IL PRIMATO DELLA LINGUA TOSCANA PARLATA, NELL'EPISTOLARIO DI GIUSEPPE GIUSTI

Da: Giuseppe Giusti, Epistolario, Vol I, ordinato da Giovanni Frassi, Firenze, Le Monnier, 1859; pp. 1-480

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Giuseppe Giusti

 

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Cesare Fantacchiotti (FI 1844-1922), Monumento a Giuseppe Giusti (1809-1850),  poeta e scrittore, patriota, sito nella Piazza Giusti, a Monsummano Terme (Pistoia -PT-), paese natale del Giusti stesso. Il Monumento fu inaugurato il 20 luglio1979

                Dice Massimo d'Azeglio (1798-1866) rispondendo via epistolare al Giusti (1809-1850) :

                Se voi toscani voleste avere un po' di carità per i non toscani e dir loro le parole di lingua parlata, quando ne impiegan altre, si verrebbe a poco a poco a scrivere men male che non si scrive nel resto dell'Italia, ed a poco a poco s'acquisterebbe quest'unità .(287)  1] .

 

                Altrove, lo stesso D'Azeglio, ribadisce il concetto della necessità di studiare la lingua parlata toscana, sempre dicendo che i toscani dovrebbero scrivere tenendo conto anche della loro lingua parlata, e non solo di quella scritta : per esempio :

                Vo lavoricchiando alla 'Lega Lombarda'...ma voi si che dovreste occuparvene di un lavoro di questo genere: e lasciando stare i complimenti, sapete che libro utile fareste per la lingua, col vostro modo d'usare la lingua parlata e non quella di libri come fanno purtroppo (e non so perché) gli altri scrittori toscani; tanto che scrivono in Toscana come possiam scrivere noi in Lombardia, senza nulla di proprio, di speciale, di vivo, che proprio uno non se ne sa dar pace : e non dico se Manzoni ci s'arrabbia.

               Il bello è che la lingua e lo stile di quella vostra lettera, m'avea fatto pensare: ecco come dovrebbero scrivere i toscani, che ci potessimo imparar tutti, e a poco a poco, quei bei modi di dire, sarebbero usati e intesi da Susa a Reggio  (448-49)  2]

 

                Dal canto suo lo stesso Giusti, toscano di Monsummano (Pistoia-PT), amicissimo dei coniugi D'azeglio, di Alessandro Manzoni (1785-1873) e dell'amico di questi Tommaso Grossi (1790-1853), si preoccupa di studiare la lingua parlata del popolo, come dimostra la sua raccolta di proverbi, ma anche quando dice :

                Nell'Ottobre feci uno dei soliti giri per la montagna di Pistoia, dove raccolsi, voci, memorie, proverbi ; ascesi sino alle ultime punte degli Appennini che dividono il Toscano dal Bolognese e dal Modenese.

                Ma non solo la lingua, il poeta punta anche ai costumi popolari : Oltre ai proverbi voleva scrivere alcuni cenni sui costumi campagnoli, tanto delle montagne che delle pianure e inserire qui e là i rispetti e le tradizioni correlative  (355), naturalmente senza dimenticare gli studi classici perché la civiltà moderna è un ramo innestato sull'antica  (395) 2a], e specialmente, senza dimenticare Dante : voleva poi riunire gli appunti presi sopra a Dante e darli fuori in forma di lettere agli amici, nelle quali senza rifarmi tanto dall'alto, avrei voluto riunire ciò che è stato detto dai migliori sul divino poema, e manifestare il mio modo di vederci dentro (355)  3] .

 

                Poi bisogna avere le idee chiare, continua il nostro : cioè bisogna puntare a scrivere chiaro, una lingua toscana chiara che eviti sia chi critica il primato della lingua toscana perché non riesce a perdonare ai toscani di essere toscani; sia chi aspetta a bocca aperta, senza preoccuparsi di miglioria alcuna, tutto ciò che piove dalla toscana . In vista dell' obbiettivo di scriver chiaro, occorre :

                Scrivere senza servitù e senza licenza; battere le cose e risparmiare le persone; astenersi sopratutto dagli epiteti offensivi e dalle scappate poco amorevoli; guardarsi dal suscitare certe liti che sono state sempre la pietra dello scandalo tra noi toscani e quelli di Lombardia... scrivere correttamente fino allo scrupolo per non tirarci addosso le risate di quei tanti che non possono perdonarci il vantaggio di trovare in casa la lingua belle e fatta, e anco per non lasciare a denti secchi coloro che aspettano a bocca aperta tutto ciò che piove di toscana (359-60)  4].

