisticata e altamente razionale, sviluppatasi appieno solamente nel cristianesimo.

                A volte descritta come la scienza della fede 2), la teologia è un ragionamento formale su Dio. L'attenzione è posta nello scoprire la natura, le intenzioni  e le richieste di Dio e nel capire come questi elementi definiscano la relazione tra esseri umani e divinità. Gli dei del politeismo non possono sostenere un discorso teologico perché sono troppo incoerenti. La teologia necessita di un immagine in cui Dio appaia come un essere cosciente, razionale e soprannaturale, dotato di potere e libertà illimitati, che si cura degli esseri umani e impone loro responsabilità e codici morali, facendo così scaturire questioni intellettuali serie come : perché Dio ci permette di peccare? Il sesto comandamento proibisce la guerra? In quale momento un bambino acquisisce un'anima?

                Per apprezzare appieno la natura della teologia è utile analizzare le ragioni per cui in oriente non esistono teologi. Nel taoismo ad es. il Tao è concepito come un'essenza soprannaturale una forza mistica che sta all'origine o un principio che governa la vita, ma è distaccato, distante, senza coscienza e senza dubbio non è un ente.  E' il modo eterno, la forza cosmica che genera armonia ed equilibrio. Secondo Lao Tzu, il Tao è sempre non esistente eppure sempre esistente, innominabile e il nome che può essere nominato . Esso è sia privo di suono e di forma e sempre senza pulsioni . Un'essenza di questo tipo offrirà continuamente uno spunto di meditazione, ma poco su cui ragionare. Lo stesso si può dire del Buddhismo e del Confucianesimo. Sebbene le versioni popolari di queste fedi siano politeistiche e comprendano un'immensa schiera di divinità minori (come accade nella forma popolare del taoismo), le forme pure di queste religioni, perseguite dalle elite intellettuali, sono senza dio e postulano solamente una vaga essenza divina. Buddha ad es. negò chiaramente l'esistenza di un Dio cosciente 3) . L'Oriente non ha teologi perché coloro che potrebbero intraprendere tale ricerca intellettuale, rifiutano la prima premessa della teologia: l'esistenza di un Dio cosciente e onnipotente.

                I teologi cristiani, al contrario, hanno dedicato secoli a ragionare su cosa Dio abbia veramente inteso dire in vari passaggi delle Sacre Scritture, e nel tempo le interpretazioni si sono spesso evolute in modo ampio e marcato. Per fare un esempio, nella Bibbia non è presente un'esplicita condanna dell'Astrologia, anzi la storia dei Re Magi che seguono la stella, sembra suggerire una sua validità. Eppure nel V secolo, sant'Agostino dedusse che l'Astrologia fosse falsa perché credere che il Fato fosse predestinato nelle stelle era contrario al libero arbitrio che Dio aveva donato agli esseri umani 4) . Allo stesso modo, benché molti dei primi cristiani, compreso l'apostolo Paolo, accettassero il fatto che Gesù avesse fratelli 5) nati da Maria e Giuseppe, quest'opinione entrò sempre più in conflitto con le crescenti considerazioni teologiche riguardanti Maria. La questione venne risolta nel XIII secolo, quando San Tommaso d'Aquino analizzò la dottrina secondo la quale Cristo era nato da una Vergine, per dedurne che Maria non ebbe altri figli: Dobbiamo quindi affermare in modo assoluto che la Madre di Dio, come concepì da Vergine e partorì da Vergine, così anche dopo il parto rimase Vergine per sempre (....). I fratelli del Signore non sono fratelli per natura come se fossero nati dalla stessa madre, ma fratelli per parentela come suoi consanguinei 6) .

                Non si trattò di semplici aggiunte alle Sacre Scritture, ciascun esempio rappresentò un attento ragionamento deduttivo che condusse a nuove dottrine: la Chiesa infatti proibì l'Astrologia e l'eterna verginità di Maria, rimase un' insegnamento cattolico ufficiale. Come dimostrano gli esempi, menti eccelse potevano, e spesso lo fecero, alterare di molto o perfino capovolgere le dottrine della Chiesa, solamente sulla base di ragionamenti convincenti. E nessuno lo fece meglio e con maggiore influenza di sant'Agostino e di san Tommaso d'Aquino. Naturalmente anche migliaia di altri teologi provarono a lasciare la loro impronta sulle dottrine del cattolicesimo. Alcuni ci riuscirono, i più furono ignorati e altri furono allontanati come eretici. Un resoconto preciso riguardante qualsiasi aspetto della teologia cristiana doveva e deve quindi fondarsi su figure di rilievo e autorevoli. Se prendessimo in considerazione le opere di migliaia di teologi cristiani minori scritte nei due scorsi millenni, sarebbe semplice raccogliere una serie di citazioni che dimostrino ogni sorta di strana presa di posizione teologica. E' un metodo sin troppo comune, ma non mi appartiene. Citerò figure minori solamente se queste espressero punti di vista ratificati poi dai teologi più importanti, tenendo presente che la posizione ufficiale della Chiesa spesso si è modificata su molti argomenti, a volte fino ad annullare gli insegnamenti precedenti.

                I principali teologi cristiani come sant'Agostino e san Tommaso d'Aquino non erano, come li chiameremmo oggi, dei rigorosi costruttivisti. Glorificavano la ragione come strumento per ottenere una maggiore comprensione delle intenzioni divine. Come affermò Quinto Tertulliano nel II secolo: La ragione è cosa di Dio, poiché non c'è nulla che Dio Creatore di tutte le cose, non abbia previsto, disposto, ordinato secondo ragione, nulla che non voglia doversi trattare o capire secondo ragione 7). Nel medesimo spirito, nel III secolo, Clemente di Alessandria avvertì : Non pensiate che affermiamo che queste cose si debbano ricevere solamente attraverso la fede, ma devono essere anche asserite dalla ragione. Infatti non è sicuro affidare queste cose alla mera fede senza ragione, è certo che la verità non sussista senza la ragione 8) .

                Perciò quando Agostino affermò che la ragione era indispensabile alla fede, esprimeva semplicemente il pensiero all'epoca dominante: Lontano da noi il pensiero che Dio abbia in odio la facoltà della ragione, in virtù della quale ci ha creati superiori agli altri esseri animati. Lontano da noi il credere che la fede ci impedisca di trovare o cercare la spiegazione razionale di quanto crediamo, dal momento che non potremmo neppure credere se non avessimo un'anima razionale. Agostino riconobbe anche che : Alla ragione deve precedere la fede; essa purifica la mente e la rende capace  di percepire e sostenere la luce della suprema ragione divina. Poi aggiunse che nonostante sia necessario, quando si tratta di supreme verità, le quali non possono conoscersi, (che) la fede preceda la ragione, qualunque sia il ragionamento che ci convince di ciò, anch'esso deve senza dubbio condurre alla ragione 9) . I filosofi scolastici nutrivano molta più fiducia nella ragione dei filosofi contemporanei 10) .

                Naturalmente vi furono alcuni influenti ecclesiastici che si opposero al primato dato alla ragione e che sostennero che la fede si accordasse meglio al misticismo e alle esperienze spirituali 11) . Ironicamente colui che sostenne questa posizione in modo più ispirato espresse le sue opinioni attraverso un discorso teologico ragionato con chiarezza 12). Tra gli ordini religiosi, in particolar modo tra i francescani e i cistercensi, era molto comune dissentire dalla priorità data alla ragione. Ma queste opinioni non prevalsero, se non altro perché nelle molte università che fiorivano in questo periodo, e nelle quali dominava la ragione, era radicata la teologia ufficiale della Chiesa 13).

 

2. La Fede Cristiana nel Progresso

                Anche l'ebraismo e l'islam concepirono un'immagine di Dio sufficiente a sostenere una teologia, ma la tendenza dei loro studiosi è stata quella di non approfondire tali questioni. Gli ebrei tradizionalisti 14) tendono al rigoroso costruttivismo e si accostano alle Sacre Scritture come a una legge da capire e applicare, non come una base per indagare questioni di estrema importanza. Per questo motivo, quando gli studiosi fanno riferimento all'ebraismo e all'Islam, le indicano come ortoprassi, perché riguardano il corretto (ortho) agire (praxis) e, di conseguenza, pongono il loro principale interesse nella legge e nelle norme che regolano la vita della comunità . Al contrario gli studiosi definiscono il cristianesimo una religione ortodossa perché pone la sua attenzione sulla corretta (ortho) opinione (doxa), dando maggiore rilievo alla fede e alla strutturazione intellettuale di credi, catechismi e teologie 15) . Le tipiche controversie intellettuali tra pensatori religiosi ebrei e mussulmani indagano la coerenza di alcune attività o innovazioni -come la riproduzione dei testi sacri attraverso la stampa- rispetto alla legge stabilita. Le controversie cristiane invece, sono di tipo dottrinale, e riguardano argomenti come la Santa Trinità o l'eterna verginità di Maria.

                Naturalmente è accaduto che alcuni dei principali pensatori cristiani si siano concentrati sullo studio della legge, e che alcuni studiosi ebrei e mussulmani si siano dedicati alle questioni teologiche. Ma in merito a questo, nelle tre religioni è diversa la spinta primaria e ciò ha avuto conseguenze molto significative. Le leggi si interpretano fondandosi sul precedente; rimangono perciò ancorate al passato, mentre gli sforzi per comprendere meglio la natura di Dio presuppongono la possibilità del progresso . Ed è proprio questo assunto di progresso a differenziare in modo marcato il cristianesimo da tute le altre religioni. A eccezione dell'ebraismo, gli altri grandi credi religiosi concepiscono la storia o come un ciclo che si ripete senza fine o come un inevitabile declino; si dice che Maometto abbia affermato: La miglior generazione è la mia, poi la successiva, poi quelle ancora successive 16). Al contrario ebraismo e cristianesimo poggiano su una concezione direzionale della storia che culmina nel Millennio. Tuttavia l'idea ebraica della storia non pone in evidenza il progresso ma solo il procedere, mentre nel cristianesimo l'idea di progresso è del tutto evidente. Come afferma John Macmurray, il fatto stesso che pensiamo al progresso dimostra in quale misura siamo influenzati dal cristianesimo 17).

