LA GENESI STORICA DELL'ODIERNA CRISI SOCIALE ED ECONOMICA

Da : totustuus.net, a sua volta da : Giuseppe Toniolo,  Opera Omnia , Città del Vaticano, 1947, pp.105-197,  a)

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Introduzione

Testo

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Giuseppe Toniolo (Treviso 1845-Pisa 1918) al centro, in età giovanile :
 
quale economista, ha alle spalle la bilancia della economia generale, la quale pende verso destra, a causa dello scivolare momentaneo della Fortuna (Dosso Dossi, Allegoria della Fortuna 1535-38 Olio su tela, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum) : la sua epoca infatti fu quella del liberalismo ascendente e selvaggio; cioè quel periodo della nostra storia, che oggi erroneamente si vuole ricreare a livello globale, poiché ha subito una notevole sconfitta, a livello nazionale e continentale (Italia, Europa, America del Nord...). ....
 
INTRODUZIONE

 

                    Il saggio dal titolo La Genesi storica della odierna crisi sociale ed economica è del 1893, Giuseppe ha 48 anni  e dal 1879 insegna quale ordinario, Economia Politica all'Università di Pisa . La sua è anche una battaglia contro il riduttivismo della concezione dell'Uomo : per cui se nel 1873 in Dell'elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche , ristabiliva già maggiore realismo dimostrando che l'interesse personale non è l'unico fattore dinamico nel meccanismo della Società economica, per quanto esso sia importante; in questa sede che cerca i motivi della Crisi odierna, dimostra come il rinascimento e la riforma protestante [da cui discendono le tre rivoluzioni : Tedesca (1524), Inglese (1648-88), Francese del 1789] avendo ridotto l'uomo scindendo Fede e Ragione, e perduto poi per questo errore e le sue conseguenze,  l'Ordine cristiano complessivo, basato sulla solidarietà e moralità secondo l'Evo Medio, si è prodotta una Crisi prima di tutto morale e sociale, i cui termini sono l'arricchimento di pochi da un lato; e la povertà e miseria di numerose masse, dall'altro . Per uscire dunque da tale Crisi di ordine sociale e spirituale prima che economico, bisogna ricostruire in qualche modo l'ordine cristiano perduto, basato sulla Solidarietà fraterna e il valore, la collaborazione, la Fede .

 

TESTO     

 

 

                «I popoli s'agitano, ma Iddio li conduce» diceva sapientemente Bossuet. Ma di mano in mano che sotto la guida della Provvidenza le nazioni procedono nella civiltà, si fa più vivo per esse il bisogno di meditare umilmente sopra queste vie recondite provvidenziali per riconoscere il punto di partenza e quello di arrivo, nonché le tappe intermedie del loro lungo cammino nei secoli, non già per sostituirsi a quell'azione direttiva del sovrannaturale, ma per cooperarvi con più illuminata docilità e con più virili propositi. Ciò diviene più urgente in certi momenti critici della storia in cui il fitto della battaglia più intorbida la vista della meta e insieme più rende decisivo non prendere errore sopra le ultime mosse che daranno o torranno la vittoria. Che la civiltà moderna versi e quasi rimanga in bilico sospesa in uno di questi momenti supremi che decideranno del suo avvenire, ognuno si avvede. Ma può dubitarsi (e le prove pratiche non difettano) che il complesso degli uomini colti ed anco taluno fra gli studiosi di professione, al di là di cotale intuizione indeterminata, si rendano conto, in questa tempesta perigliosa, del punto di orientamento con quella esattezza rigorosa, in cui è conoscenza riflessa o scientifica e da cui derivano i forti e salutari proponimenti. Tentarlo è ufficio di scienza: riuscirvi può essere contributo alla pubblica salvezza. Al quale scopo occorre, attraverso la complessità delle cause seconde influenti sulla società, risalire alle cause prime della civiltà e queste seguire nel loro svolgimento storico concreto e in esso scorgere e misurare la gravità del pericolo acciocché non sia inferiore o meno adeguato il rimedio.

 

                Per cogliere e designare nella sua fisionomia l'attuale momento storico, occorre prendere le mosse dai tratti caratteristici dell'evo medio e porli a riscontro con quelli dell'età nostra. Il medio evo si contrassegna nell'ordine dei fatti per una molteplice varietà d'istituzioni e di manifestazioni sociali, economiche, politiche, figliate gradualmente dal concetto della legge morale e quindi dal sentimento della libertà in ordine ad essa e coordinate sistematicamente ad unità di rapporti universali nella repubblica dei popoli cristiani, sotto il governo della ragione spirituale della civiltà, custodite e rappresentate dalla Chiesa col pontificato. Nell'ordine del sapere quell'epoca storica analogamente si distingue per vigoria multiforme del pensiero, coordinato però ad unità sistematica sotto la direzione suprema delle dottrine speculative ed etiche, armonizzate alla fede nella scolastica cattolica. Nell'odierno momento storico la fisonomia che va ogni di più designandosi nel civile consorzio, presenta linee e movenze affatto opposte sia nell’ordine reale che in quello ideale. Nei rapporti ed istituti di fatto già si scorge il tessuto di una organizzazione universale la quale, a scapito della legittima libertà e dietro lo spirito invadente di eguaglianza, va facendosi ognora più stretta, artificiosa, uniforme, sotto le minacce delle associazioni cosmopolitiche del socialismo popolare che alla lor volta giustificano e sospingono le tendenze assorbenti del socialismo di Stato, in mezzo a cui, frattanto, acquistano predominio crescente le ragioni della forza rappresentata dalla prepotenza materiale delle moltitudini e dalla onnipotenza delle leggi coercitive. Nella scienza analogamente un gran corpo sistematico di dottrine informato ad unità di metodi e di leggi naturali-positive nel quale le scienze dello spirito trovansi mancipie di quelle della natura fisica e si perdono nella enciclopedia materialistica dell'evoluzione. Ciò che si disegna oggi dì è la negazione completa dell'ordine sociale e dell'ordine intellettuale cristiano-cattolico; germinato e condotto a mirabile sviluppo nell'età di mezzo.

 

                Risalendo però al processo storico di questa profonda opposizione nell'ordine sociale di civiltà, si giunge a riconoscere che l'attuale momento non è che l'ultima fase di un grande ciclo che ha cominciato con la riforma religiosa germanica all'esordire dell'evo moderno e arriva a quest'ultimo scorcio del secolo XIX. E ciò sì nel rispetto dello svolgimento dei fatti, che in quello delle idee in relazione a tutti i rapporti dell'incivilimento, compresi quelli sociali-economici.

 La proposizione, che qui si anticipa solo a maggior comodo di esposizione, è il responso induttivo finale di una serie d'indagini fornite del più alto grado di certezza, perché non solo apprestate per la maggior parte da una critica obbiettiva e severa, ma istituite simultaneamente da uomini che, essendo guidati da intenti e anco da spirito dottrinale diversi, si trovarono condotti allo stesso risultato. In specie ad essi contribuirono i cultori della storia civile sulla Germania nell'età moderna, sul popolo inglese, sulla rivoluzione francese, (1) aiutati dal fervore degli studi sul rinascimento (2) in contrapposto all'età medioevale pur essa storicamente rinnovata e rivendicata: studi maggiormente oggi favoriti da quell'indirizzo più recente e fecondo che generò la storia sociale ed economica delle popolazioni, (3) fondamento e ragione della storia puramente politica, e completati nell'ordine del pensiero dai valevoli contributi della storia della scienza. Allo stesso termine conversero, con molteplicità e profondità di studi, gli economisti, più specialmente volti a ricercare la genesi dell'odierna economia capitalistica (4) e finalmente con audacia non iscompagnata da pazienza indagatrice vi concorsero dottrinari socialisti o storici critici del socialismo per seguire il filo dei conati e dei pensieri di riforme sociali. (5) In questa copia e varietà di contributi non rimane che riannodare le somme conclusioni, anche solo dei più attendibili e valenti, per giungere a quella conclusione gravida di ammaestramenti in ordine alla crisi sociale odierna che sovraincombe.

 

                Il movimento sociale che, come si disse, aprivasi con la riforma e che oggi sta per chiudersi, ebbe un corso di preparazione universale, in cui si devono rintracciare i germi di un successivo volgimento morboso, ed è quello che si dinota col nome di rinascimento, e che, spuntato in Italia anticipatamente, viene a fiorire in generale nel secolo XV.

Apparso dapprima come un risveglio letterario, e filologico che volgevasi a immediato e più amoroso studio della cultura classica di Grecia e Roma, esso si risolve in breve in un vero moto sociale-civile, il quale abbraccia tutto l'ordine del pensiero e delle istituzioni. Esso, nelle ultime sue tendenze, mira ad affermare il dominio della ragione sciolta dalla fede nel ciclo della scienza e a propugnare un ordine di rapporti puramente umani affrancati dal sovrannaturale positivo nella società e nella vita dei popoli. Perciò, con sicurezza d'intuizione e rigore scientifico, questo moto ricevette la espressione di umanesimo, perocché esso faceva dell'uomo, con la sua ragione, il principio e il fine di ogni sapere, e del pari faceva dell'uomo, colle sue utilità personali racchiuse nel tempo e nella natura, il principio e il fine di ogni costituzione ed operosità sociale. Perciò esso si risolveva in una sostituzione della civiltà pagana, prodotta dallo spirito e dalla esperienza umana, alla civiltà cristiana, generatasi sotto l'azione della religione rivelata, che dei suoi dogmi, della sua morale, della sua carità e dei suoi superni presidi, informava, non meno che la scienza, tutto l'essere e la vita dei popoli.  Certamente il programma dottrinale del rinascimento si enuncia solamente per gradi, né esso, nelle applicazioni sociali, trionfa senza dissensi e contrasti. Studi recenti hanno distinto anzi nettamente il buono dal malo rinascimento. Quello tendeva, col rifrescato culto del classicismo, a sottoporre un più largo piedistallo al sapere cristiano che la ragione avvalora e sublima e non punto soffoca o condanna, nonché a garantire e integrare viemmeglio gli ordini cristiani della società mediante un più diretto legame con gl'istituti civili greco-latini, i quali, con l'impero di Roma, erano già stati provvidenzialmente una preparazione al trionfo universale del cristianesimo. E tale indirizzo è promosso dai papi (continuatori in ciò delle tradizioni risalenti già ai santi padri), ed è rappresentato in Italia primamente da Petrarca, Manetti, Traversari, L. Bruni, F. Barbaro, Vittorino da Feltre; in Germania da Niccolò di Cusa, Wimpfeling Reisch, Geiler, G. Biel e G. Tritheme. Ma non fu questo sano indirizzo del rinascimento che prevalesse, bensì il rinascimento paganeggiante contro cui la Chiesa fin da principio (specie da Eugenio IV) fece opposizione e che, risalendo già in Italia a Boccaccio, avea per rappresentanti massimi L. Valla, A. Beccadelli e il Poggio; e in Germania Erasmo di Rotterdam (il Voltaire di que' tempi), Hermann von Busche, Ulrico de Hutten e Conrado Mutiano Rufo e Giovanni Wesel. Questo nuovo e sinistro umanesimo riceve la sua espressione sintetica per mezzo di due italiani del secolo decimoquinto. Platone, già assunto a simbolo dell'Accademia di Firenze, diviene, per opera di Marsilio Ficino (qualunque fossero le intenzioni di questo), l'oggetto di un culto quasi divino come di un genio che incarna la più alta virtù speculativa della ragione senza il soccorso della verità cristiana, e in nome di Platone si conducono d'allora innanzi le battaglie contro l'aristotelismo della scolastica in Italia, in Francia, in Germania. Machiavelli, nella stessa Firenze, nei suoi discorsi storici paragona i misteri cristiani coi riti pagani e conchiude che quelli snervano, con le miti cerimonie, l'energia dei popoli, e questi, coi cruenti sacrifici di animali scannati, temprano gli animi alle forti imprese ed ai magnanimi ardimenti, e dietro a lui le meditazioni sugli storici di Roma e di Grecia formano, pei secoli seguenti, l'educazione, l'ispirazione e la guida della mente e della operosità civile dei pubblicisti, dei ceti dirigenti, dei diplomatici, dei re. Questi due tratti caratteristici compendiano il programma del rinascimento. E così questo (come tutti i momenti storici che sempre dai concetti finali della civiltà si distinguono) segna veramente la transizione dall'evo medio al moderno, dall'ordine sociale cristiano maturato dalla Chiesa, all’ordine sociale umano generato dalla pura ragione.

 

                Conviene far giusta estimazione di questo nuovo moto di intelletti nelle loro risultanze sull'incivilimento. Il culto indiscreto, appassionato, che fu vero feticismo (come sovrabbondano le prove) dell'antichità classica, con la sua letteratura, con le sue dottrine filosofiche e civili e insieme la dimestichezza attinta nei libri con le istituzioni di Grecia e Roma, coi costumi, le passioni, le aspirazioni di quelle defunte età pagane ora redivive, penetrando insensibilmente nelle viscere delle popolazioni, dovevano, a lungo andare, tradursi con effetti opposti a quelli della vita sociale cristiana in tutte le sue manifestazioni.

Nei rapporti politici, che sono i più appariscenti e sensibili allo spirito democratico che dava varietà e spigliatezza al pubblico reggimento, il neo-classicismo, magnificando continuamente l'assetto maraviglioso dell'impero romano con la sua uniformità cosmopolitica e con l'onnipotenza imperiale consacrata dal nome storico di cesarismo, predisponeva la coscienza popolare e le menti dei dottrinari all'assolutismo principesco. Nelle relazioni etico-giuridiche, la Chiesa, attraverso lotte secolari ed eroismi di pazienza, aveva fatto trionfare il dovere, che definisce e limita il diritto e questo tempera con la carità; dovere imperante indistintamente sopra tutti gli umani, poveri e ricchi, popoli e re. Ora il concetto ravvivato del diritto di Roma individualistico, assoluto privilegio e forza di una classe ristretta di cives sopra una moltitudine di schiavi, abituava ad essere meno rispettosi della umana dignità, meno compassionevoli dei deboli, sospingeva i potenti a valersi del giure per guarentirsi i godimenti dell'avere e traeva gl'inferiori a curvarsi in una avvilente dipendenza da quelli. Infine le relazioni economiche nel medio evo cristiano, incardinandosi sul lavoro, associano e sollevano in virtù di esso le varie classi sociali in un benessere diffuso e progressivo. Invece l'eco della filosofia classica spregiatrice dell'attività economica, il tipo del latifondo all'epoca imperiale, che assicura col sudore di migliaia di servi, dovizie corruttrici agli ozi dei proprietari, lo spettacolo dei monopolizzatori del danaro, nel decadere di Roma, e della sconfinata lor potenza sulle plebi e nelle magistrature, predispone ed invita la società novella, fra le crescenti difficoltà economiche, a disdire la onorata operosità degli avi ed a posare sui frutti del passato, e ne ricevono impulso l’incentramento della proprietà fondiaria e lo sterile accumularsi del capitale monetario, vivente di prestiti, usure e speculazioni fra il degradare della classe colonica e l'abbandono, delle braccia degli artigiani.