 

                Ma proprio quelli di Lombardia, con in testa il Manzoni e il Grossi, hanno dato un nome significativo al Giusti, cioè Il Porta toscano; con la differenza importante dal Porta milanese, che il Giusti può farsi capire da tutto il resto d'Italia, e non solo dai milanesi; si noti qui la chiarezza di idee di questi uomini risorgimentali e ottocenteschi: per fare la lingua italiana bisogna puntare sui fondamenti della lingua toscana; meglio si potrebbe aggiungere, se come il Manzoni si sciacquano i panni in Arno . Ma leggiamo le parole e la logica del discorso dell'amico Tommaso Grossi, che scrive al Giusti :

                Se sapesse quanto spesso e in quali termini si parla di lei, in questo nostro paese: quante volte col Manzoni che va matto col fatto suo, andian recitando le sue cose: fra noi siamo soliti di chiamarlo 'il Porta toscano': e voglio pregarla di non adontarsi di vedersi posto al confronto con un poeta di dialetto, perché il nostro Porta può intenderlo nelle sue squisitezze come l'intendiamo noi lombardi; tiene un posto tant'alto da averne invidia chiunque nell'opinione nostra gli possa mettersi al passo.

                Ella ha il vantaggio di scrivere coll'evidenza, colle grazie, col nerbo, colla spontaneità del Porta ed essere inteso dappertutto, e di mandare attorno e di render comune tanta parte di codesta beata lingua toscana che ci tormentiamo a cercare invano pei libri e pei dizionari, che sappiamo benissimo che ci dev'essere, ma che è tanto difficile a trovare, chi non ha avuto il privilegio di respirar l'aria dei loro beati colli.

                In questo ella è superiore al Porta e noi siamo ben contenti di confessarlo e di godere del beneficio che il mirabile di lei ingegno sa fare, anche per questa parte dell'Italia nostra : in mezzo a tante bellezze di condotta, di pensiero, di che abbandono le sue poesie, dove non è raro di vedere le più alte verità compendiate in un frizzo e messe alla portata del popolo; è una gran delizia quella di trovar tutto fuso, un meraviglioso profumo di lingua e di stile (367-68)  5].

 

                 A fronte di tanti apprezzamenti e gentilezza dal nord, ma anche dalla toscana e dal napoletano e altre parti della nazione divisa in vari Stati, il Giusti, sia per sua indole filosofica, sia per dovere di rispondere alle sollecitazioni amichevoli e autorevoli, afferma più chiaramente il valore della lingua parlata rispetto a quella scritta, e l'importanza del popolo che la parla e la crea per sua parte :

                Chi vuole possedere veramente la nostra lingua, bisogna che faccia fondamento dei suoi studi, la lingua parlata....(372) 6], d'altronde per chi lavorano gli scrittori se non per chi non sa  (373)  7] ?

                Non so se le cose che scrivo siano popolari (perché prima bisognerebbe stabilire una volta per sempre, cosa sia il popolo); so che amo il popolo vero e che mi tengo a onore di battezzare nell'inchiostro i modi che gli nascono vivacissimi sulle labbra, e che molti non ardiscono di raccogliere, come se scottassero. per far lega d'interessi comuni, credo che bisogna prima accomunare il modo di trattarli, e fare accorti i semplici e i timidi che certe verità credute arcane più atte dei cieli, non sono poi tanto distanti dalla terra, come si crede, o come vorrebbero farsi credere.... . (370)  8] .

 

                La lingua toscana però, da un lato esiste come lingua comune della Toscana; dall'altro ha anche differenze; in particolare ci sono differenze tra ilFiorentinoil Senese e il Pistoiese; è dunque sbagliato, identificare il toscano, solo col fiorentino : tutto ciò, Giuseppe confida nella Lettera alla marchesa D'Azeglio :

                Badiamo bene di non scrivere nel dialetto milanese e molto meno in francese come disse voler fare. Scriva come scrisse l'ultima volta nella nostra lingua comune che ella sa benissimo, né creda che io accetti come moneta corrente la scusa che mi fece. E poi o che son diventato un pedante? Al vedere tutti gli altri popoli d'Italia, tengon noi toscani per una mano d'appuntatori di vocaboli;  colpa forse di certi chiarissimi pettegoli, che in questi ultimi tempi sono andati a rinfrancescare le liti suscitate dopo quella rovina della restaurazione; epoca di noia, di dispetto e di sonniloquio per chi era assuefatto da qualche anno ad aver ogni giorno tra mano un eroe comodissimo da celebrarsi a tempo avanzato e a un tanto il braccio, e che a un tratto, per quelle mutazioni, si trovava fuori d'estro e d'impiego.