                Probabilmente le cose sarebbero diverse se Gesù avesse lasciato un testo scritto. Ma a differenza di Maometto o di Mosè, i cui testi furono accettati come parola divina e favorirono quindi una interpretazione letterale, Gesù non scrisse nulla e fin dal principio, i padri della chiesa furono costretti a ragionare sulle implicazioni di una raccolta delle sue parole: il Nuovo Testamento non è una scrittura unificata, ma un'antologia  18). Dunque l'idea di una teologia di deduzione e inferenza e quella di progresso teologico cominciarono con San Paolo: La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia 19). All'opposto il secondo verso del Corano dichiara: Questo è il libro su cui non ci sono dubbi 20).

                Sin dal principio i teologi cristiani ipotizzarono che l'utilizzo della ragione potesse portare a una comprensione sempre più precisa del volere di Dio. Sant'Agostino osservò ad esempio che nonostante ci fossero verità concernenti la dottrina della salvezza che non possiamo ancora comprendere con la ragione (....) lo potremmo un giorno 21). Agostino non celebrò solamente il progresso teologico, ma anche quello terreno, materiale. Scrivendo all'inizio del V secolo dichiarò: Le grandiose e innumerevoli arti scoperte e utilizzate dall'ingegno umano, in parte per le sue necessità, in parte per mero piacere (sono) tutte testimonianze della straordinaria capacità e della bontà naturale della mente fornita di ragione. (...). Nei tessili e nelle costruzioni, a quali opere stupende, a quali meraviglie non è giunta l'industria umana! Quali progressi non ha compiuto nell'agricoltura e nella navigazione! E poi continuava ammirato : Quale abilità non ha esplicato nella misurazione e nel calcolo, quale acume nel capire i corsi e i sistemi stellari ! E tutto questo era dovuto al bene immenso che Dio aveva conferito alla sua creazione, una natura razionale 22).

                L'ottimismo di sant'Agostino era comune; il progresso era un richiamo. Come scrisse Gilbert de Tournai nel XIII secolo: Mai troveremo la verità se ci accontenteremo di ciò che è già stato trovato (...). Coloro che scrissero prima di noi non erano padroni infallibili, ma guide. La verità è offerta a tutti, essa non è stata ancora interamente posseduta 23) . Particolarmente caratteristico fu quanto predicato da frate Giordano a Firenze nel 1306 : Non tutte le arti sono state scoperte; mai finiremo di scoprirle. Ogni giorno qualcuno può scoprire una nuova arte 24) . Si paragoni questo atteggiamento con la visione che predominava in Cina nello steso periodo, ben espressa da Li Yen-chang : Se si fa in modo che gli studiosi concentrino la loro attenzione unicamente sui classici e si impedisce loro di scivolare nello studio delle pratiche volgari delle più recenti generazioni, allora l'impero sarà davvero fortunato 25).

                La dedizione cristiana al progresso attraverso la razionalità raggiunse l'apice con la Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, pubblicata alla fine del XIII secolo a Parigi. Questo monumento alla teologia della ragione è costituito da prove logiche della dottrina cristiana e stabilisce il modello per tutti i successivi teologi. San Tommaso sostiene che sia necessario giungere alla conoscenza attraverso il ragionamento, passo dopo passo, dal momento che l'intelletto dell'uomo non è in grado di capire direttamente l'essenza delle cose. Per questo nonostante consideri la teologia una scienza superiore perché affronta in modo diretto le rivelazioni divine, egli difende l'utilizzo di strumenti filosofici, in particolare dei principi della logica, per cercare di costruire la teologia 26). Quindi utilizzando le potenzialità della ragione, san Tommaso scoprì il profondo umanesimo in ciò che Dio aveva creato 27).

                Tommaso d'Aquino e i suoi numerosi eccellenti compagni non si sarebbero distinti nella teologia razionale se avessero concepito Geova come un'essenza inspiegabile. I loro sforzi erano giustificabili solo perché ritenevano che Dio fosse l'assoluta personificazione della ragione 28). Per di più la loro dedizione alla comprensione progressiva del volere di Dio li portava ad accettare il fatto che la Bibbia non dovesse essere solo o non sempre, intesa nel suo significato letterale. Anche questo era un punto di vista convenzionale nel cristianesimo, dal momento che come osservò sant'Agostino, si possono dare di queste parole certamente vere interpretazioni diverse. Anzi, Agostino riconobbe chiaramente che per un lettore più tardo sarebbe stato possibile, con l'aiuto di Dio, afferrare un significato delle Sacre Scritture perfino quando non era stata l'intenzione dell'autore. Per  questa ragione, continuava, è necessario ricerca(re) ciò che Mosè, egregio famiglio della tua fede, volle far intendere in questo racconto al lettore (...). Accostiamoci insieme alle parole del tuo libroe cerchiamo in esse la tua volontà attraverso la volontà del tuo servitore, per la cui penna le hai elargite 29) . Inoltre essendo Dio incapace di errore o falsità, se la Bibbia sembra contraddire la Scienza, la causa è una mancanza di comprensione da parte del servitore che ha registrato le parole di Dio.

                Queste opinioni sono del tutto coerenti con la fondamentale premessa cristiana per cui le rivelazioni di Dio si limitano sempre alla capacità degli esseri umani di comprenderle. Nel IV secolo San Giovanni Crisostomo fece notare che perfino i Serafini non vedono Dio nella sua vera essenza, ma percepiscono una condiscendenza conforme alla loro natura. In cosa consiste questa condiscendenza ? Avviene quando Dio appare e si rende manifesto, non com'è veramente, ma adattandosi al modo in cui può apparire a un essere incapace di contemplarne la vera natura. In questo modo Dio rivela se stesso in proporzione all'imperfezione di coloro che lo contemplano 30) . In linea con la stessa tradizione, dunque, non ci fu nulla di nemmeno minimamente eretico nell'affermazione di Giovanni Calvino (John Calvin) secondo la quale Dio adatta le sue rivelazioni ai limiti della comprensione umana, e che all'autore della Genesi, ad esempio, fu ordinato di essere l'insegnante degli ignoranti e dei primitivi oltre che degli istruiti: quindi non poteva raggiungere il suo scopo senza scendere a tali rudimentali strumenti d'istruzione. Il che significa che Dio rivela se stesso a seconda della nostra barbarie e debolezza 31).

                Il cristiano immagina Dio come un essere razionale che crede nel progresso umano e che rivela se stesso più a fondo quando gli uomini acquistano la capacità di comprendere meglio. Inoltre dal momento che Dio è un essere razionale e che l'universo è la sua personale creazione, esso possiede necessariamente una struttura razionale, legittima e stabile che attende maggiore comprensione umana. Questa fu la chiave di molte imprese intellettuali, tra cui la nascita della scienza.

 

3. Scienza e Teologia

                La cosidetta rivoluzione scientifica del XVI secolo è stata male interpretata da coloro che desideravano sostenere un conflitto intimo tra scienza e religione. In quell'epoca, infatti, si ottennero conquiste straordinarie, che non vennero però prodotte da un'esplosione di pensiero laico. Piuttosto esse furono il culmine di molti secoli di progressi sistematici portati avanti dagli scolastici medioevali e sorretti da un'invenzione del XII secolo prettamente cristiana: l'università. Scienza e religione non solo erano compatibili, ma addirittura inseparabili, e la scienza nacque grazie a studiosi cristiani profondamente religiosi 32).

                E' importante riconoscere che scienza non significa semplicemente tecnologia. Una società non sviluppa un'evoluzione scientifica solamente perché è in grado di costruire navi a vela, di fondere il ferro e di mangiare in piatti di porcellana. La scienza è un  metodo che viene utilizzato in tentativi organizzati di formulare spiegazioni della natura, sempre soggette a modifiche e correzioni attraverso osservazioni sistematiche.

                In altre parole la scienza è composta da due elementi: la teoria e la ricerca. La parte esplicativa della scienza è costituita dalla formulazione di teorie. Le teorie scientifiche sono enunciati astratti che riguardano il perché e il come una parte della natura (compresa la vita sociale umana) si formi e funzioni. Tuttavia non tutti gli enunciati astratti, neanche tutti quelli che offrono spiegazioni, possono essere definiti teorie scientifiche, altrimenti la teologia sarebbe una scienza. Piuttosto si può affermare che gli enunciati astratti sono scientifici solamente se da essi è possibile dedurre precise previsioni e divieti a proposito di quanto verrà osservato. Ed è allora che interviene la ricerca, che consiste nel compiere le osservazioni relative alle previsioni e ai divieti empirici. Quindi risulta chiaro che la scienza è limitata agli enunciati riguardanti la realtà naturale e materiale, ossia quella che almeno in linea di principio, è osservabile. Ne consegue che esistono interi domini del discorso a cui la scienza non può rivolgersi, comprese questioni come l'esistenza di Dio.

                Si osservi inoltre che la scienza è uno sforzo organizzato nel senso che non è fatta di scoperte casuali e non si può ottenere in solitudine: E' vero che alcuni scienziati hanno lavorato da soli, ma non isolati; Fin dagli inizi, infatti, gli scienziati hanno stabilito reti di contatti e sono sempre stati molto comunicativi.

                In accordo con l'opinione della maggior parte degli storici contemporanei e dei filosofi della scienza, questa definizione esclude tutti gli sforzi che l'uomo ha compiuto nella storia per spiegare e controllare il mondo materiale, e persino quelli che non coinvolgono mezzi soprannaturali. La maggior parte di questi sforzi non rientrano nella categoria della scienza perché fino a tempi recenti la tecnica pur nei suoi progressi talvolta considerevoli, non era che empirismo 33). Ciò significa che il progresso fu il prodotto dell'osservazione, dell'esperimento e dell'errore, a cui mancavano però le spiegazioni, la teorizzazione. Quindi le prime innovazioni tecniche avvenute in epoca greco-romana, nel mondo islamico e in Cina, per non parlare di quelle ottenute nelle ere preistoriche, non costituiscono una scienza ma possono essere meglio descritte, come sapere, saggezza, arti, mestieri, tecniche, tecnologie, ingegneria, apprendimento o semplicemente conoscenza. Anche senza l'utilizzo di telescopi gli antichi eccellevano nelle osservazioni astronomiche ma esse rimasero meri fatti fino a quando non furono collegate a teorie verificabili. Charles Darwin espresse in maniera brillante questo punto: Circa trent'anni fa molti dicevano che i geologi dovevano osservare e non formulare teorie; e ricordo bene che qualcuno disse che in tal modo un uomo poteva anche recarsi in una cava di ghiaia, contare i sassi e descriverne i colori. Che strano che non si capisca che tutte le osservazioni devono essere a favore o contrarie ad alcuni punti di vista se si vuole che siano utili 34).

