IL LAVORO

(Giacomo zanella, Poesie, Firenze, Monnier 1933, p.56 ; poesia scritta nel 1865)

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Operaio Telecom nel Valdarno  (San Leo di Figline, FI)

                         1. Nell'ora che roseo

      Il cielo raggiorna,

      L'artiere sollecito

   All'opra ritorna:

                         Il mantice soffia;

    L'incude sonora

        A' torpidi annunzia

       Ch'è sorta l'aurora.

 

  2. Né germi s'insinua

      La luce feconda;

                 Simporpora il grappolo,

            La spiga s'imbionda;

     Di pronuba polvere

              S'impregnano i venti;

          Natura il Convivio

         Prepara a' viventi.

 

       3. Del raggio vivifico

     Industre rivale

       La rude materia

               Trasforma il mortale;

       La mano che docile

         Consente all'idea,

          Seconda né secoli

            La man di chi crea,

 

          4. All'astro che il rovere

          Indura sul monte,

              Compagni nell'opera

           Leviamo la fronte;

   All'astro benefico

          Che passa sotterra

           E dentro al topazio

        Il raggio rinserra.

 

      5. A colpi arrendevole

            Del nostro martello

       La rigida lamina

         Si torce in anello:

   Tagliata nell'acero

     Sorride la rosa:

               Serpeggia nel porfido

        La vite frondosa.

 

           6. Compagni ! Spontanei

         Voliamo al lavoro:

          Il tempo precipita,

         Il tempo è tesoro;

  Tesoro che d'ozio

            Lo spirito affranca,

                     S'addoppia a magnanimi,

         Usato non manca.

 

       7. I colpi rimbombino:

         La vita, com'onda

           Battuta dal turbine,

     Più fervida abbonda;

           Se taccia l'incudine,

      Se taccia la sega,

        Il campo rinselvasi

    E pane ci nega .

 

          8. Fuggiasco da' margini

         Del verde Missuri,

                 Da boschi, ove suonano

 D'

Europa le scuri,

        Più degna progenie

       Nel patrio retaggio

            Contempla succedere

        L'ignaro Selvaggio.

 

   9. Con fumidi aneliti,

    Con ala di drago

         Rompendo la cerula

  Quiete del lago,

                          Ascendere orribile

        Con folgori e tuoni

           Contempla il navigio

       De' bianchi coloni.

 

            10. Dell'arco che agli omeri

       Costante gli pende,

        Superbo col vomere

        La terra non fende;

   Non tonde la pecora,

       Non getta la spola;

               Da' campi, che il videro

   già sire, s'invola.

 

11. All' aure che corrono

        Frattanto l'Irlanda,

          Di rustici un popolo

         Che pane dimanda,

                             La vela discioglie

        Che a' fertili piani

        La porta nell'isole

    D'ignoti oceani.

 

12. Piangendo si tolsero

      All'ermo abituro:

       Nel core la patria,

           Negli occhi il futuro,

                              Pensosi nell'ansia

          D'un vivere incerto

              Dell'acque traversano

          L'immenso deserto.

 

 13. Conforto ed auspicio

    Ne' pavidi esigli

   L'antico vicario

   S'asside co'figli,

                    E dice: chi colloca

          In Dio la sua speme,

      Di sorte contraria

      Assalto non teme.

 

14. Se sterpasi il larice

    Dall'alpi native,

    A soli più tepidi

        Traslato non vive;

  Ma sotto ogni volgere

     Di cielo, i natali

        Alberghi ritrovano

        Gli erranti mortali.

 

          15. Pel suolo che in lagrime

     Ariamo a' tiranni

                 Che il dritto ci usurpano

  Alteri Britanni;

                                Per l'aere di nebbia

          Stillante; pel guasto

     D'ignobili tuberi

      Miserrimo pasto,

 

    16. Beate ne attendono

      Apriche contrade

       Fiorenti di pascoli,

   Opime di biade.

I fiumi che cadono

     Dall'alte pendici,

         Il turbine aspettano

     De'nostri opifici.

 

17. Di limpidi oceani

        Dal cheto cristallo

       Le selve purpuree

      Solleva il corallo,

    Che provvido agli esuli

                     D'un mondo che invecchia,

    A' giovani popoli

          Le sedi apparecchia.

 

   18 . Possenti d'industrie

    Sui fiumi remoti

                  Comporsi in repubbliche

       Io veggo i nepoti;

    Che grandi, pur memori

      Del nordico nido

               Che i padri lasciarono,

         Discendono al lido.

 

 19. Gioiosi risolcano

     La ricca marina,

   A' bruni tugurli

        Pensando d'Erina;

 E prodighi il carico

         Degli aurei vascelli

         Nel porto dividono

        Co' vecchi fratelli.

 

 

Raccolta delle pesche (San Leo, Figline Valdarno FI, anno 2000)

 

FINE

 

 

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