                Spariti gli eroi scappò fuori la grammatica, tanto per far qualcosa per rammentarsi delle guerre, e i menestrelli attaccata la mandola e la lira (secondo le scuole) a un chiodo, si buttarono come un branco di piattole a incruscarsi e infarinarsi.

              Ora come Dio voleva s'erano chetati, ed ecco questi di qua a ristuzzicare il vespaio. A questo proposito se debbo confessarmi giusto, credo anch'io che la sede della lingua, sia qua, e che per poter dire di saperla a fondo, bisogna studiarla dalla viva voce di tutte le popolazioni di Toscana.

                E noti bene che questo è necessario a noi come agli altri. Ho detto di tutte, perché non è poi tanto vero che il Fiorentino parli meglio del Senese, né il Senese del Fiorentino, né il Pistoiese di questi altri due.

                Il Fiorentino è più arguto, più ampio, più vasto, più giocatore di vantaggio nel padroneggiarla; il Senese parla schietto, parco, limpido, grato all'orecchio; il Pistoiese ha un che di primitivo e di poetico.

                Che del rimanente la posseggono (la Lingua comune) tutti bene, e la differenza se mai non istà nel fondo della lingua, ma nel colorito diverso derivante dai costumi e dalle abitudini, in una vocale più larga e più stretta, in un 's' più o meno forte, in un 'v' più o meno arrotato, minuzie da farne conto fino a un certo segno.

                Che dall'altro lato bisognerebbe raggranellare tutte le gemme sparse a larga mano in tutti questi paesi, e si troverebbe di che arricchire il magazzino comune. Specialmente di modi di dire che sono i più importanti perché riguardano più da vicino lo stile e l'indole del popolo.

                Molto più che, conoscere a fondo una lingua, non istà tutta nel tenerla sulla punta delle dita dal primo all'ultimo vocabolo, come non consiste nell'avere in bottega tutte le pietre e tutti i metalli conosciuti, l'arte del gioielliere. Sta nel non iscompigliarla dipanandone la matassa; sta nel saperla fondere, ossia nel conoscere la tavolozza, come presso a poco dice famosamente quel caro ingegno del Porta; sta nel non usarla a rovescio, mettendo in bocca al servitore i modi del Padrone, o portando in cattedra la Commedia e la Tragedia in cantina; sta finalmente nel trovare il modo di adattarle al tempo che corre senza sciuparne la fisonomia.

                Anco qua sia detto a onore e gloria del vero, quelli che la spendono alla peggio, sono pochi, eccettuati appunto quei tali che dovrebbero saperne di più, poiché tirano via alla mercantile o la pigliano di sana pianta dai libri senza mai ringiovanirla con quella parlata, e così di progressiva che è, la trattengono lì ferma come un lago morto.

                Del resto o si sappia o non si sappia, a me è sembrata sempre una bambinata di noi toscani, quella di mettere a rumore il vicinato, gridare la croce addosso agli altri dello stivale, piantarsi in trono a suscitare la tirannia della chiacchiera. Noi a scrivere e a parlare correttamente, abbiamo lo stesso merito che ha un uomo diritto a non esser nato gobbo; e anzi per gli stroppiati vedi aperto asili di carità, mentre i ben disposti sono obbligati al doppio del lavoro e al servizio di chi è impedito. Io bado a dire a questi miei paesani : lasciamo andare le liti, i puntigli, le picche inutili e vergognose; e seppure vogliamo intestarci d'avere il primato tra i linguai, tiriamo a scrivere meglio che si può e poi chi l'ha a mangiare la lavi, come dice il proverbio . (377-80)  9] .

 

                Infine tutte queste premesse e preferenze metodologiche e contenutistiche che cercano studiare e registrare anche la lingua parlata, trascurata fino ad allora in favore della sola lingua scritta, trovano anche esplicita teorizzazione, sul modo di studiare la lingua popolare e sul modo di scrivere come conseguenza di tali studi :

                prima di tutto, quando si prende una parola o un modo di dire dal popolo, si badi a inserirlo nel contesto suo proprioper non svisare il contenuto(461-62)  10] ;

                poi, il vero scrittore, deve studiare anche la lingua parlatae non solo quella scritta : lo ribadisce rispondendo ancora una volta, al D'Azeglio, nel quadro di un giudizio positivo, sul libro dello scrittore, pittore e statista piemontese, dal titolo "Niccolò Lapi"  :

                Lo stile (del libro su Niccolò Lapi) mi pare schietto e facile; la lingua viva e andante, presa più dal popolo che dai libri, come dovrebbe fare ogni fedele scrittore. Nonostante, giacché avete tanta fiducia in me da desiderarlo, rileggerò il libro con la lente stitica d'un linguaio (se mi riuscirà); ma notate bene che io, se mai non sarò sempre daccordo con voi, non vi saprò citare 'pro domo mea' ne passi, né trattati; vi dirò unicamente senza l'orgoglio dittatorio di certi miei paesani, 'noi diciamo così' !