               Per quanto concerne le conquiste intellettuali dei greci o dei filosofi orientali, il loro empirismo era piuttosto a-teorico e le loro teorizzazioni non erano empiriche. Si pensi ad Aristotele. Sebbene elogiato per il suo empirismo, non permise che questo suo aspetto interferisse con il suo teorizzare. Insegnava ad esempio, che la velocità con la quale un oggetto cade a terra è proporzionale al suo peso, e quindi che una pietra che pesa il doppio di un'altra, cadrà due volte più velocemente 35). Se si fosse recato a una delle più vicine scogliere, avrebbe costatato la falsità della proposizione.

                Del resto, degli altri greci illustri si può dire lo stesso: la loro opera o è interamente empirica o non può essere definita scienza per mancanza di empirismo, essendo costituita da una serie di asserzioni astratte che ignorano o non implicano effetti osservabili. Perciò quando Democrito suggerì che tutta la materia fosse composta da atomi, non anticipò la teoria atomica della scienza. la sua teoria era semplicemente una speculazione non basata sull'osservazione e senza alcuna implicazione empirica. Il fatto che sia risultata corretta è soltanto una coincidenza linguistica e l'ipotesi di Democrito non ha più significato di quella del suo contemporaneo Empedocle che affermava che tutta la materia era composta da fuoco, aria, acqua e terra, o la successiva versione di Aristotele che un secolo dopo affermò che la materia era costituita da caldo, freddo, aridità, umidità e quintessenza. Anzi nonostante tutta la sua ingegnosità e potenza analitica, nemmeno Euclide era una scienziato, perché la geometria di per se manca di sostanza in quanto è in grado di descrivere solo alcuni aspetti della realtà, non di spiegarne qualunque parte.

                La scienza vera si sviluppò solo una volta: in Europa 36). La Cina, il mondo islamico, l'India, l'antica Grecia e l'antica Roma, avevano un'alchimia molto avanzata, ma in Europa l'alchimia si evolvette in chimica. Allo stesso modo molte società svilupparono elaborati sistemi di astrologia, ma solo in Europa l'Astrologia condusse all'astronomia. Perché ? Ancora una volta, la risposta ha a che fare con le immagini di Dio.

                Come osservato dal grande teologo e scienziato medioevale ormai dimenticato, Nicola d'Oresme, la creazione di Dio è più simile a quella di un uomo che costruisca un orologio e gli permetta di funzionare e continuare il suo movimento autonomamente 37). Contrariamente alle dottrine religiose e filosofiche dominanti nel mondo non cristiano, i cristiani svilupparono la scienza perché credevano che si potesse e si dovesse fare. Nel 1925 durante una delle sue lowel lectures a Harvard, Alfred North Whitehead affermò che la scienza ebbe origine in Europa a causa della diffusa fede nelle sue possibilità, e che essa è un derivato (...) della teologia medioevale 38). La dichiarazione di Whitehead scandalizzò la sua distinta platea, e in generale gli intellettuali occidentali, quando le sue lectures vennero pubblicate. Come poteva un filosofo e matematico del suo calibro, co-autore insieme a Bertrand Russel della pietra miliare Principia Mathematica (1910-13), affermare una simile assurdità? Non sapeva che la religione è il nemico mortale della indagine scientifica?

                Whitehead sapeva bene quel che diceva. Aveva capito che la teologia cristiana era stata un elemento di fondamentale importanza per lo sviluppo della scienza in occidente e di certo nel resto del mondo le teologie non cristiane, avevano soffocato la ricerca scientifica. Come spiegò :

                Il grande contributo dato dal medioevo alla formazione del movimento scientifico (fu) la fede inespugnabile che (...) v'è un segreto, e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione ? (...) Non può che provenire dalla concezione medievale che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l'energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità 39).

                Whitehead terminava osservando che le immagini di divinità rintracciabili nelle altre religioni, in particolar modo in Asia, sono troppo impersonali o irrazionali per poter incoraggiare la scienza. Qualsiasi particolare evento determinato poteva essere attribuito al fiat di un (...) irrazionale e dispotico dio, oppure scaturire da qualche "origine delle cose" impersonale e imperscrutabile. Mancava quella fiducia che proviene dall'idea della razionalità intelligibile di un essere personale 40) .

                La maggior parte delle religioni non cristiane, anzi non presuppongono affatto una Creazione: nella loro prospettiva, l'universo è eterno e, per quanto possa seguire dei cicli, ciò avviene senza principio e senza scopo; inoltre, cosa più importante, non essendo mai stato creato non ha un creatore. Di conseguenza, l'universo viene ritenuto un mistero supremo, incoerente, imprevedibile e arbitrario. Coloro che partono da questi presupposti religiosi, raggiungono la saggezza attraverso un percorso di meditazione e intuizioni mistiche, senza alcuna occasione d'esercitare l'uso della ragione.

                   Il problema da affrontare è di natura metodologica. Secoli di meditazione non produrranno una conoscenza di tipo empirico. Ma nella misura in cui una religione ispira dei tentativi di comprendere l'opera di Dio, la conoscenza diventa vicina e dal momento che per capire appieno qualcosa è necessario fornirne una spiegazione, la scienza nasce come serva della teologia. E' esattamente così che percepivano se stessi coloro che presero parte alle grandi conquiste del XVI e XVII secolo: come qualcuno che persegue i segreti della creazione. Per Newton, Keplero e Galileo la Creazione era un libro 41) che andava letto e compreso. Nel XVI secolo Cartesio, genio scientifico francese, giustificò la sua ricerca delle leggi naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto e agiva nel modo più costante e immutabile possibile  -tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli-  42). Al contrario simili idee religiose e motivazioni mancavano in quelle società che sembravano avere il potenziale per sviluppare la scienza, ma non lo fecero: la Cina, la Grecia e il Mondo Islamico.

 

4. La Cina

                Solamente tre anni prima dell'affermazione del suo coautore Alfred North Whitehead, secondo cui il cristianesimo aveva costituito la base per lo sviluppo della scienza, Bertrand Russell trovava piuttosto sconcertante la mancanza di scienza in Cina. Dal suo punto di vista di ateo militante, la Cina avrebbe dovuto sviluppare un discorso scientifico molto prima dell'Europa. Egli afferma : Nonostante fino ad oggi la civiltà cinese sia stata insufficiente nella scienza, non ha mai nutrito sentimenti di ostilità verso di essa, quindi il diffondersi del sapere scientifico non dovrebbe incontrare ostacoli pari a quelli posti dalla Chiesa in Europa 43). Sebbene fosse certo del sorpasso dell'Occidente da parte della Cina, non riusciva a capire che erano proprio impedimenti di tipo religioso, ad aver ostacolato l'ascesa della scienza in questo paese [44)]. Da secoli i cinesi venerano una ricca schiera di dèi, ciascuno con un limitato raggio d'azione e spesso privi di caratteristiche. Gli intellettuali tuttavia, si vantano di seguire credi senza dèi per i quali il soprannaturale è concepito come un'essenza, un principio che governa la vita come il Tao: impersonale, distante e certamente non un essere vivente. Divinità di poca importanza non creano un universo e non lo fanno neanche essenze e principi indistinti, anzi sembra che non siano in grado di fare nulla.

                Così come viene concepito dai filosofi cinesi l'universo semplicemente è e è sempre stato. Non vi sono motivi per supporre che funzioni secondo leggi razionali o che potrebbe essere compreso in termini fisici piuttosto che mistici. Di conseguenza nel corso dei millenni gli intellettuali cinesi sono andati in cerca di illuminazioni e non di spiegazioni.  Josef Needham , illustre storico della scienza dell'Università di Oxford che dedicò la maggior parte della sua carriera e diverse opere alla storia della tecnologia cinese, giunse a questa precisa conclusione. Dopo aver trascorso decenni nel tentativo di trovare una spiegazione materialistica, Needham concluse infatti che i Cinesi non erano riusciti a sviluppare la scienza a causa della loro religione, e per l'incapacità degli intellettuali cinesi di credere all'esistenza di leggi della natura dal momento che non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino, che impone leggi sulla Natura non umana .

                Needham continuava: Non è che per i Cinesi non vi fosse in Natura ordine alcuno, ma piuttosto era loro opinione che non si trattasse di un ordine stabilito da un essere individuale, razionale; pertanto mancava totalmente la convinzione che esseri individuali, razionali, sarebbero stati in grado di compitare nelle loro lingue terrestri inferiori, il codice divino delle leggi da lui precedentemente decretate. I taoisti certo avrebbero disprezzato tale idea perché troppo ingenua rispetto alla sottigliezza e alla complessità dell'universo così com'essi l'intuivano 45).

                Proprio così.

                Diversi anni fa, Graeme Lang, stimato antropologo dell'Università di Hong Kong City, scartò l'idea che la scienza non fosse riuscita a svilupparsi in Cina a causa dell'influenza del Confucianesimo e del taoismo sugli intellettuali cinesi, sostenendo che tutta la cultura fosse flessibile e che se in Cina gli studiosi avessero voluto sviluppare la scienza, la filosofia da sola non sarebbe stata un serio impedimento 46). Forse. Ma Lang non pone la domanda più importante: perché gli studiosi cinesi non volevano occuparsi di scienza ? Perché come hanno riconosciuto Whitehead, Needham e molti altri, per i cinesi la scienza non era possibile. Sono dei fondamentali presupposti filosofici e teologici a determinare la dedizione alla scienza da parte di alcuni individui. La scienza occidentale nacque dalla entusiastica convinzione che l'intelletto umano potesse penetrare i segreti della natura.