 

                L'effetto non mancò. In Italia nel periodo del rinascimento le repubbliche si ristringono in oligarchia, o si spengono nel principato. E il potere regio dovunque si fa accentratore con gli ultimi re francesi, cominciando precocemente con Filippo il Bello, che invoca, in favore del suo assolutismo, il giure romano e i suoi legisti; altrettanto con Ferdinando in Ispagna, e con Enrico VII in Inghilterra, che governa con più arbitrio di qualunque altro principe dopo la Magna Charta. Dovunque, nel cadere dell'evo medio, si manifesta un rallentamento nell'affrancazione dei servi, si amplia il traffico ignominioso degli schiavi infedeli nel Mediterraneo e sulle coste africane di fresco scoperte dai portoghesi. I costumi divengono pagani, e i canti carnascialeschi, la imitazione dei trionfi di Camillo e di Paolo Emilio, le compagnie goderecce divengono un artificio di governo per affogare, nel bagliore della munificenza nobiliare e principesca, le memorie dell'onesto e sobrio vivere repubblicano. Del pari quell'età si contrassegna per le sofferenze delle industrie, disertate dal capitale, mentre questo impaluda nelle usure, si sbizzarrisce nei giuochi del cambio e in tutte le forme morbose del credito e insieme per la concentrazione della proprietà fondiaria in favore di una nuova aristocrazia di corte: tutto ciò in contrasto con la miseria crescente delle classi popolari delle campagne e delle città. Ciò generalmente per tutte le nazioni, ma più per quelle che le altre precorsero nella maturità economica e nell'influsso simultaneo di questo spirito pervertitore. Firenze, a mo' d'esempio, nel secolo XV traversa tutti gli stadi di una economia degenerata per opera della oligarchia del denaro: né è un caso se il glorioso comune guelfo si spenge nelle mani di un banchiere. Ecco le conseguenze sociali-civili del rinascimento, cioè del nuovo indirizzo paganizzante del pensiero e della coscienza pubblica, non unica cagione certamente di cotale trasformazione, bensì fattore primo, concomitante, efficacissimo di essa.

 

                Ciò peraltro non significa che anco nel fiore del medio evo, sotto il predominio benefico della idea cristiana, non vi fossero deviazioni da essa e violazioni dell'ordine corrispondente. Nelle relazioni politiche, in quelle sociali ed economiche, non vi erano ignoti né l'assolutismo dei principi, né l'oppressione dei deboli da parte dei ceti superiori, né le ribellioni delle moltitudini. I tiranni risorgenti a quando a quando nei nostri comuni, gli Ezzelini, il Duca di Atene, i Visconti, Giovanni Senzaterra, Filippo il Bello, non pochi imperatori germanici, ne fanno fede. Il traffico degli schiavi macchiò sempre le relazioni sociali per mezzo delle nostre stesse repubbliche cosi fiere e gelose della dignità e della libertà del cittadino. Né fa difetto lo sfruttamento usurario del povero né, accanto al flagello delle parti politiche, era raro lo scoppio di rivoluzioni sociali come quella degli albigesi all'esordire del secolo XIII, e la «jacquerie» o la sollevazione dei contadini francesi, guidati da Guglielmo Charlot (1358), il tumulto dei ciompi (1378) a Firenze, fino a Wykliffe insieme a Wat-Tyler ( 381) continuato dai lollardi (1401) in Inghilterra, fino a Giovanni Huss in Boemia condannato dal concilio di Costanza (1415). Ma sopra l'azione di tante forze deleterie, che talora pigliavano il sopravvento, splendeva tuttavolta l'idea della fede e della morale cattolica, talora offuscata o degenerata nelle coscienze dei singoli popoli, giammai durevolmente e generalmente disdetta o spenta, e in nome di essa non mancava la reazione e la lotta che infine ridonava al pristino ordine il trionfo. E a quelle scosse violente ma passeggere, resisteva l'organismo sociale, in grazia dell'intima struttura saldissima di esso, che era stato lo storico prodotto di quella medesima idea cristiana. L'osservanza della legge morale, dopo aver affermata la libertà personale, impose logicamente il rispetto delle attività dei singoli giusta il grado di attitudini e di virtù di ciascuno, donde la elevazione dei più degni e valevoli sopra le moltitudini, e quindi la gerarchia sociale, che poi la giustizia e la carità cementavano e sacravano con mutue affezioni. Ed ecco l'erigersi di gremi intermedi fra i singoli e la universalità, ossia fra gl'individui e lo Stato, la cui elaborazione, difesa, incremento, fu singolare benemerenza della Chiesa; nuclei, che, mentre impedivano che le due forze estreme (individuo e Stato) trasmodassero a danno reciproco, rimanevano propugnacolo di libertà e insieme vincolo di solidarietà. Tali politicamente le classi o stati (il clero, la nobiltà, la borghesia), partecipanti al pubblico reggimento: tali socialmente gl'istituti del patronato rurale e delle corporazioni cittadine; tale economicamente la mezzana ricchezza; prodotto del lavoro e del risparmio, nel dominio della proprietà mobile e immobiliare. Codesto ordinamento complesso, sopra di cui vegliava la Chiesa, con la sua autorità, anco esteriore, civile nell'età di mezzo e che si contrassegna massimamente per questo tratto caratteristico della organizzazione spontanea di forze intermedie, impediva il cozzo fra i due estremi, che minaccia alternamente l'esistenza sociale, o del dissolvimento individualista, o dell'assorbimento di Stato: o se pur l'urto seguisse, il coordinamento degli interessi intorno a quel nucleo mediano affrettava la restaurazione dell'equilibrio. Così i rivolgimenti stessi nell'età medioevale non toglievano che il centro di gravità del corpo sociale fosse pur sempre l'ordine in cui rinvengono accordo, libertà ed autorità. Tale organizzazione mirabile che si risolve nel collocare la gerarchia fra l'individuo e lo Stato e che è figlia della legge morale, fu solamente concepita in tutta la sua pienezza, attuata e consacrata soltanto dal cristianesimo, e chi non ne comprendesse la suprema importanza, non si renderebbe conto adeguato né della naturale struttura del corpo sociale, né delle vicende dell'incivilimento.

 

                Or bene: l'antichità non ebbe mai così un chiaro e sicuro concetto di un ordine morale superiore ad ogni arbitrio di popoli e principi, da cui pigliasse forma l'ordine stesso dei civili consorzi né si svolsero mai, con genesi matura e con funzione autonoma, gli organismi intermedi del consorzio civile e sopra tutto quella non ebbe mai un ente più elevato e autorevole dello Stato, come è la Chiesa, che di quella legge morale e di quell'ordine concreto si facesse custode e vindice.

Il culto intemperante delle dottrine antiche e delle classiche istituzioni, risuscitato al tempo del rinascimento, doveva pertanto offuscare il concetto astratto di una legge etica, che regge i rapporti sociali, per sostituirvi la semplice utilità e nello stesso tempo, nella lotta dell'utile fra i forti ed i deboli, doveva insidiare ed infine disperdere questo nucleo di forze intermedie per lasciare la società divisa in due campi opposti: politicamente, da un lato la moltitudine che obbedisce e da un altro l'arbitrio sconfinato di pochi e di un solo che impera; socialmente, la classe più numerosa cui incombono solo doveri e sacrifici, ed una ristretta e privilegiata cui spettano solo diritti e godimenti; economicamente, i diseredati da un canto, la plutocrazia da un altro; e, nel conflitto di queste forze coartate, un'alterna vicenda di anarchia al basso e di assolutismo crescente in alto.
Tutta la storia dell'antichità rappresentava al vivo questo assetto artificioso e questo ciclo fatale. Rimettere in onore la sapienza antica, non corretta dalle dottrine e dalle esperienze storiche del cristianesimo, valeva quanto predisporre a profondi sconvolgimenti sociali e moltiplicare in seno i germi del socialismo futuro.

 

                Non si deve disconoscere che taluni mutamenti che susseguirono non fossero conseguenze di novelli e legittimi bisogni e quindi espressione di uno svolgimento normale. Il maggiore accentramento dei poteri politici era richiesto dalla cresciuta ampiezza, territoriale: una certa uniformità di trattamento fra le varie classi sociali accennava a tendenza all'eguaglianza, che temperasse le soverchie differenze di fatto generate dalla libertà stessa: la crescente importanza della classe capitalista risponde alla funzione preponderante che spetta al capitale nella economia progrediente. Del pari una compiuta analisi dei fenomeni sociali-economici, richiede si aggiunga che, a quello svolgimento fisiologico, come a quello per cosi dire patologico, contribuirono taluni grandiosi e inavvertiti avvenimenti, non dipendenti direttamente dal volere dei più ma piuttosto subiti per il mutamento di tutto l'ambiente estrinseco, in cui l'economia dei popoli venne in breve a versare e svolgersi. Le scoperte geografiche in Africa e in America, il conseguente ampliarsi dei traffici, la necessità di più poderosi mezzi di esercizio, aiutò la prevalenza delle maggiori imprese sulle minori, trasferendo improvvisamente a nuove e più potenti classi di capitalisti la direzione di esse, sottratte all'artigiano ed al minuto trafficante, e l'afflusso in Europa dei metalli preziosi d'America affrettava la formazione anche di un grosso capitale monetario con lo slancio connesso di tutte le operazioni di credito, mentre la conseguente elevazione dei prezzi delle cose, rendeva l'impinguare dei profitti dei proprietari e capitalisti simultaneo alle sofferenze e distrette economiche delle moltitudini lavoratrici. Ben pochi aspetti della storia sociale ed economica della civiltà occidentale furono oggi al par di questi illustrati. Ma tali avvenimenti impreveduti, se predisponevano a grandi trasformazioni economiche anco legittime e normali, pure erano sdrucciolo a sconvolgimenti che potevano compromettere la stabilità dell'ordine sociale e, soprattutto, divenivano occasione e fomite a precipitarli per l'alimento che offrivano alle cupidigie dei guadagni fra i potenti e quindi all'egoismo. Occorrevano perciò freni morali anche maggiori, laddove invece si sciolse il freno primo e più efficace, che consiste nei concetti del dovere e quindi della giustizia e della carità. L'umanesimo insinuò e produsse dapprima questo mutamento nelle anime che poi era destinato a generare la rivoluzione nei rapporti esteriori e civili. E ciò non solo per il resuscitato feticismo di una civiltà pagana i cui concetti ed i cui istituti erano la negazione delle virtù civili cristiane, ma soprattutto perché, (come avvertimmo), sotto il velame del classicismo di Grecia e di Roma, si affermava l'impero nei rapporti sociali dell'uomo e della sua ragione indipendenti dal sovrannaturale. Se principio e fine dell'umana convivenza è Dio, ivi impera il dovere, e quindi giustizia e carità, col sacrificio che guarentisce e feconda l'ordine sociale. Se il fine è l'uomo, ivi prevale inevitabilmente l'utile, pronto a degenerare in egoismo, e quindi cupidigia e prepotenza generatori del disordine. Ecco le formidabili espressioni, nella storia della civiltà, di quel moto d'intelletti e di opere che si intitola dal rinascimento.

Di questo spirito dell'umanesimo non si deve menomare né la diffusione, né la persistenza. Sotto la veste letteraria e scientifica ha imbevuto, fino alla saturazione, le popolazioni italiane che della cultura classica di Roma e Grecia menavano (e non senza ragione) vanto come di gloria domestica e come argomento di novello primato europeo. In Germania il nuovo umanesimo fu il precursore e il fervido alleato dei primi riformatori. In Olanda e in Francia passò, sotto la bandiera del diritto romano, per mezzo della scuola dei Culti e risplende nella letteratura e nel costume alle corti di Enrico IV e di Luigi XIV e per esso, da un lato, il cesarismo di Roma imperiale rimane il tipo delle monarchie moderne fino alla rivoluzione francese e, da un altro, le memorie sempre evocate dei Gracchi, dei Bruti e di Spartaco, ordiscono le congiure e dirigono le sommosse dei rivendicatori della libertà fino all'esordire del secolo nostro, alimentando così ad un tempo il dispotismo e la demagogia.

 

                Può ben dirsi che l'umanesimo, rimasto sempre al fondo della coscienza dei popoli europei con le sue tendenze razionalistiche nelle idee e nelle istituzioni, abbia retto latentemente i rivolgimenti sociali civili dal secolo XVI al XIX, i quali non ne sono che una diretta e continuata figliazione,  Questo successivo svolgimento dello spirito dell'umanesimo, presenta tre momenti solenni nella storia: la rivoluzione religiosa-sociale di Germania del secolo XVI; la rivoluzione inglese del secolo XVII; e la rivoluzione francese del secolo XVIII; tre grandi tappe progressive seguite finalmente dalla propagazione universale e sistematica di quel movimento stesso lungo il secolo XIX.

 

                La rivoluzione scoppia dapprima in Germania (1524), prossimamente preparata dalle profonde e violenti agitazioni degli ussiti nel secolo anteriore, ma diffusasi rapidamente alla Svizzera ed alla Francia fa capo principalmente all'Olanda; e di là, passata la Manica nell'anno medesimo in cui chiudevasi il primo corso critico di quella in sul continente con la pace di Westfalia del 1648, prorompe in Inghilterra (1648-1688) dalla quale, finalmente, con un lavorio di un secolo, derivano gl'influssi prossimi alla grande rivoluzione francese del 1789 la quale poi dilaga, specialmente dal 1830 in poi, attraverso brevi soste e ricorsi e in forme più latenti ma con passo misurato e sicuro, al mondo intero. Le modalità accidentali variano di momento in momento e dall'una all'altra nazione, ma il filo conduttore è sempre lo stesso. (6)

 

                Come ogni rivoluzione religiosa, o meglio, antireligiosa, questo moto continuato racchiude in grembo un completo rivolgimento sociale di civiltà che affetta così l'ordine delle idee e dei sentimenti, come l'ordine dei fatti e delle istituzioni. (7) Rispetto a quello, essa sostituisce, al posto della legge morale, il progressivo dominio della utilità sotto molteplici e più intense forme di egoismo; rispetto a questo (cioè alle istituzioni di fatto) esso si dirige costantemente via via ad insidiare e scuotere i nuclei intermedi fra gli individui e lo Stato in cui si concreta la gerarchia sociale, e ciò simultaneamente nelle relazioni civili­politiche, in quelle etico-sociali propriamente dette, nonché in quelle economiche. E in questo cammino pertinace di quattro secoli, esso riesce all'intento di atterrare l'unità armonica dell'ordine cristiano, nei suoi vincoli morali ideali e in quelli gerarchici concreti, con un duplice ed alterno attentato di assolutismo in alto e di anarchia in basso, corrispondente al processo del sapere che perviene a spezzare e disperdere l'unità gerarchica dell'enciclopedia scolastica con un duplice e incalzante ricorso di fatalità scientifica e di scetticismo sistematico. E’ indispensabile seguire questo processo graduale di distruzione dell'ordine sociale cristiano attraverso tre rivoluzioni: in Germania, Inghilterra, Francia e, infine, nel mondo civile, sulla base dei fatti storici positivi, per farsi un concetto esatto e compiuto dell'odierna crisi sociale.