                Perché è vero che anch'io m'impanco a scribacchiare quelle corbellerie da famiglia, ma mi colga nella testa l'uggia e il grinzume della pedanteria, se non scrivo a orecchio presso a poco come fanno dell'arie imparate al teatro quelli che le ricantano per la strada; e siccome c'è chi non me lo crede, io tanto più sono obbligato a dirlo perché , o crederlo o non crederlo, è così.

                E' vero bensì (non voglio che la modestia dia un tuffo nella ciarlataneria) che ho tenuto sempre dietro alla lingua parlata, e di questa, tolte via poche grossezze, mi so fatto legge ed esempio. Se non fossi quella testa disordinata che sono, e se avessi tenuto esatto conto delle cose notate, a quest'ora avrei un diluvio di scartafacci, da passare per il numero uno dei cercatori e degli sgobboni.

                Dal naufragio di tanta carta [ N.d.r. : a causa di un incendio nella casa dello scrittore], s'è salvata una raccolta di Proverbi, presi dalla viva voce del popolo (avvertite bene, veri proverbi, cioè sentenze e non modi proverbiali), che ascenderanno a duemila sei o settecento. M'era saltato il grillo di pubblicarli, poi mi ritenne la poca maturità del lavoro, tanto più che tra i mille, ve n'è uno che dice: 'A far le corbellerie siam sempre a tempo' ; e quest'altro non meno calzante : 'Quel che non è stato può essere'.

               Tornando al nostro proposito non vi so dire  quanto abbia goduto vedendo che voi pure seguitate più volentieri le tracce della lingua parlata di quelle della lingua dotta. Chi si fa modello unicamente dei libri, è ne più ne meno come uno che pretendesse di doventare pittore sui quadri di grandi artisti senza confrontarli col vero. Perocché i libri, sapete meglio di me, che non sono altro che l'immagine scritta del loro autore, mentre nella lingua parlata si smarrisce il profilo di questo e di quello in una forma comune nella quale si contengono tutti i caratteri possibili. Quest'esatta regolartità delle scritture grammaticali, riesce fredda come certi visi nei quali non trovate da ridire se non questo: che non dicono nulla: e poi come fanno nausea certi tali che discorso facendo parlano in punta di forchetta, così fa cascar le braccia un libro scritto con affettazione di vocaboli e di modi scelti e come dicono, pellegrini.

               Oltre a questo (e se la dico grossa, perdonatemi), credo più facile ma più facile assai, scrivere com'è stato scritto che scrivere come si parla, e Dio volesse che ci potesse venir fatto. Ogni tanto qualche parola che non s'abbia sempre tra mano, ci fa bene, ma bisogna saperci dar l'aria di buttarla là come all'impensata... . (476-77)  11]

 

NOTE

 

 

Fonte :  Giuseppe GiustiEpistolario, Vol I, ordinato da Giovanni Frassi, Firenze, Monnier, 1859; pp. 1-480

 

1 :  p. 287 : Lettera di Massimo D'Azeglio a Giuseppe Giusti, Milano 13 novembre 1841 , pp. 286-87 ;

2 :  p. 448-49 : Idem, Palermo, 8 ottobre 1844; pp. 448-49

2 a : p. 395 : Lettera di Giuseppe Giusti al senatore Marco Tabarrini (1818-1898), s.d., pp- 494-96 ;

3 :  p. 355 : Lettera di Giuseppe Giusti al prof. Atto Vannucci, s.d., pp'. 353-56 ;

4 :  p. 359-60 : lettera di Giuseppe Giusti a Marco Tabarrini, s.d, pp. 359-61 ;

5 :  p. 367-68 : Lettera di Tommaso Grossi a Giuseppe Giusti, Milano 11 ottobre 1843, pp. 366-68 ;

6 :  p. 372 : Lettera di Giuseppe Giusti a Tommaso Grossi, s.d., pp. 368-75 ;

7 :  p. 373 : Idem ;

8 :  p. 370 : Idem ;

9 :  p. 377-80 : Lettera alla Marchesa Luisa D'Azeglio (moglie di Massimo Taparelli D'Azeglio o Massimo D'Azeglio), Pescia, 12 ottobre 1843; pp. 375-81 ;

10 : p.461-62 : Lettera di Giuseppe Giusti a Pietro Thouar, Colle (Val d'Elsa :?) 11 novembre 1844; pp. 461-62 ;

11 : p. 476-77 : Lettera di Giuseppe Giusti a Massimo D'Azeglio, s.d. pp. 472-80 .

 

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