 

5. Grecia

                Per secoli gli antichi Greci sembrarono sul punto di ottenere la scienza. Erano interessati a spiegare il mondo naturale attraverso principi generali astratti. Alcuni osservavano la Natura in modo attento e sistematico (nonostante Socrate considerasse l'empirismo come le osservazioni astronomiche, una perdita di tempo e Platone fosse d'accordo e consigliasse ai suoi studenti di lasciar stare i cieli stellati 47). I Greci crearono reti accademiche coordinate, le famose scuole . Ma alla fine produssero solamente filosofie non empiriche, anzi anti-empiriche e speculative, nonché raccolte di fatti ateoretici; mestieri e tecnologie isolati, che non sfociarono mai nella vera scienza.

                Questo accadde per tre motivi. Innanzitutto le concezioni greche delle divinità non erano adatte a considerarle creatori coscienti. In secondo luogo per i Greci l'universo non era solo eterno e increato, ma vincolato in infiniti cicli di progresso e decadenza. Infine spinti a definire vari corpi celesti come divinità vere e proprie, trasformarono oggetti inanimati in creature viventi capaci di propositi. emozioni e desideri, mandando così in cortocircuito la ricerca di teorie fisiche 48).

                Nessuna delle numerose divinità del Pantheon greco, neanche Zeus, poteva essere il creatore di un universo razionale. Infatti anche gli dèi come gli umani, erano soggetti agli inesorabili meccanismi dei cicli naturali di ogni cosa. Alcuni studiosi Greci, compreso Aristotele, presupponevano un dio di infinita portata a guardia dell'universo, ma questo dio era concepito fondamentalmente come un'essenza molto simile al Tao. Una tale divinità conferiva una certa aura spirituale a un universo ciclico e alle sue proprietà ideali e astratte, ma in quanto essenza, dio non faceva né mai aveva fatto nulla. Platone immaginava come Creatore del mondo un dio molto inferiore denominato Demiurgo, perché il Dio supremo era troppo remoto e spirituale per compiere tale impresa; questo spiegherebbe perché il mondo è stato creato così male.

                Molti studiosi dubitano che Platone volesse davvero che il postulato del Demiurgo fosse inteso in senso letterale 49). Comunque creatore effettivo o metafora, il Demiurgo di Platone impallidisce di fronte a un Dio onnipotente che crea l'universo dal nulla. Per di più per Platone l'universo non era stato creato in base a solidi principi operativi, ma in armonia con ideali che consistevano principalmente in forme perfette. Per questo motivo l'universo deve essere una sfera, forma compiuta e simmetrica, e i corpi celesti devono ruotare seguendo una traiettoria circolare: il tipo di moto perfetto 50). L'idealismo platonico fondato su ipotesi a priori , fu a lungo di notevole intralcio alla scoperta scientifica; nella fede incrollabile in queste forme ideali, molti secoli dopo, Copernico non fu nemmeno sfiorato dall'idea che le orbite planetarie potessero essere ellittiche  e non circolari.

                Sotto molti aspetti appare strano che i Greci, avendo rifiutato l'idea di progresso per un infinito ripetersi di un ciclo, abbiano poi ricercato la conoscenza e la tecnologia. Platone almeno aveva proposto che l'universo fosse stato creato, ma la maggior parte degli studiosi greci ritenevano che esso fosse increato e eterno. Aristotele condannò come impensabile l'idea che l'universo iniziò a esistere da un certo punto nel tempo 51). Nonostante considerassero l'Universo eterno e immutabile, i Greci riconoscevano come evidente il fatto che storia e cultura mutassero sempre, ma solo all'interno dei rigidi confini della ripetizione infinita. In Il Cielo, Aristotele osservò che [si ripetono] non una volta sola né due, bensì un numero infinito di volte le stesse opinioni, e nella Politica fece notare che tutto è stato inventato diverse volte nel corso dei secoli o piuttosto un numero di volte imprecisato e, dal momento che egli viveva in una età dell'oro, il livello tecnologico della sua epoca aveva raggiunto il massimo che si potesse ottenere, impedendo un'ulteriore progresso. Gli individui funzionavano allo stesso modo delle invenzioni: le stesse persone nascevano continuamente nel cieco scorrere dei cicli dell'universo. Secondo Crisippo, gli stoici insegnavano che le precedenti esistenze delle stesse persone sono diverse dalle attuali solo estrinsecamente e accidentalmente; tali differenze non producono un uomo diverso rispetto al suo equivalente di un'altra epoca  52). Nell'universo stesso poi, secondo Parmenide, tutte le percezioni di cambiamento sono illusione perché l'universo è in un equilibrio statico di perfezione, increato e indistruttibile; perché è completo, immobile e infinito 53). Altri influenti filosofi greci di rilievo inoltre, come gli appartenenti alla scuola ionica, insegnavano che  nonostante l'universo fosse infinito e eterno, esso era anche soggetto a cicli di successione senza fine. Platone vedeva le cose un po' diversamente, ma anch'egli credeva nella ciclicità e nelle leggi eterne secondo le quali ciascuna età dell'oro era seguita da caos e tracollo.

                  Infine si può dire che i Greci insistettero nel tramutare il cosmo e più in generale gli oggetti inanimati, in esseri viventi. Per Platone il Demiurgo aveva creato il cosmo come una sola visibile creatura vivente. Quindi il mondo possedeva un'anima e per quanto solitario, era per virtù sua, capce di stare con se stesso, ed esso stesso conoscitore e amatore di se medesimo in modo adeguato 54). Allora se gli oggetti minerali sono animati, si sbaglia a tentare di spiegare i fenomeni naturali; le cause del moto degli oggetti ad esempio,  saranno ascrivibili a motori, non a forze naturali. E' possibile che siano stati gli stoici, in modo particolare Zenone, a sviluppare la visione che spiega il funzionamento del cosmo sulla base dei suoi scopi consci, ma questa divenne presto il punto di vista generale. Perciò secondo Aristotele i corpi celesti si muovevano circolarmente per la loro affezione nei confronti di quell'azione e gli oggetti cadevano a terra per il loro innato amore verso il centro della terra 55).

                Alla fine il sapere greco ristagnò nella propria logica interna. A parte alcuni ulteriori sviluppi della geometria, accadde molto poco dopo Platone e Aristotele. Quando Roma assorbì il mondo greco, ne abbracciò anche gli insegnamenti; studiosi greci prosperarono nel periodo della Repubblica e durante il regno dei Cesari. Ma l'apporto della cultura greca non fece progredire intellettualmente il mondo romano in modo significativo 56). E in oriente accadde lo stesso. A Bisanzio il sapere greco continuò a diffondersi ma non contribuì all'innovazione 57). Il declino di Roma non interruppe lo sviluppo della conoscenza umana, proprio come il recupero del sapere greco non permise che il processo ricominciasse. Il sapere greco fu una barriera per l'ascesa della scienza: non permise il progresso del mondo greco e di quello romano, e nel mondo islamico, dove si preservarono e studiarono con attenzione gli insegnamenti greci, soffocò lo sviluppo intellettuale.

 

6. Islam

                Potrebbe sembrare che il mondo islamico abbia un concetto di Dio adatto a favorire l'ascesa della scienza. Non è così 58). Allah non viene presentato come un Creatore giusto, ma è concepito come un Dio estremamente attivo che si impone al mondo come ritiene opportuno. Di conseguenza all'interno del mondo islamico si è formato un nucleo teologico che condanna con blasfemia ogni tentativo di formulare leggi naturali, perché esse negano la libertà di azione di Allah. Per questo il mondo islamico non accolse completamente il concetto secondo il quale l'universo possiede principi fondamentali stabiliti da Dio nella Creazione, ma sostenne che il mondo fosse retto in modo continuo dal suo volere. Se ne trova giustificazione nel Corano: Dio travia chi vuole e dirige chi vuole . Benché il versetto si riferisca al modo in cui Dio determina il destino degli individui, venne inteso in modo ampio e applicato a tutte le cose.

                Ogni volta che si solleva la questione della scienza e del sapere islamico la maggior parte degli storici sottolinea che nell'islam, attraverso i secoli, la cultura greca è rimasta viva e molto apprezzata quando, di fatto, nell'Europa cristiana non se ne sapeva nulla. Certamente è un'affermazione vera, com'è vero che alcuni manoscritti classici giunsero nell'Europa cristiana attraverso il mondo islamico. Ma il possedere tutte queste illuminazioni non portò a uno sviluppo intellettuale, per non parlare della nascita della scienza. Al contrario gli intellettuali musulmani in pratica consideravano il sapere greco, in particolare l'opera di Aristotele, come un testo sacro 59) a cui credere, piuttosto che da studiare.

                Il sapere greco soffocò qualsiasi possibilità di dare origine a una scienza islamica per gli stessi motivi per i quali ristagnava in se stesso: dei presupposti fondamentali antitetici alla scienza. Il Rasa'il, la grande enciclopedia del sapere prodotto dai primi studiosi musulmani, fece propria la concezione greca del mondo come un enorme, conscio, organismo vivente che possiede sia intelletto che anima 60). Nel XII° secolo nemmeno l'illustre filosofo musulmano Averroè (nonostante i tentativi di escludere tutte le dottrine mussulmane entrando in diretto conflitto con coloro che appoggiavano il Rasa'il) riuscì a contribuire in maniera significativa alla scienza. Al contrario Averroè e i suoi seguaci divennero degli aristotelici intransigenti e dottrinari; proclamavano infatti, che la teoria della fisica del filosofo greco fosse completa e infallibile e che se un'osservazione fosse risultata incoerente con una delle visioni aristoteliche, allora tale osservazione era sicuramente scorretta o illusoria.

                da tutto questo risultò che gli studiosi islamici fecero significativi progressi solamente in conoscenze specifiche, come accadde per alcuni aspetti dell'astronomia e della medicina. Discipline che non richiedevano nessuna base teoretica generale. Col passare del tempo poi, persino questo tipo di progresso cessò.