 

                L' eresia di Lutero per questo si distingue da quelle anteriori e dimostra la sua figliazione dall'umanesimo, che essa, con l'affermazione del libero esame in materia di religione, elevò la ragione al di sopra della fede, facendo quella autrice di questa e perciò divinizzandola. La proposizione sarcastica di Erasmo, a proposito della ribellione germanica religiosa, che l'uovo era già deposto da lunga mano e che Lutero soltanto lo dischiuse, è rigorosamente vera. L'immediata e più sensibile risultanza tosto si palesò nei rispetti politici: l'individuo, che è dichiarato maestro ed arbitro assoluto come uomo dinanzi alla religione, perché non lo potrà essere come cittadino di fronte allo Stato? E a più ragione perché dovrà subire limiti di autorità imperante il principe? Ecco turbata l'armonia fra libertà ed autorità e nel conflitto quella trovasi sacrificata. La Chiesa, col lavorio secolare del medio evo, rompendo l'unità immane e panteistica del cesarismo romano, era stata, al dire di Guizot, (da troppi studi positivi ormai comprovato) una grande scuola di rispetto di ogni legittima autorità, ma insieme la madre dei popoli e la educatrice della libertà. E questa aveva rifiorito nelle monarchie miste con la partecipazione al governo delle varie classi, nelle repubbliche e in tutte le autonomie locali che davano fecondità e pieghevolezza all'amministrazione e finalmente nella cristianità universale destinata a coordinare l'operosità di tutte le nazioni ai fini comuni dell'incivilimento. Ben altrimenti l'indirizzo politico dopo il secolo XVI. Precorso dal rinascimento, che aveva precipitato nei principati tutta Italia, l'assolutismo spunta in Germania. Principi e città favoriscono la riforma perché contano con essa di deprimere l'autorità imperiale accrescendo la propria. E di là l'assolutismo si diffonde ai regni scandinavi, prima ordinati fieramente sopra il fondamento delle assemblee popolari o feudali. L'arbitrio principesco raggiunge il sommo con l'attribuirsi il diritto di obbligare i sudditi a mutar religione a libito de' governanti giusta la famosa formola cuius regio illius et religio e così concentrando nel potere politico quello religioso. Questo era un annichilire d'un tratto una delle conquiste più preziose della civiltà (la distinzione - non già la separazione - della Chiesa e dello Stato) di fronte al paganesimo, era rendere inutile le lotte titaniche di Gregorio VII e affogarsi novellamente nel cesaro-papismo dei tempi bizantini, era la servitù delle anime con la quale, come la distinzione fra Stato e Chiesa era stata il germe primo di ogni libertà, si preparava per converso ogni forma di schiavitù. (8) Il tronco della libertà in nessun luogo più resistette a questi influssi deleteri. (9) Già Enrico VII, il primo dei Tudor, aveva inaugurato in Inghilterra il regno dell'arbitrio, fra l'apparente rispetto. della forma costituzionale, convocando una sola volta negli ultimi sette anni del suo regno il parlamento. Ma Enrico VIII cominciò ad abituare i grandi corpi dello Stato alla servile approvazione d'ogni suo atto insipiente e violento. L'incentramento raggiunge il fastigio con Elisabetta che, dopo aver data forma organica alla Chiesa anglicana di Stato («by law established»), raccoglie effettivamente nelle sue mani tutto il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Giacomo I pronunzia: «Io solo faccio la legge ed il vangelo». (10) L'assolutismo di corte si trasmuta in quello del parlamento sotto la repubblica (1649) e poi in quello personale militare sotto il protettorato di Cromwell (1653); si riproduce sotto la ristorazione ove Carlo II (1660) sale il trono senza giuramento delle franchigie e, infine, con la rivoluzione, del 1688, ricondotti gli ordini civili in Inghilterra a taluna fra le antiche tradizioni di libertà, permane la traccia dell'assolutismo in tutte le leggi odiose contro i cattolici.

 

                Gli esempi sinistri rafforzano le tendenze assolutiste in tutta Europa. I principi cattolici sconvolgono il concetto di re per la grazia di Dio, interpretando arbitrariamente e contro lo spirito cattolico, come un titolo di assolutismo, questa espressione sacramentale che, in virtù della consacrazione, importava anzi la massima circoscrizione del potere regale, giurando di non valersene che per l'adempimento della legge morale divina e per il bene del popolo. (11) Essi cercano alla loro volta, sotto il pretesto di protezione, di ridurre nelle proprie mani, quanto più potevano, l'autorità religiosa e civile e l'inquisizione politica di Spagna, già introdotta da Ferdinando il Cattolico (1480) dopo lunghe contestazioni con papa Sisto IV, (12) Filippo Il esacerba, riluttante Paolo IV e Sisto V. (13) Enrico IV nell'editto di Nantes pone il germe del dualismo tra Chiesa e Stato che poi svolge nelle Dichiarazioni della Chiesa gallicana Luigi XIV nel 1682, proludendo alla servitù della Chiesa e ancora a quella di tutte le libertà francesi, espressa nella sentenza «Lo Stato sono io». (14) Sconvolto l'ordinamento costituzionale politico mediante l'assolutismo, si insinua analogamente l'accentramento nelle funzioni amministrative. Non è vero che l'età moderna, nei tre primi secoli, abbia soppressi i privilegi, favoreggiando l'eguaglianza, bensì li tolse o sminuì alle classi storiche, fiere delle proprie tradizioni, per trasferirli ad altre più recenti e servili e conferendoli a queste, non più come un riconoscimento di diritti lor propri col ricambio di doveri sociali, bensì per sola largizione di principe e col solo obbligo della devozione dinastica. In tal modo la feudalità antica perdette ogni funzione e dignità sociale e divenne aristocrazia di corte, non ostacolo ma orpello all'assolutismo. Così accadde della nobiltà popolana fiorentina (già aliena da privilegi), spenta od esiliata da Cosimo I per far posto agli homines novi muniti di recenti fedecomessi: così della nobiltà francese dopo Enrico IV: così (con successo meno completo) della stessa aristocrazia inglese. (15) E come si perverte l'organizzazione di classe, così si osteggiano e si sopprimono le autonomie locali. Si spengono le ultime faville della libertà di Firenze, si attenta ai diritti storici delle province unite, scompaiono i fueros di Spagna, si disdicono i privilegi giurati dei lusitani, si consuma la servitù dell'Irlanda la cui storia segue tutte le vicende più obbrobriose dell'assolutismo per tre secoli, dalla conquista dell'isola intera dopo la ribellione del 1534 sotto Arrigo VIII (1542) alla nuova e più sanguinosa soggezione sotto Elisabetta (1603), fino alla distruzione definitiva e cruenta col ferro di Cromwell (1653), (16) anzi, fino alla soppressione dell'ultimo resto del parlamento irlandese (1800). Alla scomparsa delle storiche autonomie viene compagno il regolamentarismo nell'amministrazione. Questo è il periodo che a provvedere ad alcuni segni di degenerazione delle antiche corporazioni, ma più per sommettere questi fasci di forze popolari alla onnipotenza di Stato e alle esigenze finanziarie, si assoggettano generalmente a norme uniformi, che si collegano a un regime tutorio delle industrie e della politica mercantile. (17) Si moltiplicano le ordinanze imperiali e principesche in Germania dal 1530 fino al 1731 (18): Francesco I in Francia tenta di proibire nel 1539 tutte le confraternite degli artigiani, origine e forza massima delle Giurande, (19) ma con più fortuna (20) le ordinanze di Carlo IX (1567), di Enrico III (1581), di Enrico IV (1597), pur correggendo alcuni abusi, compiono la sottomissione di tutti gli artigiani al regime corporativo universale sotto la sorveglianza del re. (21) E finalmente Luigi XIV, con le ordinanze del 1669 e del 1672, disciplinando in modo minuzioso, ferreo, vessatorio, il lavoro delle corporazioni, come una largizione dello Stato, come un cespite finanziario e come un organo passivo della politica economica governativa, reca al massimo il regolamentarismo, insieme annienta definitivamente ogni funzione civile autonoma di quegli enti e ne prepara, dopo alcuni abbaglianti successi, anco l'esaurimento economico. Ma la riforma in Inghilterra dà il primo e triste esempio di una immediata e violenta soppressione di queste istituzioni, colà meravigliosamente floride e remoto monumento di libertà. (22) Enrico VIII, nell'anno ultimo di sua vita, (Atto 37), confisca i beni delle confraternite e lascia in eredità ad Edoardo I (Atto I), sotto il reggente Somerset, d'abolire tutte le gilde d'arti e mestieri e i loro beni vanno ad impinguare i cortigiani. La rivoluzione francese, sotto le ispirazioni di libertà, non è meno infesta a questi corpi intermedi organizzati: il temporaneo scioglimento delle corporazioni di Turgot (1776) è seguito dall'abolizione definitiva operata dalla repubblica nel 1791. A questo punto rimossi o indeboliti i nuclei di resistenza, il sacrificio della libertà e dei diritti privati diviene agevole. L'incameramento dei beni ecclesiastici e degli enti morali, adempiuto a favore dei principi in Germania e consacrato dalla pace di Westfalia (1648), trova seguito nella confisca del patrimonio della Chiesa cattolica e delle Opere pie per opera di Enrico VIII in Inghilterra; si estende colà alla appropriazione dei patrimoni dei dissidenti; si rende flagrante, applicandosi in massa ad una intera popolazione, in Irlanda. Quivi il piano di espropriazioni violente, accompagnate da esili, disegnato e iniziato da Giacomo I (1607), si attua da Cromwell con inumana ferocia e si compie in forma metodica e progressiva dal 1700 con quella serie di subdole leggi punitive e procedurali che Burke poté dire il monumento più rimarchevole d'iniquità che mai fosse stato innalzato. Instauratosi l'arbitrio onnipotente col nome di ragione di Stato al di dentro di ogni nazione, esso si riproduce al di fuori e, mentre il sistema mercantile dovunque attua una guerra di tariffe fra le nazioni e Cromwell, in odio all'Olanda, con l'Atto di navigazione attenta alla stessa libertà dei mari, il principio dell'equilibrio politico, ossia dell'artificiale proporzione delle forze materiali, regge le relazioni fra gli Stati per tre secoli, con la sequela ruinosa delle guerre di egemonia dinastica e nazionale fra Francesco I e Carlo V, fra Filippo II ed Elisabetta, fra Inghilterra ed Olanda, quella di Luigi XIV per la preponderanza in Germania e nei Paesi Bassi e quella universale per la successione spagnola. La forza ha assodato cosi il suo impero in luogo del diritto in tutte le relazioni interne ed esterne degli Stati.

 

                Quale meraviglia se ad infrangere questo tessuto ferreo di servitù e di violenza universale insorgessero le popolazioni, alla lor volta inebriate del concetto degl'illimitati diritti della ragione umana. Ed ecco l'altro aspetto del grande rivolgimento in ciascuno dei tre momenti storici: la guerra dei contadini del 1524 e le devastazioni degli anabattisti del 1529 nei paesi tedeschi; l'anarchia inglese che iniziata dal 1649 raggiunse il culmine nel 1659 sotto il parlamento acefalo; e infine la rivoluzione di Francia col suo apogeo nel 1793, la quale compendia in se stessa una reazione universale della coscienza pubblica contro gli effetti remoti della riforma. Ma perdura e si riproduce in questa lo stesso spirito informativo e fatale che afferma l'impero assoluto dell'uomo sopra l'uomo, trasferito ora solamente dal trono alla piazza, dai principi alle moltitudini e in breve al periodo dell'anarchia succede quello dell'assolutismo in nome della maggioranza, con tutti i caratteri della violenza brutale. Ed ecco di nuovo l'offesa della proprietà con l'incameramento de beni del clero e della nobiltà, la soppressione delle autonomie locali con la divisione meccanica del territorio francese, il costituirsi definitivo e caratteristico dell'accentramento amministrativo, l’attentato ad ogni libertà personale nel comitato di salute pubblica, la consacrazione della forza sconfinata in tutti i rapporti politici del regime del terrore. (23) Ecco l'ultima forma della degenerazione degli ordini civili cristiani: l'assolutismo sotto apparenza e nome di libertà.

 

                Nell'ordine politico, l'atterramento della società cristiana, fondata sulla libertà, era dunque completo, ricomparendo, al posto di questa, il panteismo politico già dell'antica Roma, spadroneggiante lungo tempo sui troni con l'assolutismo dinastico, trasferito da ultimo alla società tutta intera che, in onta alle proteste di libertà, perde di questa ogni di più il retto senso e le nobili abitudini. Tale completa trasformazione nella costituzione ed educazione politica non era in buona parte che il riflesso della degenerazione morale della società nel suo organismo e nel suo spirito. La Chiesa aveva eretto il nuovo edificio sociale sopra l'elemento primo della dignità personale nei riguardi spirituali che si rifletté poi nei rispetti civili con l'abolizione della schiavitù, poi con l'affrancamento dalla servitù della gleba, sempre e per tutti col riconoscimento di una somma di diritti privati relativi alla famiglia ed alla proprietà particolare, inviolabili ad ogni autorità umana; tutto ciò nobilitando e abbellendo con l'onestà e nobiltà del costume. La solidarietà sociale al comune miglioramento fra questi elementi primi, aveva essa laboriosamente assicurata con istituti permanenti in cui si svolgesse, fra le varie classi gerarchiche, un proporzionato ricambio di servigi: tali le corporazioni fra le classi borghesi, e il patronato fra le classi fondiarie; istituti che, prima di rappresentare un ordinamento economico o un ente politico, sono essenzialmente organi sociali che collegano ad unità la piramide della società civile. E la Chiesa stessa questo congegno aveva munito e sacrato con le abitudini della temperanza e del sacrificio accoppiato alla beneficenza. All'esordire dell'età moderna, quest'ordine sociale tutto intero, figlio immediato della moralità, si trovò insidiato dalle dottrine di Lutero: da un lato, dalla negazione del «libero arbitrio», (24) fondamento di ogni responsabilità morale, e da un altro, dalla proclamazione del principio che, cioè, alla salute dell'anima basti la fede senza le buone opere. L'egoismo rimase giustificato e prese lena irrefrenata per tutto il corso della età moderna.

 

                Nell'età di mezzo, in onta alle tendenze sempre rinascenti all'opulenza dei signori feudali e delle città riboccanti di ricchezza mobile, il lusso era in gran parte pubblico, risplendente, cioè, nel culto, nei palazzi pubblici e nelle pompe dei magistrati. (25) Ancora Lorenzo il Magnifico, in onta al suo programma di corruzione sistematica con le feste popolari paganizzanti, serbava privatamente sobrietà di vita ed Enrico VII d'Inghilterra raffermava ancora le antiche severe prammatiche suntuarie di corte. (26Ma dal secolo XVI la Germania, aiutata dalla prosperità economica elevatissima che i nostri scrittori contemporanei non cessano di invidiare, scende rapidamente sulla china della cupidigia dei beni materiali e dei sensuali godimenti. Con indirizzo nuovo il lusso, che nelle città italiane a questo stesso tempo appariva estetico e raffinato, diviene già, dalla fine del secolo anteriore (27) ma peggio dal principio del XVI (28) in Germania ed in Olanda, grossolano e materiale, profuso nelle gozzoviglie ed intemperanze; vi partecipano non solo i principi e i signori feudali, (29) ma le classi mercantili e industriali e scende ai lavoratori e alle contadinanze: argomento o stimolo di precoce degradamento economico e di peggiori ricatti. Ed invero, dopo che la corruttela alimentata dall'usurpazione dei beni ecclesiastici nei principi e signori aveva spinto sullo sdrucciolo della ruina questi ultimi e, insieme, scossa la economia popolare, si diffonde l'oppressione dei poveri, giganteggia l'usura, si avvera una nuova espulsione di ebrei surrogati però, da cristiani più voraci di loro. La storia del lusso in Inghilterra, seguendo il carattere aristocratico del paese, prende le mosse dalle oltrepotenti famiglie che si contendevano il governo del paese nella guerra delle due Rose, ma poi si afferma sfacciatamente con tre date caratteristiche: con le folli prodigalità di Enrico VIII, (30) con gli splendori smaglianti di Elisabetta che dalla corte provoca la propagazione del lusso irrefrenato a tutte le classi superiori e con la ristorazione, nel seno della parte realista trionfatrice, che alla rigidezza puritana dei repubblicani contrappone, con le più beffarde dottrine, (31) lo scandalo dei costumi più rotti. (32) Il lusso di cose diviene sfoggiato con Carlo V e Francesco I, ma dalla metà del secolo XVI il fasto spagnuolo detta la norma al costume universale, mentre le leggi francesi (33) deplorano che esso abbia invaso aristocrazia, clero e il terzo stato, finché la dissipazione, congiunta a corruttela, tocca il culmine sotto Luigi XIV, partecipandovi sfrenatamente la nobiltà, sì da divenire uno dei fattori della rivoluzione francese. La dispersione e lo spegnimento delle alte classi di Francia, l'esaurimento economico concomitante e le abitudini di gente nuova, componente ormai la classe media trionfatrice nella rivoluzione del 1789, contraggono per poco le abitudini di prodigalità e diffondono invece a classi più numerose certi conforti ed agi della vita. Ma qui pure lo spirito di egoismo non abbandona i figli della rivoluzione e, cresciuta nel secolo nostro sulla mezzanità la classe dei dispositori dell'accumulata ricchezza mobile, si riproducono le abitudini opulente ed insultanti di un lusso meno raffrenato e più repugnante allo spirito egualitario del secolo nostro ed ai prevalenti regimi popolari.

