(Da. G. Papini, La spia del mondo , Firenze , Vallecchi , 1955 ; pp. 698-72).
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Giotto (1267-1337), Natività (1303-6) Cappella degli Scrovegni , Padova .
Riassunto: La Natività è un Idillio dal quale traspare tuttavia , a meglio guardare , la tragedia della Croce futura . Questa verità , sentita da vari pittori, ha avuto in Giotto, un interprete meritevole perché seppe esprimerla, come si vede nella Natività della Cappella degli Scrovegni a Padova , e nella Foto soprastante.
TESTO
La Natività, col suo Presepio idillico e semicampestre, rappresenta, nella geografia del Cristianesimo, l' Arcadia. Il Bambino sulla paglia, la Madre su di lui reclina, lo Sposo canuto e pensoso, il Bue e l' Asino coi musi sulla greppia, i pastori con gli agnelli, tutto concorre a creare un' atmosfera di letizia nella miseria, di pace familiare nel ricovero di fortuna, di buon convegno agreste alle porte di una città.
Sanno, i riguardanti, che si assiste alla nascita di un Dio, ma quel Dio sembra così piccolo, così fragile, così tenero, così muto e immoto che si pensa al Bambino, a un bambino innocente e bianco, assai più che alla Seconda Persona della Trinità, destinata a versare il suo sangue sulla terra.
E il Presepio è divenuto così uno scenario di favola pastorale, un tema per cromolitografie e cartoline illustrate, un dolce e colorito balocco per ragazzi impuberi e anziani. Non si ricorda che su quel Bambino in fasce pendono già le spade dei soldati di Erode, che quell' innocente appena venuto alla luce è già condannato a morte, che quell' infante, prima di giungere al mezzo della vita, sarà inchiodato sopra due tronchi di legno.
L' immaginazione cristiana ha voluto creare, con l' intimista e soave « composizione » della Natività, un contrapposto alla terminale tragedia della Passione. Anche sulla grotta di Betlemme, come sulla croce di Gerusalemme, regnano le tenebre ma quelle della nascita sono illuminate dal fulgore della cometa e rallegrate dal saluto di pace degli angeli.
In verità, per chi ha l' abitudine di riflettere, la Natività non è così idillica, tranquilla e festosa come l' hanno vista i pittori, i poeti, i figurinai e i semplici fedeli. Nell' idillio del Presepio è già presente la tragedia della Crocefissione 1). Tutta la vita di Gesù, dal suo primo apparire alla luce, al suo ultimo disparire nella nuvola, è parte necessaria della sua opera redentrice. L' Incarnazione, perciò, è già prologo e annuncio della Passione. L' opera redentrice, sin dall' inizio, è dolore e martirio, preparazione e promessa di morte.
Non soltanto il Bambino pur mo' nato è già sotto la minaccia d' una condanna voluta dal Re ma le delicate membra di quel corpicino candido e morbido sono, in realtà, una prigione. V' è dentro incarcerata, e cioè sofferente, l'anima di un Dio. Si rifletta un momento al significato tremendo di questa prigionia.
Immaginate che uno di voi , uomo nella pienezza del suo vigore e del suo spirito sia ad un tratto trasmutato e rinchiuso nel corpiciattolo minuscolo e vile di un quasi invisibile verme del terriccio vegetale, condannato a strisciare lentamente sul proprio ventre, condannato a vivere dentro l' oscurità delle zolle motose, destinato a esser reciso dalla vanga o dal vomere.
Immaginate un solo istante la vostra tortura se in quel miserando vermiciattolo persistesse la vostra coscienza e la vostra memoria di uomo spirituale e pensante. Una degradazione indicibilmente più grande e perciò più dolorosa è quella di un Dio infinito, onniveggente, onnipotente che, sia pure per sua volontà, si trovi a rivestire ad un tratto la forma e la carne della creatura umana, soggetto alle servitù e alle miserie dell'umana condizione. Anche il corpo tenero e perfetto di un fanciullo è, per l' anima di un Dio, una muda immonda, un lordo e peso involucro, un' armatura di tormenti.
Già Platone gemeva sull' anima umana, spirito immortale, imprigionata nel corpo. Ma qui, nel caso di Cristo, si tratta di ben altro: è nientemeno l' infinito recluso nel finito, il perfetto abbassato nell ' imperfetto, il verbo eterno racchiuso nell' Uomo dei Dolori, nel vero uomo che sarà battuto e sputacchiato, schiaffeggiato e trafitto.
Le sofferenze di Cristo cominciano, dunque, con la sua nascita; il Bambino, anche nella zana rustica e vegliata dalla Madre, è già il Christus Patiens, il condannato, il martire 2) . E altro ancora è da notare nella scena che sembra, ai semplici, tanto semplice.
Anche la Natività, come tutti gli accadimenti della vita del Redentore -nessuno eccettuato- è una sacra rappresentazione di simboli. Intorno al Re del Mondo che giunge nel Mondo son raffigurati i vari ordini della vita, distinti in triadi non casuali.