                E' chiaro quindi che nonostante la saggezza ricevuta, il recupero del sapere greco non mise l'Europa sulla strada dello sviluppo della scienza. Anzi a giudicare dall'impatto che questo tipo di conoscenza ha avuto su greci, romani e musulmani, sembra sia stato di capitale importanza il fatto che questo sapere non fosse stato fruibile prima che gli studiosi cristiani stabilissero una propria struttura intellettuale indipendente. Infatti quando gli studiosi medioevali si imbatterono per la prima volta nelle opere di Aristotele, Platone e degli altri filosofi dell'antichità, volevano ed erano in grado di contestarli. Gli scolastici progredirono verso la scienza proprio in esplicita opposizione ad Aristotele e agli altri autori classici. Gli intellettuali che nel medioevo non si occupavano di materie scientifiche (soprattutto coloro che svilupparono le arti e la filosofia speculativa) divennero ammiratori dei classici greco-romani in modo talmente appassionato che molti dei grandi scienziati del XVI e XVII secolo spesso affermarono formalmente di essere debitori nei confronti di Aristotele e degli altri filosofi dell'antichità, nonostante la loro opera in realtà negasse quasi tutto quello che i greci avevano detto a proposito del funzionamento del mondo.

                Con questo non s'intende minimizzare l'impatto che la cultura greca ha esercitato sulla teologia cristiana e in generale sulla vita intellettuale dell'Europa. Sant'Agostino ereditò l'intero patrimonio della filosofia greca e San Tommaso d'Aquino e i suoi riconobbero di essere profondamente debitori nei confronti degli studi ellenici. Ma gli elementi antiscientifici del pensiero greco vennero rifiutati da Sant'Agostino e dagli scolastici e, molto prima di essere confinato nei dipartimenti di studi classici, il sapere geco-romano non fu la filosofia degli scienziati. Ed è vero (e viene costantemente citato dai classicisti) che in una lettera del 1675 a Robert Hooke, Newton scrisse: Se ho visto oltre rispetto a te e a Cartesio l'ho fatto stando in piedi sulle spalle dei giganti, ma una così alta considerazione degli antichi né si esprime né si riflette nella sua opera o nel modo in cui si presenta solitamente. Al contrario, Newton e i suoi colleghi ottennero le loro conquiste scientifiche in ovvia opposizione ai giganti greci. Le preminenti figure coinvolte nel fiorire della scienza nel XVI e XVII secolo, compresi Cartesio, Galileo, Newton e Keplero, confessarono la loro Fede assoluta in un Dio Creatore, il cui creato ammetteva regole razionali che attendevano di essere scoperte.

                Lo sviluppo della scienza non risultò come il prolungamento del sapere classico. Fu la naturale conseguenza della dottrina cristiana: la Natura esiste perché è stata creata da Dio. Per amare e onorare Dio è necessario apprezzare a fondo le meraviglie del suo operato. Essendo Dio perfetto, il suo Creato funziona secondo principi immutabili, principi che dovrebbe essere possibile scoprire utilizzando a pieno i poteri della ragione e dell'osservazione che Dio ci ha donato.

                Queste furono le idee fondamentali che spiegano il motivo per cui la scienza nacque nell'Europa cristiana e in nessun altro luogo.

 

7. Innovazioni Morali

                I meriti di una teologia razionale non furono confinati alle scienze. Sin dagli albori infatti il cristianesimo fu inventivo anche nel concepire la natura umana e nell'affrontare le questioni di morale. Tra queste spiccano proposizioni riguardanti i diritti fondamentali dell'uomo, come la libertà. Alla radice di tali idee c'èra perfino qualcosa di più profondo: la scoperta dell'individualismo, del singolo.

                L'idea che l'individualismo sia stato scoperto sembra assurda alla mente moderna,  e in certa misura lo è. Normalmente tutti gli uomini si conoscono come creature distinte che necessariamente guardano al mondo da un punto di vista unico e le cui terminazioni nervose sono assolutamente singolari. Tuttavia vi sono culture che pongono in rilievo i sentimenti di singole individualità, mentre altre sottolineano la collettività, sopprimendo il concetto di individuo. In culture di quest'ultimo tipo, che sembra siano la maggioranza, il significato dell'essere di una persona è collettivo: tutti i diritti che gli individui possiedono non sono quelli loro accordati come singoli, ma come gruppo, e vengono a loro volta conferiti dal gruppo stesso. In tali circostanze nessuno pensa sono padrone del mio destino. Al contrario è l'idea di fatalismo a sembrare più vera: il destino di ciascuno va oltre il proprio controllo, perché del tutto determinato da forze esterne più grandi.

                Nemmeno i filosofi greci possedevano un concetto che equivalesse alla nostra nozione di individuo  61). Perciò quando Platone scrisse la Repubblica, la sua attenzione andò alla Polis, alla Città, non ai cittadini che ne facevano parte, anzi arrivò a denunciare perfino al proprietà privata. Il fulcro del pensiero politico cristiano è, invece, il singolo cittadino: un concetto che a sua volta diede vita in modo esplicito, alle visioni di filosofi politici europei successivi, come Hobbes e Locke. Si trattava letteralmente di qualcosa di rivoluzionario, perché l'accento che il cristianesimo pone sull'individualismo lo rende una cultura eccentrica rispetto alle altre 62). La libertà poi è un'altro concetto che semplicemente non esiste in molte (forse nella maggior parte), delle culture umane; in quasi tutte le lingue non europee non esiste neanche la parola libertà  63).

                Non sorprende nemmeno il fatto che le più avanzate tra queste culture accolsero la schiavitù e sostennero stati dispotici nei quali l'espressione diritti individuali dell'uomo, sarebbe risultata incomprensibile. Fino a quando rimase questo lo stato delle cose, mancò quella libertà fondamentale per la nascita del capitalismo. Per questa ragione, per trovare una spiegazione all'emergere della libertà e all'ascesa del capitalismo in Europa, è necessario innanzitutto comprendere in che modo e in quale momento gli europei svilupparono e accolsero concetti come individualismo, libertà e diritti umani.

 

8. L'Ascesa dell'Individualismo

                Si confrontino le tragedie di Shakespeare con quelle dell'antica Grecia. Come osservato da Colin Morris, Edipo non fece nulla per meritarsi la sua triste fine. Il suo carattere [...] è realmente irrilevante rispetto alla possibilità di determinare le sue sventure che furono invece decise dal fato, incurante dei suoi desideri 64). Questo non significa che Edipo fosse senza colpe, ma il suo crimine mancava di qualsiasi intento colpevole; semplicemente, egli cade vittima del suo fato. Al contrario, Otello, Bruto e Mcbeth, non furono prigionieri di un cieco destino: Come fece notare Cassio a Bruto: La colpa caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma di noi stessi 65).

                Sull'origine dell'individualismo si è scritto molto 66). Tutti questi libri e articoli sono dotti e perfino troppo eruditi, ma sono anche eccessivamente imprecisi e allusivi, forse a causa di una riluttanza nell'esprimere apertamente la loro tesi fondamentale: l'idea occidentale dell'individualismo fu sostanzialmente una creazione cristiana.

                Sin dagli albori il cristianesimo ha insegnato che il peccato è una questione personale che non appartiene in modo principale al gruppo, ma ciascun individuo deve occuparsi della propria salvezza. Probabilmente riguardo all'enfasi che il cristianesimo pone sull'individualismo, nulla è più significativo della dottrina del libero arbitrio. Se come scrisse Shakespeare, la colpa è di noi stessi, ciò avviene perché crediamo di avere la possibilità di scegliere, e la possibilità di scegliere bene. A differenza dei Greci e dei Romani, le cui divinità mancavano notevolmente di virtù e non si preoccupavano della cattiva condotta degli umani (se non quando questi non li propiziavano in un modo appropriato), il Dio cristiano è un Giudice che premia la virtù e punisce il peccato. Una tale concezione di Dio è incompatibile con il fatalismo. Insinuare il contrario significherebbe incolpare Dio dei propri peccati: sostenere cioè che Dio punisca i peccati ma ne sia anche la causa, il che è incoerente con l'intera prospettiva cristiana. L'ammonizione va e non peccare più , diventa assurda se siamo meri prigionieri del nostro fato. Il cristianesimo si fonda piuttosto sulla dottrina secondo la quale gli uomini sono dotati della capacità e di conseguenza della responsabilità di determinare le loro azioni. Sant'Agostino scrisse molto spesso che  noi possediamo un arbitrio, e che da ciò consegue che chiunque desideri vivere in modo retto e degno di onore, può riuscirci 67). E questo concetto non è incoerente rispetto alla dottrina secondo la quale Dio conosce in anticipo quali scelte faremo. Per confutare i filosofi greci e romani, Sant'Agostino scrisse: Affermiamo la conoscenza in Dio d'ogni cosa prima che accada, e la libera volontà delle nostre azioni; di esse abbiamo coscienza e consapevolezza che non accadrebbero senza la nostra volontà. Certo non affermiamo che ogni cosa avviene fatalmente; anzi neghiamo che avvenga qualcosa fatalmente 68). Dio sa come decideremo di agire liberamente, ma Egli non interferisce! Per questa ragione rimane a noi la scelta tra virtù e peccato.

                Il pensiero di Sant'Agostino echeggiò attraverso le generazioni del pensiero cristiano. San Tommaso d'Aquino ribadì i suoi insegnamenti quando affermò che la dottrina secondo la quale gli uomini sono liberi di fare scelte morali è del tutto compatibile con quella per cui Dio è onnipotente: [l'Uomo] può anche dirigere e governare i propri atti. Dunque la creatura ragionevole partecipa alla Divina Provvidenza non solo in quanto ne è governata, ma anche in quanto governa 69). Per la verità Agostino anticipò di molto il famoso motto di Cartesio : Cogito ergo sum in diversi punti della sua opera 70), compreso questo: Però della mia esistenza, della sua consapevolezza e dell'amore per la mia esistenza e per la sua consapevolezza ho una certezza assoluta estranea al gioco infido delle rappresentazioni e dei fantasmi dell'immaginazione. Per queste tre ragioni non temo affatto gli argomenti degli accademici, quando chiedono : "E se ti sbagli" ? Infatti se mi sbaglio esisto. Chi non esiste non può nemmeno sbagliare, quindi esisto se mi sbaglio [...]. Ne consegue che anche nel sapere che so non mi sbaglio. Infatti come so di esistere, così so anche questo, di sapere 71).