 

                Contemporaneamente, col crescere indiscreto dei consumi del lusso nella Germania del secolo XVI, i vincoli di solidarietà fra le diverse classi si rallentano e fanno posto ai conflitti generati dall'egoismo. Il «compagnonnage» già pullulante di lunga mano nelle corporazioni, per cui i compagni tendono a stringersi in associazioni proprie di contro ai maestri, provoca da un canto, lo scioglimento di alcuni sodalizi e da un altro, il chiudersi di questi in forme più restrittive di privilegio a favore dei maestri e in odio agli inferiori: occasione maggiore d'intervento regolamentare dello Stato. Accanto ad esse le grandi compagnie commerciali, in cui spiccano giganti i Fugger, prestatori allo stesso Carlo V, e a cui prendono parte nell’interesse anche i principi con le loro speculazioni, esercitano una vera «exploitation du peuple» che il medesimo Lutero stigmatizza. (34) E del pari, alle benevole relazioni del patronato rurale, si sostituisce crescente lo sfruttamento del colono da parte del proprietario che rinnova ed aggrava gli oneri reali (35) e personali, già molto alleggeriti, e ribadisce la servitù della gleba quasi scomparsa contro cui protestano ancor prima della famosa sollevazione dei contadini, (1524) (36) altre parziali ribellioni fin dal 1501 (Bundschuh), nonché i libelli dei primi socialisti militanti. (37) In Inghilterra, già provata anticipatamente dalla ribellione formidabile dei volghi campagnoli sotto Wykliffe (1378) da cui però si era rialzata nel secolo seguente, la depressione delle classi rurali dal principio del XVI sec. segue un procedimento sistematico e meditato a tutto profitto della prepotenza dei ceti superiori, da riassumere (come diremo) esso soltanto buona parte della storia economica dell'età moderna.

 

                Che più? La dignità umana, già menomata dalla corruzione del costume e umiliata con le offese dei diritti privati personali sui deboli, perviene fino alla riproduzione della schiavitù. Papa Pio II appena annunziava al mondo nel 1462 che l'obbrobrio della schiavitù non disonorava ormai più l'umanità e i portoghesi, sulle coste d'Africa, la riproducono a danno degl'indigeni e, poco dipoi, gli spagnuoli, in tutte le regioni conquistate dell'America. Occasionata originariamente dal bisogno di braccia per il lavoro di quei territori, in breve essa si estende universalmente nei nuovi continenti, si giustifica con le stesse dottrine dell'antichità: la differenza di razza, il diritto assoluto delle classi dominanti e dello Stato e si dispiega con l'assoggettamento degl'indigeni e più tardi con la tratta dei negri. La triste caccia alla carne umana, comunque cominciata nell'Africa fin dal 1434 ma contenuta colà in lieve proporzione prima della scoperta dell'America, diviene, dopo di questa, così furibonda da travolgere dietro di se la politica a legalizzarla e a coadiuvarla: in ciò colpevoli governi riformati e cattolici senza distinzione, meno riluttanti, anche quest'ultimi, verso la novella schiavitù, per le rideste memorie classiche dell'antica, e soli i papi, contro tutti protestando in nome della religione e della natura. (38) Già Carlo V dal 1523, concede la tratta ai fiamminghi e, dopo aver tollerato contemporaneamente il primo asservimento degl'indigeni americani, concede, dietro i reclami ed alle proteste di Las Casas nelle leggi nuove (1543), alcuni temperamenti male osservati. Elisabetta riconosce nel 1562 una compagnia di mercanti di schiavi e similmente nel 1595 Filippo II di Spagna, finché l'Inghilterra nel trattato di Utrecht (1682) si riservò quel traffico come proprio monopolio, commercio che poi crebbe in proporzioni straordinarie nelle recenti colonie inglesi dell'America settentrionale, dove prese radici profonde e che la indipendenza delle colonie dalla madre patria e la proclamazione della libera repubblica non valse a schiantare, assumendo disciplina crudele e sistematica nel codice nero della Carolina e nelle altre simili legislazioni della Florida, della Virginia, del Texas, e quasi carattere d'istituzione nazionale.

 

                Dinnanzi a questi avvenimenti obbrobriosi, che segnano un regresso più che millenario nella storia della dignità umana e fanno testimonianza di un completo pervertimento dei sentimenti educati dal cristianesimo nei popoli europei, non trova più posto, dopo la riforma, la carità. Come l'età antica (scrive Hettinger) ebbe il culto della forza e l'età moderna ha quello del genio, il medioevo ebbe il culto del povero sopra del quale esso profuse: tesori di beneficenza che bastano ad elevare quella età al disopra delle moderne. Già col declinare del secolo XV (39) comparisce (1492) una legge repressiva del vagabondaggio in Inghilterra, indizio del malessere incipiente, aggravato colà dal fermento che di lunga mano aveva lasciato la rivolta dei contadini sotto Wykliffe: e l'impoverimento seguito alla guerra delle due Rose. Ma dalla riforma in poi universalmente cresce l'indigenza: fatto connesso direttamente con l'appropriazione dei beni ecclesiastici e degli enti morali, rivolti per istituto tradizionale in buona parte a sostentamento delle moltitudini popolari e dei poveri e di ricambio invece vien meno e si asciuga la fonte della carità. L'egoismo si traduce dapprima nella noncuranza e nel disprezzo del povero, poi nella persecuzione delle leggi penali, infine nei provvedimenti della carità coattiva legale. Ciò in tutti i paesi, ma in modo specialissimo nei protestanti. In Germania è Lutero stesso che precede ogni altro nel denunciare con parole di fuoco l'avarizia dovunque crescente dei nuovi epuloni, che accumulano e gavazzano in mezzo ai lamenti di Lazzaro. Del pari Edoardo VI, succeduto ad Enrico VIII, in una sua ordinanza (1551) deplora il disseccarsi della beneficenza e vi compulsa invano i privati ed egual lagno emette Enrico II di Francia contro i vagabondi, che si riprende tosto con Enrico VIII, con la pena del marchio in fronte, si aggrava con le disposizioni di Edoardo VI (1547) che attribuisce come schiavo il mendicante al denunciatore, (40) si esacerba sotto il governo della «buona regina» Elisabetta (1572) che moltiplica le condanne a morte, si allarga sotto Giacomo I comprendendo in queste crudeli sanzioni ogni questuante senza distinzione: leggi che perdurano sino al 1714. Gli esempi sinistri trovano continuazione. In Francia Enrico II (1547) condanna il mendicante alle galere, Luigi XIV li ripulsa dalle vie di Parigi a colpi d'alabarda, nel 1767 il duca di Choiseul rinnova le condanne ai bagni penali, la repubblica, con decreto del 24 vendemmiale anno II, li deporta al Madagascar. Per inesorabile necessità e ragioni d'ordine pubblico nell'assenza della carità privata, deve provvedere la carità legale la quale dapprima si impone autorevolmente alle reliquie degl'istituti ecclesiastici sopravvissuti ed alle parrocchie, poi si introduce con le imposte delle amministrazioni locali, talora del governo centrale. Tali ordinanze di polizia cominciano in Germania nel 1530 e si moltiplicano lungo i secoli XVI e XVII. Ma in Inghilterra prende sviluppo doloroso e insieme solenne nella storia l'ordinamento della carità legale che, promessa già fin dal 1486 all'avvenimento al trono dei Tudor, prende forma sistematica d’imposta coattiva per opera di Arrigo VIII (1572), si amplia nella grande legge dei poveri della regina Elisabetta (1601), cresce di poi con progressione formidabile fino alla legge restrittiva del 1834 per continuare fino ai giorni nostri. Ciò nei paesi cattolici trova pure un riflesso, e la legge francese del 1560, che organizza la carità legale coattiva, rimasta in vigore nominalmente fino alla fine del XVIII secolo, è effettivamente esautorata dalle consuetudini cattoliche della carità spontanea più profusa anche nel languore dell'«ancien régime» e nei tempi susseguiti alla rivoluzione francese. Si riassuma d'un guardo l'azione di queste forze ordinatrici e avvivatrici del corpo sociale, dalla libertà personale alla carità e veggasi se la riforma non abbia riprodotta la deforme fisionomia delle società pagane, ove pochi gaudenti si erigono sopra le moltitudini avvilite e languenti.


 

II.

 

                Gl'influssi sinistri delle dottrine razionalistiche del rinascimento e della riforma protestante avevano penetrato l'intima essenza della civiltà pervertendo gli ordini politici e quelli etico-giuridici della società cristiana attraverso successivi stadi di degenerazione, segnati dalla rivoluzione inglese e da quella francese, figlie ambedue della rivoluzione germanica del secolo XVI, atteggiando il tipo dello Stato e della società a quello dell'antichità greco-romana. Il corrompimento della società laboriosa e di tutti gli ordini economici, sotto il medesimo spirito deleterio e al contatto delle immani difficoltà in cui veniva a dispiegarsi la pubblica ricchezza allo schiudersi della età moderna, doveva seguire un analogo procedimento, riuscendo a somiglianti risultati.

Roma pagana, spenta nell'ozio sontuoso delle classi dominanti e nel fermento corruttore della oppressione servile, era risorta cristiana per mezzo del lavoro che le due classi aveva rigenerate e riamicate. Il cristianesimo in tre guise provvide a questa resurrezione economica. Collegando il lavoro alla legge morale, e per essa riponendolo in onore, aveva propugnato dapprima l'equa remunerazione del lavoratore in proporzione del merito e quindi del prodotto dell'opera sua, donde la mercede a compito prevalente nel medio evo: poi lo assicurò nella sua esistenza contro le sinistre vicende economiche, mediante la stabilità dei soccorsi delle corporazioni fra le plebi cittadine e mediante il godimento in comune di alcuni enti collettivi fra i volghi campagnoli. Infine la classe operosa associò durevolmente a quella proprietaria della ricchezza fondiaria e mobile, e precisamente in tal modo che il fattore lavoro avesse la prevalenza sopra gli strumenti di esso forniti dalle classi proprietarie: ed ecco le società in accomandita nel ciclo delle industrie manifatturiere e dei negozi mercantili in cui il risparmiatore affida e quasi raccomanda al lavoratore intraprendente il proprio capitale, condividendo con esso i profitti ed i rischi; ed ecco ancora l'enfiteusi, la colonia parziaria e le affittanze perpetue in cui il proprietario lascia la terra a disposizione del coltivatore perché esso ne incrementi il valore ed usufruisca in modo progressivo dei suoi frutti: fondamento, ambedue questi ordinamenti, alla elevazione graduale di artigiani ed agricoltori. Né bastò: ma questa classe, sorta in virtù della preminenza del lavoro, si protesse contro la preponderanza perigliosa ed assorbente del capitale. E ciò in più modi: osteggiando le usure, cioè le abitudini del prestito ad interesse fisso, infrenando le speculazioni mercantili ed i lucri sospetti degli intermediari e condannando gl'impieghi improduttivi del capitale. In tutto ciò la civiltà cristiana era guidata dal supremo e salutare concetto di far dominare nei rapporti stessi utilitari le ragioni altissime della moralità. Sotto queste salutari influenze gli effetti benefici non mancarono. Questo si trova attestato da quella condizione di floridezza del lavoro e delle classi inferiori operose la quale oggi, ormai è comprovata da concordi studi di tutte le nazioni. Specialmente nel secolo XIV e XV in tutta Europa e ancor prima in Italia la classe lavoratrice acquistò una forza economica ed una importanza civile che non ha riacquistata più mai. Nelle campagne tale potenza si racchiudeva nella forte schiatta di coloni (enfiteuti, mezzadri, coltivatori a lungo termine, piccoli proprietari) disseminati in tutta Europa; in città, nella numerosa e ricca classe di artigiani, coordinati (senza offesa della propria autonomia) a potenti ditte mercantili che accudivano al traffico nei mercati e nelle fiere nazionali e internazionali. Essi padroneggiavano il mercato, forti del numero, della prosperità e delle consuetudini, imponendo le condizioni del lavoro e delle mercedi così che i disordini, che pure proruppero in sul cadere del medio evo, in specie dal 1378, in seguito alle pestilenze che avevano infierito in tutta Europa e, con la scarsezza delle braccia, rincarito il lavoro, devono attribuirsi a questo predominio della classe operaia, indiscreta nelle sue pretese e fieramente riluttante contro chi vi reagisse. La legislazione sociale, infatti, di que' tempi, volgesi non a proteggere l'operaio ma bensì (non senza qualche ragione) a contenerne l'intemperanza. (41) Ma scaduti gli ideali etici cosi propizi alle classi laboriose, degradano le sorti di queste ultime fino a rovesciare totalmente la bilancia. L'associazione robusta fra i lavoratori, proprietari e capitalisti, si scinde per far luogo al salariato, questo si deprime nel proletariato, il quale alla sua volta fa luogo al pauperismo. Tre gradi discendenti cui corrisponde la elevazione progressiva dei dispositori degli strumenti produttivi, cioè della terra e del capitale.

 

                Giova riassumere questo processo ed i risultati finali.

