Non grande ma bella, piena di un arcano e reverente silenzio, di una pace che fa pensare senza ambagi e senza reticenze ad un mondo migliore, dove l'anima ormai libera da passioni, da ansie e da egoismi, può finalmente godere di quella tranquillità che non può trovare altrove.

                Come non ricordare quando da fanciulli e poi da giovinetti ci avviavamo la mattina della domenica con passo lento, pieni di fede, verso la nostra chiesetta dove il parroco, Don Angelo, celebrava la santa messa? Le campane con i loro rintocchi cordiali e festanti chiamavano i fedeli e non cessavano di suonare finché non vedevano la gente incamminarsi al loro richiamo. Care e dolci campane! Voi ci avete chiamate nelle ore di giubilo e di festa e sempre accompagnaste i nostri cari all'ultima dimora; ma allora il vostro suono era triste e velato di malinconia, come lo erano i nostri volti rigati dalle lacrime.

                Ogni persona, sia nella gioia che nella tristezza ricorreva qui, entro le tue mura, vecchia chiesa, a ringraziare Dio e a cercare conforto.

                Come dimenticare la festa del Patrono il 1° agosto? Quel giorno, in un tripudio di fiori e di ceri, c'èra una di quelle feste come usavano allora, chiassose, piene di entusiasmo e di affetto, tra gente che si voleva bene serenamente e sinceramente.

                Ora quel tempo sembra così lontano, come lontana è purtroppo la nostra giovinezza. Ma tu o mia vecchia Chiesa, sei sempre lì a sfidare gli anni, con le tue mura annerite dal tempo e con le tue campane squillanti, che furono la gioia dei nostri giovani anni e richiamarono alla preghiera gli abitanti di un Palazzi ormai quasi del tutto scomparso. Tu fosti asilo sincero e amoroso per noi, fin da quando movemmo i primi passi e, chissà, il nostro ultimo respiro segnerà la fine di un tempo semplice e ingenuo, ma pieno di fede, di fascino e immensamente bello.