                Il concetto di libero arbitrio non ebbe origine con i cristiani (Cicerone espresse opinioni in qualche misura simili a quelle di sant'Agostino) 72), ma per loro non si trattava di un'oscura questione filosofica, anzi, divenne il principio fondamentale della loro fede. Così mentre i pagani greci e romani abbracciarono il fatalismo nonostante le riserve che alcuni antichi filosofi avevano espresso a questo proposito, Gesù insegnava che ciascun individuo doveva espiare i propri sbagli morali proprio in quanto scelte errate. Non esiste enfasi intellettuale posta sul singolo e sull'individualità più convincente di questa.

 

9. L'abolizione della schiavitù medioevale

                L'ascesa dell'individualismo non spinse solamente all'introspezione, ma sollevò anche questioni concernenti i limiti della libertà personale . Se siamo esseri unici e tutti saremo giudicati per le azioni da noi liberamente intraprese, qual'è il dovere dei cristiani nei confronti della libertà d'azione altrui ? Quando i padri della Chiesa analizzarono le implicazioni del libero arbitrio, in particolare dopo la caduta di Roma, si sentirono sempre più a disagio davanti all'istituzione della schiavitù.

                Il greco e il latino diversamente dalle lingue dell'Asia, hanno delle parole per esprimere il concetto di libertà e molti greci e romani si consideravano uomini liberi. La loro libertà però era contrapposta a una massa di schiavi, perché nell'epoca classica la libertà era un privilegio non un diritto.

                Platone era contrario a porre in schiavitù i suoi compagni elleni (greci), ma nella sua Repubblica ideale gli schiavi barbari (stranieri) avevano un ruolo essenziale, cioè compivano tutto il lavoro produttivo 73). Le regole stilate da Platone a proposito del dell'adeguato trattamento degli schiavi erano di fatto insolitamente brutali 74), perché egli non credeva che divenire schiavi fosse semplicemente una questione di sfortuna: per lui la natura creava persone servili che non possedevano le capacità mentali per far proprie la virtù e la cultura, ed erano adatte solo a servire. Platone sostenne poi che, sebbene gli schiavi dovessero essere disciplinati in modo severo per prevenire inutili agitazioni, in generale non dovessero essere trattati con eccessiva crudeltà 75). Come si evince dal suo testamento il filosofo possedeva cinque schiavi .

                Per quanto riguarda Aristotele poi, egli rifiutò la posizione avanzata dai sofisti secondo la quale ogni autorità si basava sulla violenza e quindi giustificava se stessa, perché cercò di condannare la tirannia politica. Ma allora come motivare la schiavitù ? Se non ci fossero schiavi che lavorano, osservò Aristotele, agli uomini illuminati mancherebbero tempo ed energia per inseguire virtù e saggezza. Inoltre attinse alle affermazioni biologiche addotte da Platone; la schiavitù è giustificata perché gli schiavi sono più simili alle bestie che agli uomini liberi: Fin dalla nascita alcuni sono destinati a obbedire, altri a comandare 76). Alla sua morte, le proprietà personali di Aristotele comprendevano quattordici schiavi.

                La schiavitù cominciò il suo declino negli ultimi giorni dell'Impero Romano, come diretta conseguenza della debolezza militare. Infatti non vi erano più comandanti vittoriosi che spedivano folle di prigionieri ai mercati di schiavi. dal momento che la fertilità era molto bassa fra gli schiavi romani a causa degli stenti e della penuria di donne, il loro numero diminuì rapidamente e di conseguenza, l'agricoltura e la manifattura furono presto affidate a lavoratori liberi.

                Dopo la caduta di Roma le spedizioni militari dei nuovi regni germanici conferirono nuovamente alla schiavitù un ruolo importante nella produzione. Sebbene nessuno sappia veramente quanti schiavi fossero presenti in Europa, per esempio nel VI secolo, sembra che  ce ne fossero molti e che il trattamento a loro riservato fosse, se possibile, più duro che in epoca classica. Nei codici di leggi dei vari gruppi germanici che governavano al posto dei Romani, gli schiavi non erano messi sullo stesso piano degli altri esseri umani, ma erano esplicitamente considerati alla stregua del bestiame. Tuttavia, diversi secoli dopo, la schiavitù vide il suo tramonto.

                Alcuni storici negano che la schiavitù fosse terminata nel medioevo e ritengono che si trattò solamente di uno slittamento linguistico per il quale la parola schiavo fu sostituita dalla parola servo 77). Ma in questo caso sono gli storici non la storia a giocare con le parole. I servi infatti non erano beni; avevano dei diritti e un sostanziale grado di discrezionalità. Sposavano chi volevano e le loro famiglie non erano soggette a vendita o a dispersione. Pagavano degli affitti che permettevano loro di poter controllare tempi e ritmi del lavoro 78). Se come avveniva in alcuni luoghi i servi dovevano ai padroni un certo numero di giornate di lavoro all'anno, i loro obblighi erano comunque limitati e più simili al lavoro dipendente che alla schiavitù. I servi erano certamente legati al padrone da molti vincoli, ma allo stesso modo il padrone aveva non solo obblighi nei loro confronti ma anche verso un'autorità superiore e così via, perché la natura del feudalesimo si fondava su reciproci accordi d'obbligo 79).

                Non si può certo affermare che i contadini medioevali fossero liberi nel senso moderno del termine, ma non erano nemmeno schiavi e per la fine del X secolo, la brutale istituzione era fondamentalmente sparita dall'Europa. Sebbene la maggior parte degli storici recenti concordi su ciò, si continua ad affermare che il cristianesimo non ebbe nulla a che fare con la scomparsa della schiavitù. Come osservò Robert Fossier: La progressiva eliminazione della schiavitù non fu in alcun modo opera di cristiani. La Chiesa predicava rassegnazione, prometteva uguaglianza nell'aldilà [e] non provava alcun senso di colpa nel possedere grandi mandrie di animali con volti umani 80). Neanche per George Duby la Chiesa ebbe alcun ruolo nel declino della schiavitù: Il cristianesimo non condannava la schiavitù; le inferse appena un labile colpo 81). Piuttosto è opinione comune che questa sia scomparsa perché divenuta un mezzo di produzione 82) poco vantaggioso e antiquato. Persino Robert Lopez accettò questo punto di vista, affermando che la schiavitù diminuì solamente quando il progresso tecnologico portato ad esempio, dall'introduzione della turbina idraulica rese gli schiavi inutili o improduttivi 83). Da ciò l'asserzione che la fine della schiavitù non venne decretata da una decisione morale, ma da puro interesse personale da parte di un'elite. la stessa affermazione è stata fatta a proposito della sua abolizione nell'emisfero occidentale. naturalmente entrambe le ipotesi sono coerenti con la dottrina marxista, ma in contraddizione con le realtà economiche. persino al tempo della guerra civile americana, la schiavitù continuava a esistere nel Sud ed era vista come un mezzo di produzione 84) abbastanza vantaggioso. Lo stesso era avvenuto nell'Europa d'inizio medioevo.

               Ma ora basta! Nell'Europa medioevale la schiavitù finì solo perché la Chiesa estese i suoi sacramenti a tutti gli schiavi e poi riuscì a proibire la schiavitù per i cristiani (e gli ebrei). nel contesto dell'Europa medioevale, quella proibizione divenne effettivamente un'abolizione universale.

               All'inizio la Chiesa sostenne la legittimità della schiavitù, ma lo fece mantenendo una certa ambiguità. Si pensi al più citato passaggio sulla schiavitù del Nuovo Testamento. nella Lettera agli Efesini (6,5-9) Paolo li ammoniva: Voi servi ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, in semplicità del vostro cuore come a Cristo, [...] poiché sapete che ciascuno sia egli schiavo o libero, se fa del bene, lo riceve dal Signore. Molto raramente chi cita questo passaggio con entusiasmo, continua citando anche il versetto che segue: Voi Padroni poi, fate lo stesso verso di loro, cessando minacce, poiché sapete che nei cieli c'è il Signore loro e vostro, e con lui non c'è riguardo per l'aspetto esterno. Nel messaggio cristiano è fondamentale il concetto secondo cui Dio tratta tutti allo stesso modo: ciascuno può essere salvato. per questo la Chiesa degli albori fu spinta a convertire gli schiavi e quando possibile, ad acquistare la loro libertà. Lo stesso papa Callisto, morto nel 326, era stato uno schiavo.

                Finché ci fu l'Impero Romano la Chiesa continuò ad affermare la legittimità della schiavitù. Nel 324 il Concilio cristiano di Granges condannò tutti coloro che incoraggiavano il malcontento tra gli schiavi 85), il che implica ovviamente che tali attività avessero luogo. Tuttavia le tensioni tra difesa della schiavitù ed enfasi posta sull'uguaglianza di tutti agli occhi di Dio continuarono ad aumentare e quando l'Impero crollò divennero persino più intense, perché la Chiesa continuò ad estendere il suo abbraccio a coloro che si trovavano in schiavitù, negando loro solo la possibilità di essere ordinati sacerdoti. Come altri, anche Pierre Bonnassie affronta la questione: Uno schiavo[...] veniva battezzato [e] possedeva un'anima. Era quindi inequivocabilmente un uomo 86).

                Quando gli schiavi vennero riconosciuti appieno come uomini e cristiani, i sacerdoti cominciarono a spronare i proprietari a liberarli come atto infinitamente raccomandabile che li avrebbe aiutati a garantirsi la salvezza 87). nei testamenti giunti sino a noi, si registrarono molte manomissioni. La dottrina che vedeva gli schiavi come esseri umani e non come bestiame, ebbe poi un'altra conseguenza importante: il matrimonio fra schiavi e liberi. Nonostante fosse contrario alla legge in quasi tutta Europa, dal settimo secolo si registrarono numerosi casi di unioni miste, che di solito coinvolgevano uomini liberi e donne schiave. la più famosa di queste unioni avvenne nel 649 quando Clodoveo II re dei Franchi, sposò la schiava britanna Batilde. Nel 657 Clodoveo morì e Batilde divenne reggente fino a quando il loro figlio maggiore raggiunse l'età per governare. Batilde sfruttò la sua posizione per organizzare una campagna che ponesse fine alla tratta degli schiavi e per riscattare coloro che si trovavano in schiavitù. Alla sua morte la Chiesa la proclamò santa.