                In Germania l'età stessa della riforma, che compie le usurpazioni dei beni ecclesiastici da parte dei principi e signori, inizia la espulsione dei coloni dalle terre fecondate secolarmente dai loro sudori sotto la tutela del diritto consuetudinario cristiano; espulsione nel Mecklemburgo violenta; altrove simulata, in tutta la nazione aiutata da cavillose interpretazioni del giure romano, ma che dovunque riesce a sostituire le terre arative ai pascoli e la piccola alla grande coltura. (42) Così in Francia la prosperità delle campagne, che (come attesta Bodin) perdura nel secolo XVI, decade sotto Luigi XIV (43) di mano in mano che la nobiltà, forte dell'appoggio dei giuristi, espropria i piccoli coltivatori ed usurpa le terre comunali. (44) E quando più tardi l'assemblea costituente con postuma resipiscenza vieta le chiusure, l'antico sistema agrario è in breve parte ormai sostituito dal latifondo. (45) Del pari fra il secolo XVI e il XVII precipitano le economie patriarcali per far luogo all'accentramento delle proprietà terriere nel napoletano, onde Genovesi, giudicando retrospettivamente la compiuta trasformazione, deplora amaramente che sopra sessanta famiglie una appena è posseditrice di stabili, 59 non hanno terra da seppellirsi; e procede parallela l'appropriazione dei beni comunali da parte dei baroni che provoca, anzi, nel 1644 un tumulto. (46)
E’ questo il periodo in cui soverchia il latifondo anche nell'agro romano e i nuovi tenimenti invano i papi tentano, con leggi minatorie e coercitive contro i proprietari, di ridurre a coltivazione; (47) anzi dovunque si costituiscono i magistrati per i beni incolti (48) e tuttavia Necker, in Francia, ancor deplorava che le terre sottratte alla produzione delle sussistenze siano dedicate ai parchi ed ai giardini dei grandi. Ma il procedimento, comune nei secoli XVI e XVII a gran parte d'Europa dell'annichilamento della classe colonica, è caratteristico e solenne in Inghilterra. (49) Essa si effettua in tre momenti con successione incalzante. Nel secolo XVI una prima conversione delle terre arative a prati e la appropriazione (chiusura) dei terreni comuni, si effettuano generalmente sotto la lusinga degli elevati prezzi del bestiame. E l'opera, che già nel 1547 è additata da Latyrner (50) come «obbrobrio del regno e tendente a ridurre i coltivatori in schiavitù», strappa 50 anni più tardi a Bacone la melanconica sentenza: «Nell'Inghilterra, ove erano popolosi villaggi si trova oggi una verdeggiante campagna, un pastore ed un cane.
Iam seges ubi Troia fuit». (51) Il secolo XVII segna il secondo momento: sotto l'impulso della elevazione del prezzo dei grani, che induce a dissodare terreni meno feraci e perciò di più costosa coltivazione, tendesi a sostituire la grande impresa che meglio economizza le spese. Ricorre quindi una serie di violente usurpazioni sopra i beni comuni e dei liberi «tenanciers» che una legge propizia di Elisabetta (52) aveva favorito, le quali espropriazioni raggiungono il culmine all'esordire del secolo nostro, sicché «le terre possedute prima da dieci coltivatori liberi ed agiati sono ormai (esclama un contemporaneo) (53) possedute da un solo proprietario mentre gli altri nove sono divenuti suoi schiavi». Ecco la fonte per cui s'ingrossa il vagabondaggio che rifluisce dalle campagne in città e preme sul bilancio della tassa dei poveri. Il terzo momento trapassa il periodo della rivoluzione francese e coincide con la metà del secolo nostro, in cui l'assottigliamento della popolazione stabile agricola è ridotto all'estremo in nome e con l'aureola dell'alta coltura scientifica e capitalista («high farming») onde il trionfo dell'agricoltura coincide con l'avvilimento delle classi inferiori. (54) Ciò egualmente in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda. Il sacrificio progressivo dei coltivatori irlandesi attraverso tre secoli non è che un episodio più lugubre di questo processo storico generale. Ivi, per le antipatie di razza, per odio di religione, per raffinata persecuzione delle leggi, la evizione non significa vagabondaggio dalla campagna alla città ma esilio dalla patria o trapasso alla morte. Tutte le sofferenze e le calamità sopportate dal popolo inglese si devono imputare, pensa Rogers, ai misfatti dei governanti e dei grandi e ad una legislazione positiva nefasta, cui urge di opporre una legislazione nuova fondata su principi differenti. (55) Per quanto si voglia riconoscere in questo processo l'azione di alcune cause naturali di trasformazione economica, la quale trae seco attriti e vittime, è impossibile non scorgervi il risultato della cupidigia delle classi superiori che del lusso dissipatore si rifacevano sopra le moltitudini campagnole, nonché della ingiustizia delle leggi ministre di odi religiosi. Già in Inghilterra fino dal secolo XVI uno scrittore (Wilson, 1571) giudicava la fatale trasformazione già progredita con queste parole: «In tutta cristianità non riscontrasi una così grande decomposizione civile come nella Gran Bretagna», (56) ed un altro a distanza di un secolo e mezzo esclamava: «Noi abbiamo convertito una nobile ed operosa cittadinanza in una gente di oziosi e mendichi»). (57)


                Invero, non in tutti i paesi d'Europa il salariato agricolo venne a sostituirsi con eguale intensità all'antico ordinamento rurale, ma dal di della riforma esso rimase il centro verso cui gravitano incessantemente le popolazioni campagnole. Cosi si compie la separazione dolorosa di quell'intimo e sapiente connubio che per secoli strinse le classi coltivatrici e quelle proprietarie del suolo, rimanendo da un lato il lavoratore col salario contrattuale a giornata, da un altro il proprietario della terra colla rendita; separazione nuova nella storia della civiltà cristiana (58) che riproduceva da vicino il tipo romano dell'economia rurale a schiavi.

 

                Somigliante genesi ebbe il salariato industriale in intima connessione con quello agricolo. Le turbe espulse dai campi aviti e rifluenti nelle città, formano le prime e numerose reclute del salariato nelle industrie manifattrici. A sostituire all'artigiano indipendente questi nuovi venuti, tratti da necessità a vendere le proprie braccia ad un padrone per un salario giornaliero, contribuirono le vicende delle corporazioni, in qualche luogo per egoismo di statuti, ora più che mai chiuse nel privilegio, e perciò riluttanti all'accoglienza di nuovi membri, altrove disciolte violentemente, come in Inghilterra sotto Enrico VIII ed Edoardo VI, dovunque irrigidite dal regolamentarismo amministrativo sì da non poter atteggiarsi alle esigenze delle più recenti industrie e dispiegare sovr'esse la loro funzione tutrice e promotrice a pro dell'artigiano. A precipitare la genesi del salariato concorse il declino anticipato (specialmente in Inghilterra e Francia e alquanto meno in Germania) delle piccole industrie autonome di fronte alle grandi imprese manifatturiere, le quali vennero a costituirsi e giganteggiare di mezzo a quelle, non già sempre per forza propria e con processo spontaneo, ma d'improvviso e artificiosamente con capitali dello Stato o di compagnie di capitalisti privilegiate che già erigonsi numerose in Inghilterra sotto Elisabetta e Giacomo I (59) ed in Francia per opera di Colbert; (60) in ciò, come nella rimanente politica economica, dovunque e lungamente imitato dai re fino a Federico II in Prussia e a Maria Teresa in Austria.

 

                Finalmente, a determinare la diffusione duratura del salariato, si aggiunse la trasformazione tecnica che al lavoro diretto sostituisce la macchina; trasformazione che si effettua primamente nella Gran Bretagna nella seconda metà del secolo XVIII seguendo le grandi invenzioni della meccanica industriale di T. Wyatt, di Hargreaves, di Highs, di Arkwright fino ai motori a vapore di Watt ed applicandosi principalmente alle industrie tessili e di là passando, col secolo nuovo, a tutta Europa e pressoché a tutti i rami della produzione. Che se questa innovazione tecnica, che per se stessa è mirabile progresso della potenza umana sulla natura, non può chiamarsi in colpa della occasione apprestata al propagarsi del salariato, non così le cause concomitanti che al salariato davano proporzioni amplissime e aspetto formidabile nel secolo XIX. Queste cause essenzialmente morali si compendiano in quella febbre, che da allora in poi invade gl'industriali (e che già il nostro Romagnosi contrassegnava col nome triste di industrialismo) per cui i lucri dei capitalisti imprenditori apparvero avvantaggiarsi in misura che la posizione del lavoratore fosse più precaria e necessitosa. D'allora in poi e per lungo tempo (61) l'adozione dei processi meccanici non fu più un modo di avanzamento economico a vantaggio comune, ma il risultato di un iniquo calcolo per meglio impinguare i profitti del capitalista mediante la depressione economica del lavoratore. Così si spezzava anche nelle industrie quel coordinamento organico tradizionale fra impresario e artigiano della manifattura medioevale e, insieme con la scissura profonda di queste due classi economiche, sorgeva la distinzione dei redditi rispettivi: il puro salario da un lato e il puro profitto dall'altro.

 

                 Costituito il salariato agricolo e industriale di contro ai dispositori degli strumenti della produzione e creato così il giuoco alterno della domanda e dell'offerta delle braccia, è naturale il passo alla opposizione degli interessi rispettivi e, nel conflitto fra forti e deboli, il sacrificio crescente di questi ultimi. Le mercedi degli operai nel medio evo eransi tenute generalmente elevate e superiori ai mezzi della sussistenza. Ne son prova la prosperità e potenza delle classi artigiane e le leggi stesse regolatrici dei prezzi intese a temperarne l'esuberanza. (62) Ma dal secolo XVI prorompe il conflitto che sospinge gradualmente il salario alla diminuzione. Né esclusivamente per combinazioni accidentali ed involontarie ma in buona parte per proposito deliberato, così nelle industrie agricole che nelle manifatturiere. Vi concorre invero l'accrescimento della popolazione lavoratrice che, contenuta entro limiti moderati dall'ordinamento stesso dei piccoli e mediani ceti rurali radicati alla terra durante l'età di mezzo, (63) ricevette (in Inghilterra però non prima del secolo XVIII) un impulso a moltiplicazione dallo stesso salariato che soppresse nelle moltitudini lo spirito di conservazione e di iniziativa economica propria. Ma fin dal secolo XVI in Inghilterra l'intervento del capitalista a deprimere il salario con le coalizioni degli imprenditori o la tacita loro congiura, celebra le sue lugubri vittorie nelle campagne come nelle città. (64) Vi si aggiunge l'opera della legge la quale, in questa diminuzione della mercede, non ha più le giustificazioni delle antiche tassazioni del salario. (65) Caratteristico il nuovo statuto dei lavoratori di Elisabetta (1563) che, confermando altro statuto di Edoardo III (1495), rimette la tassazione dei salari ai giudici di pace, vale a dire alla balia dei proprietari loro padroni cui spettava pure l'amministrazione delle contee. (66) Così segue una enorme degradazione che dal 1495 al 1611 scende ad un quarto del salario primitivo e che, salvo una breve elevazione al tempo di Cromwell, prosegue fino al secolo nostro. (67) A questo ruinoso assottigliamento avevano concorso le adulterazioni monetarie di Enrico VIII (68) e gli effetti profondi e generali dell'afflusso dei metalli preziosi nel secolo decimo settimo (69) che esacerbarono, senza corrispondente miglioramento della mercede monetaria, il prezzo delle derrate. La discesa fatale si riconosce nello stesso periodo in Italia ove i contratti usurari alla voce accelerano il moto, (70) ed in Francia, allo stremamento dei salari conseguenza del lusso dissipatore della nobiltà, (71) si aggiungono le estorsioni della borghesia (72) e quivi come dovunque incoraggiate da una beffarda filosofia. (73) Il minimum dei salari si raggiunse nell'anno memorabile 1824 che segna la riduzione di esso allo stretto necessario alla vita. Così il salariato precipita un altro passo più, sotto e piglia nome e forma di proletariato, condizione cioè, di moltitudini che ricevono per rimunerazione non più dell'indispensabile alla sussistenza.

 

                Ma per toccare il fondo occorre discendere un altro grado ancora; dal proletariato, cioè, trapassare al pauperismo, che esprime la miseria di moltitudini operaie abili al lavoro perché respinte dalle occupazioni normali delle industrie. Il fatto si ricollega con le cause generatrici dei due stati anteriori del salariato e proletariato e non ne è che una prosecuzione; ma trova una cagione concomitante nell'accumulazione rapida e incessante dei capitali ulteriormente combinata col malo impiego di questi.

 

                Dalla diminuzione dei salari piglia la data l'impinguarsi dei profitti e quindi la enorme accumulazione del capitale ed essa viene aiutata dalla sopravvenienza dei metalli preziosi americani, e ancor prima, nel secolo XIV, dal diffondersi delle abitudini del prestito feneratizio la cui legittimità trovasi vivamente contrastata in Germania e in Olanda (in onta alle sentenze contrarie dello stesso Lutero) da giuristi e più dalla pratica generale, con subite e perniciose conseguenze, nella economia popolare. (74)All'indomani della costituzione del salario, e simultanea all'ingrossare dei profitti, si disferra dovunque la speculazione sulle merci, sulle masse monetarie, sui titoli di credito. Già le speculazioni mercantili, che rialzano il prezzo degli oggetti di consumo per la incetta delle derrate e il monopolio organizzato delle industrie fino dai primi decenni del 1500 (e quindi molto innanzi alla rivoluzione dei prezzi arrecata dai metalli americani), suscitano i clamori popolari, le repressioni delle leggi (75) e la denunzia dello sfruttamento delle classi povere da parte dei primi socialisti. (76) E in onta che tali proteste in parte si devono attribuire alle difficoltà generate dalle nuove vie commerciali, pure la degenerazione della economia è attestata dalla rapida accumulazione ed incentramento dei capitali in mano degli speculatori. Già la casa Fugger di Norimberga, alle cui operazioni si associarono nobili e principi, ostentava, a metà del secolo XVI, un patrimonio di 63 milioni di fiorini e il grande mercante e banchiere d'Augusta, Hochstetter, che nella sua floridezza sparnazzava diecimila fiorini in un festino e altri trentamila in una sola volta al giuoco, preludeva, intorno allo stesso tempo, ai fallimenti fraudolenti dell'età moderna d'ogni classe. (77) Alla accumulazione del capitale mobile, altrettanto e più della sopravvenienza graduale dei metalli preziosi del Messico e del Perù, concorrono le grandi compagnie nazionali e internazionali di commercio le quali, non solo col monopolio rovinano le piccole imprese, ma con la forma di società per azioni al portatore fanno partecipare il pubblico in generale alla febbre della speculazione. (78) Cominciate nel secolo XVI in Italia, grandeggiano in breve nelle compagnie olandese ed inglese delle Indie orientali (1599-1602), nella compagnia di assicurazioni marittime in Francia (1664), accompagnate e seguite da tutti i monopoli mercantili e industriali che introduceva la Spagna in ogni suo dominio, compresa l'Italia, e da quelle in cui Federico II incentrava tutti i rami dell'attività economica. Corre parallela alla speculazione mercantile propriamente detta quella bancaria sul cambio e sull'oscillazione dei valori monetari ad attestare vieppiù il predominio del capitale mobile. Alle stesse compagnie di commercio (che assommavano anche operazioni bancarie), si aggiunge ora il diffondersi dei banchi di deposito e di compensazione (bancogiro) di S. Giorgio e di Venezia prima e poi, nel secolo XVII, quelle di Amsterdam (1609), di Norimberga (1619), di Rotterdam (1633), pronte a trasformarsi in banche di emissione come quella di Stoccolma (1668), seguita dalla Banca d'Inghilterra (1694), dalla Banca di Scozia (1695) fino alla Banca di Law (1716) in Francia.

 

                A questi organi potenti di speculazione sul capitale monetario appresta materia copiosa il debito pubblico che prende assetto regolare per la prima volta sotto Guglielmo III in Inghilterra, contemporaneamente al sorgere della Banca di Londra (1694), col congegno delle rendite perpetue, rimanendo da quel momento in poi aperto un campo sconfinato agl'impieghi ed ai giuochi aleatori degli speculatori in tutti i paesi fino ai giorni nostri. Così si inaugura puranco e si propaga la speculazione di borsa, ossia sopra i titoli di credito rappresentativi di un valore.

