TOMMARIO MATTEUCCI

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2. La casa principale di Poggio Bonetto. 3 (3 e 4) : Il Poggio detto Poggio Bonetto  .
1 Tommario con la moglie e la nipote
5 Un appunto, che da solo  l'idea della calligrafia di Tommario 4
6 Poggio Bonetto, dipinto dal maestro Lido Chieli, amico e parente dei Matteucci (Sansepolcro, Arezzo).

 

                 Veniva da un luogo di montagna dove l’aria era pura, l’acqua limpida, buona la vegetazione e selvaggi gli animali. Era un luogo bello, ma per chi doveva viverci per sempre tra un inverno e l’altro, sperimentava sulla sua pelle l’altra faccia della medaglia:

                quei campi di montagna, tra le profonde e aspre valli dell’Appennino, rendevano quanto basta per vivere e qualcosa dopotutto avanzava; a patto però, che mai ci si dasse vera tregua: bisognava sempre stare all’erta, per seguire il bestiame, le semine e i raccolti, l’andamento degli orti e della famiglia: sarebbe bastato un errore, un intoppo della mala stagione, un  imprevisto burocratico, una malattia e se ne sarebbe risentito eccessivamente. Lo spettro della fame e della miseria, se era allontanato a dovere dalla laboriosità proverbiale e costante di due famiglie che si aiutavano a vicenda, tuttavia non veniva mai sepolto definitivamente.

                 In conclusione, quei luoghi di montagna dello zio, venivan chiamati dal popolo del Casentino: Poggio; e poi per meglio precisare, lo stesso popolo nominò il medesimo Poggio: Bonetto : Poggio Bonetto (Foto 3-4). E la gente aveva ragione. Questo nome, Poggio Bonetto, bene si addice a quelle due case isolate della Valle Santa, sotto il Santuario della Verna. Infatti, si tratta di posti privilegiati, dove la campagna è sia ben vestita che ben soddisfatta di se, onde non c’è dubbio che è vera campagna così come non c’è dubbio, che è campagna toscana e pedemontana.

                                 Li dunque nacque Tommario, li visse allevando la famiglia e coltivando i campi, insieme al fratello. Poi il mondo cambiava: le città offrivano ricchezza con molte parole e anche qualche dato di fatto. E pure Tommario, come molti, volle verificare negli anni settanta-ottanta.

                Si trasferì perciò a Firenze a fare il Carpentiere, finché con quei guadagni costruì la casa nuova a Bibbiena. E in gran parte, si dice, che questa casa la edificò con le proprie mani, almeno in tutto ciò che  poteva risparmiare e far bene, anche da solo.

                Tutti ammiravano le sue capacità lavorative sia da agricoltore che da carpentiere. Egli aveva uno stile inconfondibile: un senso del ben fare dove la perizia e l’ordine erano si il presupposto fondamentale; ma questa perizia e questo ordine dovevano anche avere un risvolto estetico: cioè il lavoro ben fatto, se era tale, doveva esser gradito anche allo sguardo dello spettatore. Perciò non bastava far bene, ma l’opera bisognava che  risultasse gradita a chi guardava, chiunque fosse stato.

                Questo modo di lavorare di Tommario, aveva pure dei segni concreti, parte intima di se, come ad esempio il modo di scrivere: la sua calligrafia (Foto 5), era conosciuta da familiari e parentado, per la grazia, la pulitezza, la prestanza e leggiadria sicura del segno. Se scriveva degli auguri pasquali o natalizi, allora si ingegnava di dare il meglio, e sembrava opera di un esperto cancelliere.

FINE

 

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