                Alla fine dell'VIII secolo Carlo Magno s'oppose alla schiavitù e il Papa e molte altre voci potenti ecclesiastiche fecero eco a Santa Batilde. Al termine del IX secolo il vescovo Agobardo di Lione  tuonò : Tutti gli uomini sono fratelli, tutti invocano un'unico Padre, Dio: gli schiavi e i padroni, i poveri e i ricchi, gli ignoranti e gli istruiti, i deboli e i forti [...] nessuno è superiore agli altri [...]; non esiste [...] schiavo o uomo libero, ma c'è sempre in tutte le cose un solo Cristo 88). Nello stesso periodo l'abate di Saint Michael, Smaragdo, scrisse in un'opera dedicata a Carlo Magno: Re molto misericordioso, proibisci nel tuo impero nuove schiavitù 89). Presto nessuno dubitava che la schiavitù in sé, fosse contraria alla legge divina 90). Anzi nell'XI secolo San Vulstano e Sant'Anselmo condussero una campagna per eliminare le ultime vestigia della schiavitù rimaste nella cristianità e fu presto possibile dire che nessun uomo, nessun vero cristiano potesse in ogni caso essere più legittimamente considerato come la cosa di un'altro 91). Ma rimasero delle eccezioni tutte caratterizzate da ampi contatti  con il mondo islamico. In Spagna ad esempio gli eserciti cristiani e musulmani continuarono a rendere schiavi i reciproci prigionieri catturati in battaglia e a dispetto di quanto predicava la Chiesa, la tratta degli schiavi tra esportatori dell'Italia settentrionale e acquirenti musulmani continuò fino al XV° secolo. Si tratta comunque di piccole cifre. Questi schiavi venivano acquistati dalle tribù slave del Caucaso (la parola slave che significa schiavo in inglese è una corruzione della parola slav, slavo). Italiani molto ricchi come i Medici, ne possedevano alcuni come beni di lusso, ma la maggior parte venivano esportati nel mondo islamico: gli schiavi bianchi nel commercio con l'Egitto, erano più preziosi dell'oro 92). Il clero locale condannava periodicamente questi residui di tratta degli schiavi che scomparvero progressivamente per riapparire in abbondanza nel Nuovo Mondo. La Chiesa reagì energicamente e i Papi del XVI° secolo emisero una serie di bolle severe contro la schiavitù imperante nel Nuovo Mondo. Ma in quelle regioni i Papi non avevano alcun potere temporale e la loro energica opposizione non fu di alcuna utilità 93).

                La conclusione teologica secondo la quale la schiavitù è peccato, è presente unicamente nel cristianesimo (per quanto anche diverse sette ebraiche rifiutassero al schiavitù) 94). Anche in questo si può vedere all'opera il principio del progresso teologico che permette ai teologi di proporre nuove interpretazioni senza essere accusati di eresia. Come già osservato le altre grandi religioni sono fortemente orientate al passato e al principio che la storia è regressiva e le generazioni più giovani sono inclini all'errore. Perciò i buddhisti, i seguaci del confucianesimo, gli induisti e perfino i musulmani si rifiutano di concepire che saggi e santi delle epoche passate possano avere avuto una comprensione imperfetta o limitata delle verità della loro religione. Mentre i teologi cristiani potevano plausibilmente correggere la conoscenza di san Paolo sul volere di Dio a proposito della schiavitù, negli altri credi religiosi, tranne che nelle eresie, tali interventi erano (e sono) fondamentalmente impossibili. Un secondo fattore da prendere in considerazione è il fatto che tra le maggiori religioni del mondo, solamente il cristianesimo ha dedicato un' attenzione seria e intensa ai diritti umani invece che agli doveri. In altre parole le altre grandi fedi minimizzano l'individualismo e pongono l'accento sugli obblighi collettivi. Sono come ha osservato Ruth Benedct, culture della vergogna piuttosto che culture della colpa 95). Si ricordi che nelle lingue in cui i testi sacri di queste religioni sono scritte, compreso l'ebraico, non esiste nemmeno una parola, per libertà 96).

                per quanto riguarda il mondo islamico poi è presente una barriera invalicabile alla condanna teologica della schiavitù: Maometto comprava, vendeva, catturava, possedeva schiavi  97). Il profeta raccomandò di trattarli bene: Nutriteli di ciò che mangiate voi stessi e vestiteli di ciò che indossate voi [...]. Sono gente del Signore come voi e siate gentili con loro 98). Maometto liberò diversi suoi schiavi, ne adottò uno come figlio, e ne sposò un 'altra. Inoltre il Corano insegna che è sbagliato costringe[re] a prostituirsi le vostre schiave (Sura XXIV, 33) e che liberando uno schiavo si può ottenere il perdono per aver ucciso un credente (Sura IV , 92). Probabilmente nel mondo islamico l'ammonizione e l'esempio di Maometto, favorirono in molti casi condizioni migliori per molti schiavi rispetto alla situazione in Grecia e a Roma. Ma non venne messa in dubbio la moralità della istituzione della schiavitù. I teologi cristiani riuscirono ad aggirare l'ostacolo dell'accettazione della schiavitù presente nella Bibbia, ma probabilmente non avrebbero potuto farlo se Gesù avesse posseduto degli schiavi 99). Il fatto che Maometto ne avesse avuti, era agli occhi dei teologi musulmani, un fatto che rendeva impossibile il destreggiarsi con sforzi intellettuali anche qualora avessero desiderato farlo.

                Se il successo dell'occidente si fonda sulle vittorie della Ragione, allora l'ascesa del cristianesimo fu senza dubbio l'evento più importante della storia europea. Fu infatti la Chiesa a dare costante testimonianza del potere della Ragione e delle possibilità di progresso secondo il principio che potremo un giorno . E infatti fu così. La realizzazione di questa speranza non venne ritardata da secoli di ignoranza e superstizione come sostengono falsi racconti a proposito dei Secoli Bui . Il progresso intellettuale e materiale, si sviluppò rapidamente non appena gli europei sfuggirono dalla morsa invalidante della repressione romana e dal frainteso idealismo greco.

 


 
NOTE

 

[1] Jhon Locke , Saggio sull'intelleltto umano, Bompiani Milano 2004, Libro 3, Capitolo 10.

[2] Karl Rahner (a cura di), Sacramentum Mundi: Enciclopedia Teologica, Morcelliana, brescia, 1947-77 .

[3] Bradley S. Clough, Buddhism, in Jacob Neusner (a cura di), God, Pilgrim Press, Cleveland 1997, p. 57.

[4] Agostino, La città di Dio, Einaudi-Gallimard, Torino 1992, Libro 5, Cap 1

[5] Richard Bauckham, Jude and the Relatives of Jesus in the arly Church, T. & T. Clark, Edimburg 1990

[6] Tommaso d'Aquino, La Somma Teologica, traduzione e Commento a cura dei Domenicani Italiani, testo latino dell'ed. Leonina, A. Salani, Milano 1997, vol III, questione 28, art 3

[7] Quinto Tertulliano, De Paenitentia, in Tre opere parenetiche: Ad Martyras, de Patientia, De Paenitentia,  Centro di studi sull'antico cristianesimo, Catania 1961, p. 73

[8] Recognitions of Clement, Libro 2, Cap 69

[9]David Lindberg, Ronald L. Numbers (a cura di), Dio e Natura, Saggi storici sul rapporto tra Cristianesimo e Scienza, la Nuova Italia, Scandicci 1994, p. 16 

[10] Richard W. Southern, Medieval Humanism and Other Studies, Harper Torchbooks, New.York 1970, p. 49

[11] Steven Ozment, The Age of Reform, 1250-1550: An Intellectual and Religious History of the Late Medieval and Reformation Europe, Yale University Press, New-York 1980

[12] San Bernardo di Chairavalle (1090-1153)  

[13] Marica L. Colish, Medieval Foundations of the Western Intellectual Tradition, 400-1400, Yale University Press, New Haven, 1997

[14] Il Giudaismo riformato rifiutò l'autorità delle Sacre Scritture, per accogliere un'immagine di Dio molto vaga, troppo impersonale e remota per sostenere un discorso teologico

[15] Frederik M. Denny, Islam and the Muslim Community, in Earhart H. Byron (a cura di), Religious Traditions of the World, HarperSanFrancisco, San Francisco 1993, p. 612

[16] Mahmoud M. Ayoub, The Islamic Tradition in Willard G. Oxtoby, World Religions, Oxford University Press, Oxford 1996, p. 414 

[17] John Macmurray, The Clue to History, Student Christian Movement Press, London 1938, p. 113

[18] David Lyle Jeffrey, People of the Book : Christian Identity and Lieterary Culture, W.B. Eerdemans, Grand Rapids (MI) 1996, p. 12

[19] La Sacra Bibbia, Testo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, SEI, Torino, 1993, 1 Corinzi 13, 9

[20] Il Corano, Revisione e controllo dottrinale dell'Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia, Newton & Compton, Roma 2004, Sura II, Al-Baqara (La Giovenca), 2  

[21] Lindbeg Numbers, Dio e Natura, cit., p. 16

[22] Agostino, La Città di Dio, cit., Libro 22, Cap. 24

[23] Jean Gimpel, Costruttori di Cattedrali, Jaca Book, Milano 1992 p. 109

[24] Jean Gimpel, The Medieval Machine: The Industrial Revolution of the Middle Ages, Penguin Book, New-York 1976, p. 149

[25] Robert Hartwell, Historical Analogism, Public Policy and Social Science in Eleventh-and Twelfth-Century China, Tje America Historical Review, n. 76, 1971 p. 69

[26] Edward Grant, Le Origini medioevali della Scienza Moderna. Il Contesto religioso, Istituzionale e Intellettuale, Einaudi, Torino 2001; Hans Meyer, The philosophy of St Thomas Aquinas, B. Herder, St. Louis 1994

[27] Southern, Medieval Humanism, cit., p. 50

[28] Lindberg Nummers, Dioe Natura, cit., pp. 16-17

[29] Agostino, Le Confessioni, Einaudi, Torino 1984, Libro 12, pp 365-69

[30] Stephen D. Benin, The Footprints of God: Divine Accomodation in Jewish and Christian Thought , State University of New-York Press, Albany 1993, p 68