 

                Con tutti questi presidi e fomenti, s'insedia il predominio del capitale mobile aleatorio e, dopo le prime prove nei paesi germanici (che già dicemmo) nel secolo XVI, trionfa nel seguente in Inghilterra con la rivoluzione del 1688 e di là trapassa in Francia specialmente alla morte di Luigi XIV. Codesto predominio è attestato dal grandeggiare delle borse, nuovi centri di ritrovo della speculazione, sostituiti alle antiche fiere dei cambi; primeggiando fra esse Francoforte nel secolo XVI, Anversa, prima della rivoluzione delle province unite, ed Amsterdam dopo di essa, poi Edimburgo e finalmente, lungo il secolo XVIII, Londra, condividendo il primato con Parigi soltanto dopo il 1815. Le speculazioni smodate sui prezzi di monopolio e sopra i valori delle azioni delle compagnie delle Indie inglese ed olandese, provocano petizioni alla Camera dei Comuni contro la prima, precipitano al fallimento la seconda e con se quello della stessa Banca di Amsterdam. Speculazioni furiose dirompono in Inghilterra fra il 1688 e il 1720 e il capitalismo degli ebrei olandesi, trasferiti in Inghilterra sotto Cromwell, e della grassa borghesia puritana, che aveva contribuito prima al trionfo della repubblica e poi alla restaurazione della monarchia degli Orange, trae nell'orbita dell'aggiotaggio il governo stesso con la compagnia del mare del sud (1717-19). Allora lo spirito furioso di speculazione invade la Francia, partecipandovi col governo oberato, colle classi nobiliari dilapidatrici, colla borghesia nuova, tutta intera la nazione. Ma la circolazione frenetica dei biglietti di banca in tutta la Francia, i giuochi colossali sulle azioni del Mississipì (1716-19), il fallimento di Law e la liquidazione universale (1721), non sono che una manifestazione più ampia, più drammatica e infine più socialmente ruinosa di quanto operavasi di lunga mano nelle nazioni vicine e che avrebbe rinvenuto universale applicazione nel secolo seguente, sotto l'impero irrefrenato della speculazione capitalistica.

 

                Ma frattanto la pletora dei capitali di origine impura o sospetta, che si aggira ed incalza in queste operazioni intermediarie ed eminentemente aleatorie, urta e preme sopra l'altra porzione di capitale impiegata durevolmente e virtuosamente nelle industrie e nell'agricoltura o nei più solidi ed onesti collocamenti. I profitti di queste intraprese, per la concorrenza del nuovo capitale precario ed irrequieto che non viene prestato ad esse che a condizioni onerose e a corto termine e le crisi mercantili, monetarie e di credito da quello moltiplicate con breve e periodico ritorno, distolgono vieppiù i capitalisti imprenditori da impieghi diretti e duraturi a beneficio della produzione e del consumo. In tal modo la formazione del capitale nell'età moderna si accresce bensì ogni giorno più, ma la porzione di esso, che impiega stabilmente le braccia, non è proporzionata ed anzi si restringe e concentra di, continuo a favore di pochi potentissimi intraprenditori più adatti a resistere alle scosse del mercato e fors'anco a premere sopra gli offerenti del lavoro. Ed ecco, come avverte il Thorton, un residuo di disoccupati che, aggiungendosi alle vecchie turbe di vagabondi perseguitati dalle leggi inglesi, non sono i morituri di Malthus, ma una armata poderosa e crescente di lavoratori oziosi e ammiseriti, non già per difetto di capitale, ma per contrazione artificiosa della domanda di lavoro. Presentasi quindi il pauroso fenomeno del pauperismo, cioè, di miseria di moltitudini atte al lavoro che, col nome di triste originalità inglese, ebbe precedenti remoti nel cadere dell'età di mezzo e col sorgere della riforma in tutte le nazioni ed ora rinviene continuatori negli odierni disoccupati delle città europee ed americane. Anche nei riguardi economici il dissolvimento dell'economia medioevale, che aveva il suo centro di gravità nelle classi mezzane operose, è già compiuto all'esordire del secolo XIX e al suo posto si disegna quello stato morboso il quale si rivela, al dire di Roscher, col duplice aspetto del pauperismo e della oligarchia del denaro.

 

                Attraverso un processo storico di oltre tre secoli in Germania, in Inghilterra, e in Francia si era così compiuto il progressivo dissolvimento dell'ordine civile eretto dalla Chiesa nell'età di mezzo e ciò simultaneamente nei rispetti politici, sociali ed economici. Gli avvenimenti che si svolgono lungo il secolo presente non sono che una diffusione universale di questo stesso diuturno procedimento storico.Quest'ultima fase cosmopolitica si schiude dapprima col genio di Napoleone e segue la corsa trionfante delle sue aquile per cui si accomunano a tutta Europa le istituzioni e lo spirito della rivoluzione francese.
Si svolge più tardi sotto l'influsso del liberalismo trasfuso nelle dottrine e nelle abitudini universali delle popolazioni, in specie dopo il 1830, raggiungendo il suo apogeo e quasi la sua epopea alla metà del secolo col terzo Napoleone. Ma lo spirito informativo del movimento sociale rimane identico anche sotto professione di libertà, divenuta il programma inebriante di tutti i popoli e l'orgoglio del nostro secolo, perocchè il concetto di libertà oggi ancora non derivasi dall'autorità divina, ma s'incardina nell'individuo e, attraverso il proscioglimento di parecchi vincoli ingiustificati (reliquie di vecchio o nuovo assolutismo), significa sempre sostanzialmente emancipazione dalla legge morale cristiana.

 

                Questo spirito riproduce, in contrasto con la parola, risultati consimili a quelli dei tre secoli anteriori.

 

                Politicamente il liberalismo esprime affrancazione dell'individuo, la più completa e sconfinata, ma pure dovunque esso tende a deprimere l'autorità delle famiglie; le associazioni spontanee consente ed anco favoreggia, ma rimane ognora riluttante a riconoscere la loro costituzione permanente in forma di enti giuridici; le autonomie locali vengono affermate negli statuti, ma fondate sopra aggregazioni artificiali, non radicate nella costituzione naturale storica; le rappresentanze popolari sono chiamate al governo, ma non rispondenti alla gerarchia delle varie classi, organo di trasmissione al potere più che dei bisogni collettivi sociali, della volontà smodata delle maggioranze, componendo nell'insieme un assetto politico diretto, più che ad avvalorare la libertà, a preparare l'eguaglianza livellatrice. Tendenze fatali che si riscontrano del pari fra gli Stati antichi e nuovi del continente e in mezzo alle istituzioni storiche dell'Inghilterra. (79) Anzi, come ai girondini successe in breve la conquista giacobina cioè, al culto entusiasta della libertà, la frenesia dell'eguaglianza, così nella seconda metà del secolo nostro quello stesso spirito informativo che divinizzava l'individuo, trasferendosi di più in più a divinizzare la società tutta intera, fa luogo, dopo il 1860, al processo lento, graduale, universale del socialismo di Stato in nome degl'interessi e della preponderanza numerica delle moltitudini. (80) E così la mania del legiferare in Europa, come in America, (giustificata vieppiù dal bisogno di riannodare i vincoli recisi dal malinteso liberalismo e sospinta dalla organizzazione minacciosa del socialismo) attua, con passo silente ma continuato, la immolazione della libertà in favore di un nuovo assolutismo collettivo. Né diversamente nei rapporti etico-sociali. L'egoismo inaugurato dalla riforma trova nelle dottrine individualistiche dell'età nostra una più sistematica giustificazione (81) e la solidarietà sociale, più che mai allentata e scossa per l'assenza dei nuclei corporativi e degl'istituti del patronato, ha fatto luogo ad una scissura fra le classi eguale o maggiore che nei tre secoli anteriori; soltanto essa, che prima si schiuse fra principi e popolo poi fra questo e la nobiltà, oggi s'interpone fra le moltitudini e la borghesia.

 

                Economicamente il liberalismo che si affranca dalla legge morale, fomenta e solleva vieppiù l'utilitarismo, e riconduce inaspriti i medesimi effetti. E così, nel conflitto della utilità materiale, eretta a norma sovrana universale, si riproduce in maggiori proporzioni il duplice fenomeno del sacrificio dei piccoli e del sovrapporsi dei potenti e con esso del salariato, del proletariato e infine del pauperismo col riscontro della plutocrazia nell'Europa centrale, nella Russia, nell'Australia, nell'America. (82) All'odierno salariato porse, anzi, nuovo e potente impulso il predominio, anche nei paesi più tardivi (fra il 1830 e il 1860), delle industrie meccaniche e delle grandi imprese agricole, dietro la scorta della scienza e fra l'ampliarsi mondiale del libero cambio. Il proletariato, per cui la mercede rimane stremata al di sotto del necessario alla vita per lasciare più pingue profitto all'imprenditore, rinvenne amplissima occasione a propagarsi nella sostituzione di donne e fanciulli al lavoro adulto e virile; sostituzione che, anticipando già in Inghilterra durante il secolo XVIII (si da provocare nel 1801 la prima legge che la limiti), diventò generale in Europa nel secolo nostro. Il pauperismo alla sua volta, che fa oggi comparsa dovunque con le crescenti schiere di disoccupati, trae il suo alimento quotidiano dalla diminuzione della richiesta di braccia per il giganteggiare delle stesse imprese meccaniche automatiche, pel prolungamento della giornata di lavoro degli operai e sopra tutto per l'alea crescente che sopra le industrie rigetta l'enorme coacervo dei capitali irrequieti che si aggirano nelle speculazioni morbose dell'aggiotaggio, divenuto mondiale, il quale rende le crisi periodiche frequentissime ed internazionali, oppure speculando sopra immense operazioni edilizie, ferroviarie o di pubblici lavori, suscita una momentanea chiamata di lavoro che poi al compimento si arresta per sempre. Tutta intera la economia produttiva, in tal guisa, rimane alla balia del capitale fluttuante.

 

                Nel nuovo mondo, fra una natura vergine e sterminata percorsa e compulsata da energiche e confluenti popolazioni, questa evoluzione morbosa parve allo schermo d'ogni pericolo; eppure la triste fisonomia della vecchia Europa ormai si disegna in volto a quelle giovani generazioni e in un teatro cosi profondamente diverso. Il mediocre podere, che era l'idillio dei primi colonizzatori e formava la forza nazionale, si sperde negli enormi assegnamenti delle terre, di cui si accusa la legge stessa e colà pure si riproducono i latifondi di Roma. E del pari le piccole industrie ivi danno luogo ad ingenti imprese manifatturiere, male emulate dall'Europa, e il capitalismo, che monopolizza il terreno e i quartieri di intere città, che sfrutta le popolazioni nelle migliaia di banche o si sbizzarrisce nelle speculazioni di metalli preziosi e nei più folli ardimenti dell'aggiotaggio, finisce con l'imporsi alle elezioni del governo e strappargli un regime di protezionismo a suo profitto. (83) Frattanto il lauto salario, per lungo tempo invidia e fortuna degl'immigranti europei, ivi pure si assottiglia e raggiunge il minimo nel 1870. Anzi è lo Stato medesimo il quale, mercé un vero delitto sociale, precipita lo storico processo di formazione della grande proprietà terriera e, inconscio ministro della crescente popolazione, decreta ufficialmente il latifondo. E questo dilaga immenso, minaccioso, universale. Al sorger di questo novello fattore di rovine, erompe un grido di dolore dalla coscienza nazionale. «Una classe di proprietari assenti, esclama il World di New-York, tende a divenire caratteristica alle vaste regioni agricole della Nuova Inghilterra, crescenti d'anno in anno nel valor nominale dei terreni e nei fitti e degradanti nel benessere dei loro coltivatori». (84)
Il pauperismo colà creduto impossibile, già spuntato dal 1815 negli antichi Stati dell'Unione, si accresce con triste rapidità, né il deprezzamento dei viveri, sopraggiunto dopo il 1880, valse a redimere il nuovo mondo dal pallido morbo della miseria e già nel 1886 gli Stati Uniti contavano un milione di disoccupati sopra di cui si erige la oligarchia dell'argento. (85) Questo stesso anno, all'incirca, è la data sinistra che diffonde i disoccupati nelle più fiorenti città e regioni di tutta Europa, ultima forma della imminente crisi sociale. Si parlò da qualche socialista di novella servitù che incombe oggimai in mezzo a tanta e si ampia professione di libertà sulle moltitudini laboriose, ma è certo che quest'ultimo assetto economico, non meno che il sociale ed il politico, va rassomigliando ognora più a quello dell'antica Roma, ove le moltitudini, diseredate e turbolente, gemevano sotto il pondo di pochi trionfatori: unica previsione la riscossa cruenta degli oppressi. Poche inflessioni, sfumature e penombre, che pur possono qua e là verificarsi, non detraggono a questa formidabile espressione complessiva del quadro.

 

                Tale sintesi della genesi storica dell'odierna crisi sociale desunta da lavori ponderati in cui si esercitarono specialisti di incontestata autorità, non risulta meno feconda di solenni ammaestramenti appunto perché in essa l'intreccio dei particolari non impedisce la veduta delle grandi linee prominenti e comprensive.

 

                1. L'opposizione fra l'ordine sociale svoltosi maestoso nell'età medioevale e il sistema di relazioni civili che sta per prendere l'ultimo assetto in tutta la civiltà occidentale è flagrante. Quello, che l'autorità facendo discendere da Dio, germina tutte le libertà e un'eguaglianza virtuale che la libertà non comprime ma avvalora e si traduce nella rappresentanza di tutte le classi nel governo; questo, che presumendo di erigere sopra la libertà individuale l'autorità collettiva, tende per logica irresistibile a far trionfare l'una o l'altra forma di assolutismo, di trono o di maggioranze parlamentari, preparando col sacrificio dell'autonomia un'eguaglianza artificiosa. Ivi la solidarietà fra le varie classi sociali, cementata da mutui servigi consacrati dal dovere e dalla carità, quivi separazione profonda di classi accampate l'una di contro all'altra. Colà una economia eretta sul lavoro e volta ad assicurare il diffuso benessere dei consumatori e ad aiutare la graduale elevazione dei piccoli e dei deboli, qua un sistema di rapporti economici che s'incardina sul capitale e si atteggia all'incremento indefinito dei profitti delle classi soprastanti, con la depressione del ceto medio operoso e delle moltitudini laboriose e con tutti quei procedimenti irrefrenati e incentratori che vennero a contrassegnare (con vocabolo rispondente all'idea) l'economia capitalistica. Nell'insieme: da un lato, un ordine complesso di relazioni civili al sommo delle quali splendono, anche fra le nebbie e le tempeste delle storiche vicende, le ragioni intangibili dello spirito; da un altro, un sistema di rapporti che riproduce la fisonomia della società pagana sotto l'impero degl'interessi e della forza materiale. Ben può dirsi, che non si offendono impunemente le ragioni supreme della civiltà cristiana senza far ritorno inesorabilmente al paganesimo.