Son presenti, prima di tutto, i tre ordini degli esseri: in alto gli Angeli, creature tutte spirituali; più in basso le creature umane - Maria, Giuseppe, i pastori- corporei e spirituali insieme; infine gli animali -il Bove, l'Asino, gli Agnelli- che sono il più umile grado dei viventi.
Vi son poi i tre ordini della vita umana: la Puerizia, rappresenta dal Bambino; la Gioventù impersonata nella Vergine Madre; la Virilità, simboleggiata da Giuseppe e dai Pastori.
Vi sono poi le tre caste fondamentali del popolo : i poveri in figura di Pastori, la media classe operosa in persona dell ' artigiano Giuseppe, i savi e i potenti che verranno sotto le spoglie dei Re Magi.
Tutta la vita, dunque, in tutti i suoi ordini e gradi, dagli spiriti angelici alle bestie dei campi, è presente all' apparizione di Colui che veniva per offrire la sua innocenza e la sua vita per vincere il peccato e la morte.
Giotto nella sua Natività padovana , esprime sia l' aureola cosmica che il presentimento della Croce , emananti dal presepe.
Alcuni dei più illuminati pittori italiani dei secoli felici dell' arte hanno sentito, per divinazione poetica, l' aureola cosmica che recinge la piccola ecclesia del Presepio. E tra questi pittori -uno dei primi, uno dei più espliciti- è Giotto.
Giotto non fu soltanto il redentore dell' arte pittorica dai peccati di ripetizione e di omissione della gelificata iconografia orientalizzante, ma fu uomo di campagna e di borgo, uomo di contado e di popolo. Il suo realismo rivoluzionario non si avvilirà nel veristico frastaglio che appesantì e oscurò la pittura moderna. Vedeva, sentiva e rappresentava la natura ma con quella evidenza sintetica che non ricorre alla superflua e apparente dovizia dei particolari. Una rupe bigia e nuda, un cespuglio fiorito, un cipresso nero eran bastanti al suo genio per creare la ben definita maestà di un paesaggio. Quando volle dipingere, in quella Cappella degli Scrovegni -ch ' è la più semplice e perfetta « storia di Cristo » dell' arte italiana- le scene della Natività, ebbe un chiaro presentimento del significato profondo di quel primo atto della soprannaturale tragedia cristiana. Guardate, ad esempio, l' episodio saliente e centrale della discesa divina del Fanciullo. Giotto ha rifiutato la tradizione della grotta e della stalla per collocare la scena in una rozza capanna di travi, aperta al vento della notte. La Vergine non è seduta o inginocchiata in atto di adorazione come si vede in tante pitture della Natività ma è quasi distesa, protesa sopra il frutto del suo ventre, quasi volesse covarlo, proteggerlo, salvarlo. Ella sa, la senza colpa, la predestinata Donna dei Dolori, che quel primo fiorire della sua creatura non è una festa ma il prologo d' una storia di lagrime e di sangue. Il suo bel viso giovane è soffuso di affetto ma non di vera letizia. Ella già prevede, nel suo gran cuore di Madre, la prossima fuga per sottrarre il suo nato alle spade dei sicari; indovina già, forse le offese dell' ultima settimana, la gemente salita sulla Via della Croce. Più in basso, sotto il giaciglio, al centro della composizione è il santo vecchio che ha creduto nella purezza della sposa e della madre di Dio. Giuseppe è seduto e sostiene con un braccio il capo canuto. E' mesto e cogitabondo: anch'egli sa che la venuta della nuova creatura sarà il principio di una dolorosa vicenda che soltanto dopo l' atroce morte del protagonista darà luce e salvazione. Alla sua sinistra s' intravedono i musi pazienti del bue e dell' asino, di quegli animali schiavi e martiri che più docilmente aiutano le fatiche dei poveri. Ai suoi piedi, come se anche Giuseppe fosse un buon pastore stanco, si adagiano gli obbedienti agnelli recati in dono a Colui che sarà detto, un giorno, l' Agnello di Dio. Un agnello simile a loro sarà imbandito a Gesù ed ai suoi amici la sera dell' Ultima Cena. Dall'altro lato stanno in piedi due pastori, due soli e d' uno solo di essi s' intravede il volto. L'altro, coperto dal suo cappuccio scuro e dal suo mantello chiaro, sta dritto e immoto come una statua in contemplazione. Sopra il tetto della capanna si accalcano, quasi proni per meglio essere uditi dagli uomini, gli angeli annunziatori e uno di loro sporge il volto dall' orlo delle travi e par che rivolga la sua apostrofe di pace al pecoraio immobile ammantellato. Il beato cittadino del paradiso , uno dei primogeniti del Creatore, si abbassa fin quasi al viso invisibile ma certamente estatico del povero guardiano degli animali .
La distanza tra il cielo e la terra , in questo affresco di Giotto, è raccorciata. Un Dio è disceso in una capanna ch' è stalla; uno dei compagni di Dio parla a uno dei più umili e dimenticati abitatori della terra. Si chiude così con l' amorosa saldatura tra il mondo celeste e il mondo umano, l' anello del sublime mistero della natività .
FINE
1 : crf. : Il Natale come prima profezia della Croce .
2 : Idem .