[31] John Calvin, John Calvin's Sermons on the ten Commandements, Baker Bookhouse, Grand Rapids (MI)1980 pp. 52-53

[32] per una sintesi vedi Rodney Stark, For The Glory of God: How Monotheism Led to Reformations, Science, Witch-Hunts, and The and of Slavery, Princeton University Press, Princeton 2003

[33] Marc Bloch, La Società Feudale, Einaudi, Torino, 1999, p. 102

[34]  Francis Darwin, Albert C. Seward ( acura di),  More Letters of Charles Darwin, vol I, Appleton and Co., New-York 1903, p. 95

[35] Aristotele, Il Cielo, Rusconi Libri, Sant'Arcangelo di Romagna, 1999

[36] I. Bernard Cohen, La Rivoluzione della Scienza, Longanesi, Milano 1988; Randall Collins, The Sociology of Philosophies :_ A Global Theory of intellectual Change, Cambridge University Press, Cambridge 1998; Harold Dorn, The Geography of Science, John Hpkins University Press, Baltimore 1991; Grant, Le origini medioevali della Scienza moderna cit. ; e PlanetsStars and Orbs: The Medieval Cosmos, 1200-1687, Cambridge University Press, Cambridge 1994; Toby Huff,  The Rise of Early Modern Science: Islam, China end The West, Cambridge University Press, Cambridge 1993; Stanley Jaki, Science and Creation, Scottish Academic Press, Edimburgh 1986; Thomas Kuhn, La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, Einaudi, Torino 1978; David C. Lindberg, The Beginning of West Science, Uniuversity of Chicago Press 1992; e La Scienza e la Chiesa delle Origini, in Lindberg Numbers (acura di), Dio e Natura, cit., pp. 1-37 ; Stephen F. Mason, Storia delle Scienze della Natura, Feltrinelli, Milano 1971; Otto Neugebauser, A History of Ancient Mathematiccal Astronomy, Springer-Verlag, New-York 1985 .

[37] In Alfred W. Crosby, La misura della Realtà: Nascita di un Nuovo Modello di Pensiero in Occidente, Dedalo, Bari 1998, p. 96

[38] Alfred North Whitehead, La Scienza e il Mondo Moderno, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 31

[39] Ivi, p. 30

[40] Ivi, p. 31

[41] David Lyle Jeffrey, By Things Seen: Reference and Recognition in Medieval Thought, University of Ottawa Press, Ottawa 1979, p. 14

[42] Cartesio, Oevres, Libro 8, cap 61

[43] Bertrand Russel, The Problem of China, George Allen & Unwin, London 1922, p. 183

[44] Questa nota manca nel testo ma non nell'apparato delle note; perciò l'ho inserita nel testo tra parentesi quadra [44).] . Comunque la nota 44, può essere considerata una estensione della nota 43: il suo contenuto potrebbe semplicemente essere aggiunto di seguito al contenuto della Nota 43, perché descrive la continuazione del passo citato nell'opera di Russel alla nota 43. Infatti essa dice: "Il passo citato dall'opera di Russell continua così" : Senza dubbio se i Cinesi riuscissero a instaurare un governo stabile e a impiegare fondi sufficienti, comincerebbero nell'arco dei prossimi trent'anni, a produrre opere notevoli nella scienza. Anzi è molto probabile che ci superino .

[45] Joseph Needham, Scienza e Civiltà in Cina, Einaudi, Torino 1981, p. 704

[46] Graeme Lang, State Systems and The Origins of modern Science: A Cmparison of Europe and China, East-West Dialogue n. 2, 1997, pp. 16-31

[47] In Mason, Storia delle Scienze, cit., p. 104

[48] Oltre ai testi originali citati, Grant, Le Origini Medioevali della Scienza Moderna cit.; e Planets, Stars and Orbs cit.; Jaki, Science and Creation cit.,; Lindberg, The Beginning of Western Science cit.; Mason, Storia delle Scienze, cit.

[49] Lindberg, The Beginning of Western Science, cit.

[50] Mason, Storia delle Scienze, cit.

[51] Lindberg, The Beginning of Western Science, cit., p. 54

[52] Jaki, Science and Creation, cit., p. 114

[53] Il testo completo si trova in Dennis Richard Danielson, The Book of the Cosmos: Imagining the Universe from Heraclitus to Hawking, Perseus Publishing, Cambridge (MA) 2000, pp. 14-15

[54] Platone, Timeo, Rusconi Libri, Milano 1994, p. 99

[55] Jaki, Science and Creation, cit. p. 105

[56] Lindberg, The Beginning of Western Science, cit.; Mason, Storia delle Scienze, cit.;

[57] Richard W. Southern, The Making of the Middle Ages, Yale University Press, New Haven 1953, p. 64

[58] Caesar E. Farah, Islam: Beliefs and Observances, Barron's Hauppauge, New-York 1994; Marshall G. S. Hodgson, The Venture of Islam, University of Chicago Press, Chicago 1974; Jaki, Science and Creation cit.; Seyyed Hossein Nastr, An Introduction to Islamic cosmological Doctrines, State University of New-York Press, Albany 1993

[59] Farah, Islam, cit., p. 199

[60] Nasr, An Introduction to Islamic Cosmological Doctrines, cit.

[61] Colin Morris, La Scoperta dell'Individuo (1050-1200), Liguori, Napoli 1985, p. 22

[62] Ivi, p. 22

[63] Moses I. Finley, L'Economia degli Antichi e dei Moderni, Mondadori, Milano 1995, p. 21

[64] Morris, La Scoperta, cit., p. 24

[65] William Shakespeare, Giulio Cesare, Garzanti, Milano 1993, Atto I, Scena 2

[66] Ad es. Aaron Gurevich, The Origin of European Individualism, Blackwell, Oxford 1995; Morris, La Scoperta, cit.; Walter Ulman, The Individual and Society in the Middle Ages, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1966

[67] Agostino, Il De Libero Arbitrio, Vita e Pensiero, Milano 1994

[68] In Agostino, La Città di Dio, cit., Libro 5, Cap. 9

[69] Tommaso d'Aquino, Somma Contro i Gentili, Utet Torino 1975, Libro 3, Cap. CXIV

[70] Robert Nisbet, The Myth of the Renaissance, Comparative Studies in History of Society, n. 15, 1973, p. 482

[71] Agostino, La Città di Dio, cit., Libro 11, Cap. 26

[72] Margaret Y. Henry, Cicero's Treatment of the Free Will Problem, Transactions and Proceedings of the American Philological Association, n. 58 1927, pp. 32-42

[73] Robert Schlaifer, Greek Theories of Slavery from Homer to Aristotele, Harvard Studies in Classical Philology, n. 47, 1936, pp. 165-204

[74] David Brion Davis, Il Problema della Schiavitù nella Cultura Occidentale, Società Editrice Internazionale, Torino 1975, p. 96

[75] Schlaifer, Greek Theories...cit.

[76] Aristotele, Politica, Rizzoli, Milano 2002, Libro I, p. 85

[77] Stephen P. Bensch, Historiography: Medieval European and Mediterranean Slavery, in Seymour Drescher, Stanley L. Engerman (a cura di), A Historical Guide tro World Slavery, Oxford University Press, New-York 1998, p. 231

[78] Robert william Fogel, Without Consent or Contract : The Rise and Fall of America Slavery, W.W.Norton, New-York 1989, p. 25

[79] Bloch, La Società medioevale, cit., e La Servitù nella Società medioevale, La Nuova Italia, Scandicci 1993; Davis, Il Problema della Schiavitù, cit.

[80] In pierre Bonnassie, From Slavery to Feudalism in South-Western Europe, Cambridge University Press, Cambridge 1991, p. 6

[81] Georges Duby, Le Origini dell'Economia Europea: Guerrieri e Contadini nel Medioevo, Editori Laterza, Roma-Bari 1992, p. 41

[82] Per una sintesi a proposito di questi punti di vista si veda Bonnassie, From Slavery cit., Pierre Dockès, Medieval Slavery and Liberation, University of Chicago Press, Chicago 1982

[83]  Robert S. Lopez, The Practical Trasmission of Medieval Culture, in David Lyle Jeffrey (a cura di), By Things Seen: Reference and Recognition in medieval Thought, University of Ottawa Press, Ottawa,1979, p. 138

[84] Alfred H. Conrad, John R. Meyer, The Economic of Slavery and Other Studies in Econometric History, Aldine, Chicago 1958; Richard A. Easterlin, Regional Income Trends, 1840-1850, in Harris Seymour (a cura di ), American Economic History, McGraw-Hill, New-York 1961, pp. 525-47; Robert william Fogel, Stanley L. Engerman, Time on The Cross: The Economic of American Negro Slavery, Little Brown, Boston 1974; Stark, For The Glory of God cit.

[85] Bloch, La Servitù nella Società Medioevale, cit., p. 104

[86] Bonnassie, From Slavery to Feudalism...cit., p. 30

[87] Bloch, La Servitù nella Società Medioevale, cit., p.107

[88] Bonnassie, From Slavery to Feudalism...cit., p. 54

[89] Vita Regia.

[90] Bloch, La Servitù nella Società Medioevale, cit., p. 101

[91] Ivi, p. 132

[92] Robert S. Lopez, Il Commercio dell'Europa Medioevale: il Sud, in Storia Economica si Cambridge, vol 2 (Commwercio e industria nel Medioevo), Einaudi, Torino 1982. p. 395

[93] Stark, For The Glory of God cit.

[94] Ivi

[95] Ruth Benedict, Il Cristianesimo e la Spada, Dedalo, Bari 1968

[96] Finley, L'Economia degli Antichi, cit. p. 21

[97] Bernard Lewis, Race and Slavery in the Middle East, Oxford University Press, Oxford 1990; William Montgomery Watt, Muhammad: Prophet and Statesmann, Oxford University Press, london 1961; Muhammad ad Medina, Oxford University Press, London 1965

[98] Murray Gordon, Slavery in the Arab World, New Amsterdam Books, New York1989, p. 19

[99] Dovrei legittimare questa osservazione osservando anche l'abilità di molti teologi protestanti nell'omettere il fatto che Gesù bevesse vino