 

                2. Ricercando le cause prime e le ultime risultanze di questa storica degenerazione, non trattasi di aggiungere argomento ai sofismi del socialismo o pascolo alle passioni demagogiche. Le offese della giustizia e l'azione della prepotenza, che pure si fossero riconosciute colpevoli dei presenti malori, non legittimano in nessun caso la distruzione dell'ordine sociale giustificato da inconcussi principi di ragione, consono alla natura degli uomini e del mondo esterno, consacrato dalla religione e dalla storia. Nessuno del pari intenderebbe con ciò di negare quelle legittime trasformazioni degli ordini civili le quali, lasciando intatti gli istituti fondamentali della libertà e della eguaglianza armonizzate dall'autorità, seguono storicamente lo sviluppo normale dell'incivilimento. Intendesi con ciò di comprendere quelle innovazioni che politicamente accompagnano la formazione di omogenei e saldi Stati nazionali, socialmente conseguono alla espansione crescente delle classi mezzane per virtù d'intelligenza e di operosità ed economicamente, infine, quelle che necessariamente derivano dalla preponderanza del capitale e delle classi direttrici della pubblica ricchezza. Anco la Chiesa, pur tanto sottile e severa nel rintracciare e condannare i lucri inonesti del capitale, riconobbe l'importanza di questo e la legittimità dei suoi profitti ne' suoi normali impieghi; solamente l'uso del capitale essa circuiva di cautele e riserve acciocché, con l'offesa della giustizia, l'accumulazione precipite e indiscreta di esso non scuotesse, anziché convalidare, lo sviluppo graduale della ricchezza fondata sul lavoro e la preponderanza dello strumento non trasmodasse a deprimere, anziché a sorreggere e nobilitare, l'autore vero della produzione, l'uomo. E in ciò rivelasi la sua sapienza per cui essa, con leggi reputate grette e pregiudizievoli, valse invece a ritardare un'alterazione indebita e profonda dei rapporti economici che avrebbe poi rifluito sinistramente su tutta la vita sociale. Non vuolsi egualmente disconoscere che non pochi attriti e contrasti dolorosi, che segnarono la transizione dall'ordine medioevale a quello contemporaneo, non fossero in qualche parte indipendenti da malvoglienza umana, ma piuttosto riuscissero una conseguenza inevitabile del cammino laborioso del progresso. Ciò più specialmente conviene riferire a quella grande trasformazione che segnò il passaggio per i popoli europei, in generale, all'esordire dell'età moderna, dalla economia naturale a quella monetaria, o a quella che ulteriormente, intorno alla metà del secolo nostro, sospinse le nazioni moderne anche più arretrate, ad entrare in una economia di credito. Bensì miravasi, con queste indagini comprensive, a sollevarsi al di sopra di tali cause prossime ed accidentali per ricercare una causa remota da cui tutte rimanessero influite, generando l'odierno disordine sociale nei suoi tratti caratteristici. Or bene: una serie di vicende morbose e deleterie le quali, con mirabile uniformità di manifestazioni in tutti gli aspetti politici, etico-giuridici ed economici del consorzio civile e con una medesima tendenza finale si riproducono storicamente attraverso il corso di quasi quattro secoli in tutte le nazioni d'Europa e d'America pur variamente e talora profondamente distinte per condizioni etniche, cosmiche e di civiltà, deve risalire ad una cagione prima, comune e superiore a tutte le altre, a cui corrispondano quegli universali risultamenti. La osservazione storico-induttiva addita questa cassa nella riforma di Lutero, propagatasi direttamente o coi suoi influssi a gran parte d'Europa, e, nell'umanesimo, che quella largamente preparò e convalidò. Essa alterò dapprima taluni sommi veri religiosi che, scombuiando e scuotendo la coscienza morale, vennero a generare conseguenze non previste e non volute ma inesorabili, lungo i secoli fino ai dì nostri, nelle relazioni esterne sociali. Al posto di Dio, principio e fine dei rapporti sociali, collocò l'uomo; sicché non più il dovere in ordine a fini superni rimase moderatore delle azioni reciproche umane, bensì l'utile; ed ecco che si manifesta in tutti gli ordini sociali, civili, economici, un processo fatale di accentramento egoistico di poteri e d'interessi: il quale, in breve, provoca la rivoluzione al basso da cui ulteriormente non si esce se non restaurando un nuovo assolutismo in alto. Processo parallelo a quello della scienza la quale, facendo dapprima divorzio infine ribellione dalla fede, oscillò da allora in poi da un sistema dottrinale d'individualismo, che corrompe il concetto di libertà e disconosce l'organismo sociale, ad uno di panteismo politico che, falsando il concetto di autorità, giustifica la statolatria. Per quanto si voglia accondiscendere largamente all'azione di cause estrinseche accidentali di molteplice natura che contribuirono all'odierna crisi sociale, è impossibile non attribuire in essa una parte notevole, anzi prima e massima, al guasto morale delle coscienze conseguito all'abbuiamento della fede che si tradusse nelle abitudini dei popoli, nelle loro istituzioni e nel cammino dell'incivilimento. Tale conclusione trovasi concordemente assicurata da argomenti filosofici, ma, insieme, da quattro secoli di esperienze storiche.

 

                3. E’ sommamente istruttivo misurare l'effetto finale di questo movimento in rapporto al suo impulso iniziale. Quella prima ribellione non si dirigeva che al cattolicesimo pretendendo anzi di lasciare intatto e purificato vie meglio il cristianesimo e i connessi benefici della civiltà, anzi di accrescerli con allargamento della libertà a benefizio universale: invece ne consegui distruzione completa dell'ordine politico, sociale ed economico! Specialmente le classi più numerose, anche nei momenti intermedi della grande evoluzione, non ne hanno approfittato, bensì ne furono le vittime principali. La rivoluzione germanica del secolo XVI andò di preferenza a vantaggio delle dinastie principesche; la rivoluzione inglese del secolo XVII ad incremento delle classi privilegiate fondiarie; la rivoluzione francese del secolo XVIII a predominio durevole della classe media borghese. E il momento odierno universale non fa promessa di accontentare le classi inferiori se non deprimendo le classi superiori al loro livello e con ciò non facendo opera di libertà, bensì di eguaglianza nella comune servitù. Così un movimento sociale inauguratosi in nome della libertà, finiva, negli stadi interposti come nel risultato finale, alla consacrazione della forza imperante in tutti i rapporti sociali: l'impero della forza nei rispetti politici, rappresentato dall'onnipotenza di Stato: l'impero della forza nei riguardi etico-sociali rappresentato dalle classi superiori che, fiere della propria eccellenza, sommettono in un disuguale conflitto le inferiori: l'impero della forza nei rapporti economici, rappresentato dal predominio del capitale, donde il nome ed il carattere della odierna economia capitalistica. Oggi stesso le previsioni di un fosco avvenire si avvicendano fra il dilagare di un novello individualismo che rechi al trionfo il socialismo anarchico e l'insediamento graduale e duraturo di un nuovo panteismo sociale attuato dal socialismo di Stato; ma è sempre la forza che definitivamente minaccia di erigersi irrefrenata in mezzo alle società europee.

 

                4. Fermata così la diagnosi dell'odierne condizioni sociali in relazione alla sua genesi storica, diviene indispensabile trarne arditamente le logiche deduzioni che la scienza richiede e lo stato degli animi imperiosamente reclama per rimuovere quei pregiudizi che ingombrano ed impediscono la comprensione del vero in tutta la sua ampiezza e gravità. Si dice sovente che noi siamo i figli della rivoluzione francese: questa veduta è ancor troppo corta e bisogna apertamente riconoscere di essere i tardi nepoti, i cui proavi furono gli umanisti italiani e i riformatori germanici. Non uno dei vizi che insidiano la società moderna ha la data d'ieri, ma ciò che veramente li rende pericolosi è il carattere loro di una malattia cronica che corrode la società moderna nella vita politica, etica ed economica da ben quattro secoli. Giudicare dei tempi nostri, all'infuori di questa grande legge di continuità storica, aprirebbe l'adito a conclusioni insufficienti per la scienza e inadeguate a virili propositi.
Se inoltre la recente critica ha dissipato l'aureola quasi leggendaria che circondava le tre rivoluzioni di Francia, d'Inghilterra e di Germania, conviene pure avere il coraggio di affermare che esse apportarono nel cammino dell'incivilimento un formidabile regresso. In particolare, allo stato odierno degli studi storici, non ritiene ormai alcuna giustificazione il pregiudizio che l'umanesimo e la riforma siano state autori e ministri alle genti europee di libertà, di solidarietà sociale, di avanzamenti durevoli e progressivi. La verità è tutta all'opposto. Perché se talune manifestazioni sociali in favore della libertà pure attestò la storia moderna e se, anzi, la professione di libertà è divenuta comune ai di nostri, ciò non è che un riflesso d'idee e sentimenti connaturati all'uomo e lungamente educati dal cristianesimo, i quali proruppero intermittentemente e infine si diffusero all'universale, come reazione all'impero secolare e multiforme dell'assolutismo, trionfato con la riforma, e dell'analoga contrazione di tutti gli ordini sociali. E tale libertà stessa, reclamata per violenta reazione e risorta sotto quei sinistri influssi, reca oggi pure il germe della propria degenerazione nell'assolutismo. Gli uomini che continuano a sostenere le opposte proposizioni, anziché comparire come i pionieri dell'avvenire, si proferiscono invece come le vittime di dottrine antiquate.

 

                5. Ma sopra tutto è indispensabile riconoscere nella lunga evoluzione storica che da Lutero arriva fino a noi, la genesi dell'odierna crisi sociale la quale, per tal guisa, apparisce il risultato complesso di una triplice degenerazione dell'ordine sociale cristiano prodotto, alla sua volta, da un pervertimento delle dottrine sociali del cristianesimo e quindi di una degenerazione degli ordini politici preceduta e accompagnata da una degenerazione dell'ordine etico­giuridico che infine si ripercuote nella degenerazione dell'ordine economico.Queste furono le cause successive, multiformi e strettamente fra loro collegate che hanno composto l'ambiente avvelenato in cui si alimenta rigoglioso e formidabile il socialismo odierno. Il quale, pertanto, (comunque si professi infesto ad ogni dottrina religiosa) storicamente risulta come una protesta non già contro il cattolicesimo, ma contro i prodotti tardivi della riforma luterana che pesarono soprattutto sulle moltitudini laboriose, dopo aver distrutto quanto il cattolicesimo nell'età di mezzo aveva gloriosamente e sapientemente eretto a decoro universale e a sollievo precipuo delle classi popolane. Invano si studierà di persuadere la insussistenza di dottrine socialistiche per se stesse ripugnanti alla natura umana e alle tradizioni storiche, se non si corregga e risani questo ambiente d'istituzioni e di rapporti sociali pervertiti che incombono sulle popolazioni e da cui solamente traggono autorità le fallacie dei dottrinari e le convulsioni delle turbe socialistiche. Si risani l'atmosfera e si rinnovi il piedistallo e la cornice degli ordini sociali e in breve la vegetazione spuria di quelle dottrine verrà ad avvizzire.

 

                6. Il programma di restauro dell'ordine sociale rimane con ciò designato come la terapeutica dalla diagnosi.

Trattasi ormai di eliminare gli ultimi residui purulenti dell'umanesimo e della riforma protestante risalendo, nell'ordine delle idee, a disdirne completamente il supremo principio informativo cioè l'autorità assoluta e l'efficacia della ragione emancipata dalla fede, per ricollocare al posto dell'uomo, coi suoi interessi, Dio e la legge morale. E avvertasi bene: quando qui affermasi la necessità che ripigli il suo predominio la legge morale, non intendesi soltanto di quell'insieme di precetti coordinati ad alcuni veri speculativi cui perviene la ragione stessa con le sue virtù naturali, bensì della legge etica positiva quale fu dettata dal cristianesimo e custodita nella sua integrità dal cattolicesimo. Questo solenne ammaestramento, infatti, ci trasmise la riforma attraverso secolari esperienze: il razionalismo cristiano, al quale presunse la riforma di affidare il labaro della civiltà avvenire, non oppose alcuna remora alla caduta di tutti quei concetti e sentimenti di cui si avviva vano le relazioni sociali d'un tempo ed anzi contribuì, sotto orpello di pseudo-religione, a precipitare la società sotto l'impero del puro razionalismo nemico d'ogni culto positivo. La stessa esperienza storica testimonia non potersi invocare alcuna altra luce di principi direttivi in mezzo al consorzio civile per ringiovanirne il vigore, fuorché quella che promana dal cattolicesimo.

 

                7. Come nell'ordine del pensiero cosi in quello dei fatti, urge oggi restaurare l'ordine sociale cristiano quale la Chiesa avea mirabilmente svolto e maturato attraverso i secoli con lotte titaniche, conquiste gloriose e inestimabili benefici: ordine sociale che la riforma ha trasfigurato e infranto grado grado fino all'odierno atomismo che, nel conflitto dei suoi elementi, accenna alla prossima negazione d'ogni civiltà. A tal uopo conviene riprodurre quell'ordine cristiano non in taluno dei suoi aspetti od istituti, ma in tutta la sua armonica integrità nell'organizzazione politica, in quella etico-giuridica e finalmente in quella sociale economica. Ogni parziale ed isolato provvedimento di restaurazione tornerebbe sproporzionato al bisogno odierno e alle storiche risultanze.In tal modo conviene riannodarsi alle tradizioni del medio evo, offuscate, osteggiate, recise dal dì della riforma in qua, ma non isradicate interamente dal fondo degl'istituti sociali e delle coscienze dei popoli europei e a cui gli stessi errori e sofferenze addensate da secoli sospingono questi, inconsci e quasi lor malgrado, a ricercare appagamento ai bisogni di una libertà che non distrugga la eguaglianza mediante i vincoli di una fraterna solidarietà.
Conviene finalmente instaurare Cristo non più soltanto nell'interiore delle coscienze ma altrettanto nei rapporti sociali, affinché sovr'essi novellamente imperi e perciò riporre alla somma direzione della civiltà il pontificato, custode e vindice di quelle supreme ragioni, per cui aveva già fiorito dovunque la repubblica dei popoli cristiani e che chiude anche oggi in pugno la promessa di rinnovellare i secoli della cristiana società. La rivoluzione germanica che si appuntava contro il papato, quella inglese, col grido che risuonò fino a ieri: «No Popery», i principi riformatori proludenti alla rivoluzione francese con la loro insidiosa legislazione contro l'autorità pontificia, attestano, per la concorde pertinacia degl'intendimenti, che nel pontificato è il ganglio e l'organo massimo della restaurazione dell'ordine sociale cristiano. Gli uomini credenti, avvalorati dall'esperienza storica, analogamente oggi invocano che il pontificato, nella pienezza della sua indipendenza, riprenda il suo posto di supremo moderatore dei rapporti sociali universali, consci che da esso deriverà il principio di una novella civiltà cristiana unica capace a dare legittima e durevole soddisfazione alle aspirazioni dei popoli moderni.

Questa è l'espressione dell'attuale momento storico che lo studio più accurato e imparziale testimonia; questo l'ammaestramento gravido di doveri e insieme di speranze che esso ci porge.

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NOTE

 

 

a ) Con piccoli aggiornamenti lessicali e semantici a cura della redazione di totustuus.net :  il testo non è pertanto utilizzabile a fini di ricerca accademica, per la quale si rimanda all’edizione cartacea citata, oppure chiedendola a  info@totustuus.net .

 

(1) RANKE, Deutsche Geschichte im Zeitalter der Reformation, Berlin, 1847; JANSSEN, Geschichte des deutschen Volkes seit dem Ausgang des Mittelalters, Freiburg in Br., 1883 e segg.; DOLLINGER, Die Reformation, ihre innere Entwicklung und ihre Wirkungen, Regensburg, 1846-48; G. R. GREEN, Short History of the English People, (trad. ital.) , S. 1. Santarelli, Firenze, 188+; MACAULAY, History of England, (trad. ital.), Firenze, 1886; BUCKLE, Histoire de la Civilisation en Angleterre, (trad. frane.), Paris, 1865; TAINE, Les origines de la France contemporaine: L'ancien régime; La Révolution (v. 4), Paris, Hachette, 1885-88; GAUME, La Révolution. Recherches historiques sur la propagation du mal en Europe depuis la Renaissance jusqu' à nos jours, Paris, Gaume; W. HOHOFF, Die Revolution seit dem sechzehnten Jahrhundert, Freiburg im Br., 1887; A. M. WEISS, Soziale Frage und soziale Ordnung, Freiburg im Br. 1892.

 

(2) C. CANTÙ, Gli eretici in Italia, Torino, 1865; PASTOR, Geschichte der Plipste seit dem Ausgang des Mittelalters, Freiburg im Br.; 1887 e seg.; BURKHARDT, Die Kultur den Renaissance in Italien, Leipzig, 1877-78; VOIGT, Die Wiederbelebung des klassischen Altertums, Berlin, 1880-81; INVERNIZZI, Il rinascimento nella storia letteraria d'Italia di Vallardi, Milano, 1878.

 

(3) ROGERS, Interprétation économique de l'histoire (trad. franc.), Paris, 1892; id., Histoire de l'agriculture et des prix en Angleterre; id., Histoire de six siècles de travail et de salaire.

 

(4) LORIA, Analisi della proprietà capitalistica, Torino, 1889; C. JANNET, Le capital, la spéculation et la finance au XIX siècle, Paris, 1892.

 

(5) C. MARX, Das Kapital, Hamburg, 1890, 4. ed.

 

(6) Questo nesso storico è rigorosamente ed ampiamente dimostrato da W. HOHOFF, Die Revolution, op. cit., nelle quattro parti in cui divide l'opera sua: «Die grosse deutsche Revolution des sechzehnten Jahrhunderts»; «Die grosse englische Revolution des siebzehnten Jahrhunderts»; «Die grosse franzosische Revolution des achtzehnten Jahrhunderts»; «Die Revolution im neunzehnten Jahrhundert (Sozialismus, Anarchismus und Nihilismus)».

 

 (7) «Ogni nostra operazione e pensiero dipende dai concetti religiosi in mezzo a cui viviamo». RANKE, Franzòsische Geschichte, IV. Sammtl. Werke, 1876.

 

(8) Il cristianesimo aveva rovesciato l'assolutismo pagano con la forza invincibile della coscienza; i martiri si erano innalzati davanti agl'imperatori dicendo: «Non possiamo: la nostra coscienza, che dipende da Dio, ce lo vieta». E da quel momento cominciò il tempo della riabilitazione della dignità umana. Ora il protestantesimo venne a proclamare che i sudditi non devono avere coscienza e il Palatinato, in pochi anni, dovette, per decreto di principe, cangiare quattro volte di religione; la città di Oppenheim fin dieci volte prima della pace di Westfalia. È questo il più grande obbrobrio di cui la storia umana ci offra esempio... Quando un potere civile giunge a questo, gli è impossibile rispettare le altre libertà. Esse infatti non tardarono a sparir tutte l'una dopo l'altra. KETTELER, Libertà, Autorità, Chiesa (trad. ital.), Parma, 1864, cp. XIV.

 

(9) A. COMTE, Cours de philosophie positive, Paris, 1861, 3. ed., Leçon 55. «La plus ancienne et la plus funeste, comme la plus unanime des aberrations qui accompagnerent le Protestantisme, consiste assurément dans le préjugé fondamental qui condamne indé, finhnent l'existence de tout pouvoir. spirituel distinct et indépendant du pouvoir temporel....»

 

(10) Vedi per tutti questi rispetti, Green, Macaulay, e. Gneist (citati), sebbene compromessi gravemente nella loro imparzialità storica da pregiudizi protestanti. Il più esplicito a proposito di Arrigo VIII e GREEN, Short History, op. cit., cp. VI.

 

(11) Le parole rituali stabilite dalla Chiesa nella incoronazione dei re cristiani, trovansi, insieme a tutte le regole cerimoniali, nel Liber Pontificalis (riportato da KETTELER, op. cit., cp. XII).

 «Sire .. Oggi riceverete la dignità reale e assumerete la cura di governare i popoli fedeli che vi sono affidati... Ora se voi considerate che ogni podestà viene dal Signore Iddio, per cui regnano i re e i legislatori comandano il giusto, dovete sapere che renderete conto a Dio stesso del gregge che v'è affidato... La giustizia, senza cui niuna società può sussistere, la dovete far rendere a tutti inviolabilmente, ricompensando i buoni e castigando i malvagi come meritano... Voi dovete condurvi in guisa da far sentire che non regnate pel vostro privato vantaggio, ma pel bene di tutto il popolo....»

 

(12) L'opera capitale in argomento è quella di HEFELE, Ximenes, (in HETTINGER, Apologia del cristianesimo, trad. ital., v. 2, cp. XXII).

 

(13) RANKE, Storia dei papi, v. I, e Principi e popoli, v. 1. In HETTINGER, op. cit.

 

(14) Luigi XIV porgeva questi moniti per iscritto a suo figlio: «Il primo è che i re sono signori assoluti ed hanno naturalmente il pieno e libero diritto di disporre di tutti i beni, tanto dei secolari che degli ecclesiastici, per farne uso come saggi economi, vale a dire secondo i bisogni dello Stato». Mémoires de Louis XIV paur l'instruction du Dauphin, edit. de M. Dreyts J. I (cit. in PERIN, Les lois de la société chrétimne, cp. II, Paris, Lecoffre).

 

(15) Sotto Carlo I, mentre la nobiltà (che pure aveva così servilmente piegato alle prepotenze dei re precedenti) si teneva remota dalla reggia, tuttavia non mancavano «alcuni dei più illustri statisti e consiglieri privati che ridevano generalmente quando sentivano pronunziare la parola "libertà dei sudditi". Vi erano cortigiani abbastanza audaci per esprimere la speranza che il re non avrebbe avuto più bisogno di parlamenti». GREEN, Short History, op. cit., cp. VIII.

 

(16) Il comando fu assunto da O. Cromwell nel 1649; la conquista fu compiuta nel 1653 da Ireton, Lambert e Fleetwood. «Circa due secoli dopo, scrive Beaumond (L'Irlanda, trad. ital., Firenze, 1142), percorrendo i luoghi ove Cromwell era passato, li trovai ancora pieni del terrore che il suo nome inspirava; le tracce sanguinose del suo passaggio erano sparite dal suolo, ma erano rimaste nelle menti degli uomini».

 

(17) Qui pure si hanno distinzioni rigorose da introdurre. Certamente anche nell'età di mezzo le corporazioni d'arti e mestieri avevano regolamenti restrittivi i quali, in gran parte, erano richiesti da una robusta organizzazione delle classi economiche industriali e mercantili nelle lotte sociali e politiche contro le classi feudali e terriere. Ma questi statuti e regolamenti erano dettati dalle autorità stesse corporative e, tutto al più, approvati dai pubblici poteri ed avevano un carattere sociale. Essi spesso (specialmente in Italia) limitavano l'azione politica del governo o si imponevano ad essa e, nei riguardi economici, non erano alieni da certa libertà nell'esercizio del lavoro. Tutto al rovescio nell'età moderna nella quale è lo Stato centrale che impone dall'alto uniformemente le regole delle corporazioni; con esse tende, nell'e corporazioni, a disdire ogni funzione autonoma civile-politica e a farne strumento di finanza e finalmente a sopprimere ogni reliquia di libertà del lavoro mediante il privilegio. Tali i tratti caratteristici differenziali. Consulta: LEVASSEUR, Histoire des classes ouvrières en France, Paris, Guill., 1859; FAGNIEZ, Études sur l'industrie et la classe industrielle à Paris au XIII et au XIV siècle, Paris, 1877. In Germania sopra tutti: BOEHMERT, Beitrage, zur Geschichte der Zunftwesen, Leipzig, 1862. Per l'Italia: POHLMANN Die Wirtschaftspolitik der Florentiner Renaissance und das Prinzip der Verkehrifreiheit, Leipzig, 1878; ORLANDO, Delle fratellanze artigiane in Italia, Firenze, 1884.

 

(18) «Di regola la indipendenza della giurisdizione corporativa fu in Germania, fino al XVI secolo, assai grande... E così la organizzazione corporativa fu una delle principali cause della fioritura delle città tedesche del XV e XVI secolo che costituisce uno dei più ammirevoli e splendidi fatti della nostra storia... Ma nel secolo XVI dappertutto si fece strada il concetto giuridico secondo cui i diritti corporativi erano e si consideravano... come privilegi concessi solo dallo Stato e revocabili non solo per causa di abuso, ma anche per qualunque urgens publica necessitas». SCHONBERG, Industria (cit. in: Manuale di economia politica, trad. ital., v. 11-12, pp. 564-572).

 

(19) SCHONBERG, op. cit., p. 608.

 

(20) LEVASSEUR, Storia delle classi lavoratrici in Francia, II, p. 118 (cit. in Bibl. dell'Econ., serie 2., v. 3).

 

(21) CLÉMENT, Le arti e le loro corporazioni sotto Colbert (cit. in Bibl. dell'Econ., serie 2., v. 3).

 

(22) TOULMIN SMITH, English Gilds. The original ordinances of more than one hundred early English Gilds, London, 1870. Con una introduzione di L. BRENTANO, «Die Arbeitergilden der Gegenwart».

 

(23) TAINE, L'origine de la France contemporaine. L'anarchie, op. cit.

 

(24) Col libro De servo arbitrio, 1524.

 

 (25) ROSCHER, System der Volkswirtschaft, v. 2.

 

(26) ROSCHER, op. cit.

 

(27) Vedi BAUDRILLARD, Histoire du luxe, v. 4, Paris, Guill.; ROSCHER, in Ansichten der Volkswirtschaft, Leipzig, 186r.

 

(28) JANSSEN, op. cit., v. I, cp. III.

 

(29) Nel tempo istesso che l'illimitato potere dei principi in

molti paesi di Germania al pari della Prussia e Brandeburgo procedeva sulla via dell'arbitrio, il reddito del duro sudore dei sudditi veniva dissipandosi in «maìtresses» e favoriti, cantanti, ciambellani, camerieri e gentiluomini, ballerine e altri capricci, all'infuori di ogni elevato intento politico. STENZEL, Geschichte des preussischen Staats (in RATZINGER, Geschichte der kirchlichen Armenpflege, Freiburg in Br., 1884).

 

(30) Di Enrico VIII scrive ROGERS, Interprétation économique ecc., op. cit., cp. II: «Anche in tempo di pace le sue spese erano prodigiose. Egli aveva venti o trenta palazzi che demoliva e ricostituiva senza posa... capricci di un'ora che egli lasciava tosto in abbandono... La spesa della corte era enorme. La diffidenza e insieme la passione della pompa lo avevano tratto ad arricchire le nobiltà che aveva insediato nei suoi numerosi palazzi... Esauriti con le imposte i sudditi, pose mano ai beni dei monasteri... i cui tesori equivalevano probabilmente a tutta la moneta in circolazione a quell'epoca e le terre loro occupavano, si dice, il terzo della superficie del regno. Eppure tutto svaniva come la neve al sole, né restava nelle sue mani più di quanto occorreva per farne getto».

 

(31) MACAULAY, History of England, v. I, cp. III «Immoralità dell'amena letteratura d'Inghilterra». - Ributtanti particolari in TAINE, Histoire de la Littérature anglaise, Hachette, t. II.

 

(32) MACAULAY, History ecc. op. cit., v. I, cp. III, «Guadagni dei cortigiani e ministri».

 

(33) Ordinanza di Carlo IX (1560). In ROSCHER, Ansichten, op. cit.

 

(34) Nel suo Trattato sopra i negozi e l'usura, 1524. Vedi i passi riportati testualmente in JANSSEN, Geschichte ecc., v. 2, cp. III «Cause generali della rivoluzione sociale».

 

(35) JANSSEN, op. cit., v. 2, cp. III «Cause di malcontento fra le popolazioni rurali».

 

(36) Vedi, «I dodici articoli dei contadini della Svezia», e i motivi che li precedono. In JANSSEN, op. cit.

 

(37) Eberlin v. Gunzburg, Th. Munzer e Franck. Vedi WISKE­ MANN, Darstellung der in Deutschland zur Zeit der Reformation herrschenden nationalòkonomischen Ansichten, Leipzig, 1861.

 

(38) Pio II (1462), Paolo III (1537), Urbano VIII (1639), Benedetto XIV (1741); come più tardi Gregorio XVI (1839), fino a Pio VIII e Leone XIII ai vescovi del Brasile (1888) e al mondo cattolico (1890). Vedi per queste ed altre notizie sopra fonti molteplici: ERMINI, La schiavitù moderna (discorso 1891). L'opera principale per noi italiani rimane sempre quella di CIBRARIO, Della schiavitù e del servaggio, Milano, 1868.

 

(39) Vedi per la storia della beneficenza: RATZINGER: Geschichte der kirchlichen Armenpflege, Freiburg in Br., 1884; PERIN, De la richesse, Lecoffre, 1868, cp. «De la charité»; ROGERS, op. cit.,. cp. « Origine e sviluppo del pauperismo in Inghilterra»; BRUDER, Armenpflege, con ricchissima bibliografia, nello Staatslexicon, pubblicato dalla Gorres-Gesellschaft, Freiburg in Br., 1888 e seg.

 

(40) PASLEY, Pauperism and Poor laws, London, 1852, chiama questa legge: «A statute, characterized by a barbarous and ruthless severity wholly unworthy of the legislation of any Christian people». In RATZINGER, op. cit., III, 3.

 

(41) In Germania nell'ultimo secolo medioevale il benessere dei paesani è attestato dall'abbondante nutrimento carneo, dalle doti, dallo sfarzo delle nozze, dal lusso spesso condannato dai predicatori. Si prestava più volentieri ai paesani che ai nobili e questi se ne lagnavano; anzi talora il coltivatore diventava capitalista. I libri rurali dei signori, dei conventi e dei liberi proprietari, dimostrano molto elevato colà il salario degli stessi giornalieri, parte in denaro, parte in natura; né diversamente quello dei domestici (Gesinde). Presso gli artigiani delle città tedesche al medesimo tempo la prosperità traligna spesso in grandigia e prepotenza e vien confermata dalle stesse largizioni in opere di culto e di beneficenza. Il cancelliere Fortescue magnifica lo stato delle classi rurali al principio del secolo XV in Inghilterra, nella quale «villa tam parva reperiri non poterit in qua non est... pater familias magis ditatus possessionibus, necnon libere tenentes alii et valecti plurimi»; (De laudibus legum Angliae) e altrettanto ripete degli artigiani, di cui ognuno guadagna quanto giova a render la vita comoda e gradevole. Questo benessere delle classi operose nell'evo medio è ormai incontestabilmente illustrato dalla critica storica moderna per tutti i paesi d'Europa. JANSSEN, Geschichte des deutschen Volkes, v. I, 7; LAMPRECHT, Deutsches Wirtschaftsleben im Mittelalter, Leipzig, 1885; RATZINGER, Die Volkswirtschaft in ihrenv sittlichen Grundlagen, Freiburg in Br., 1881; T. H. ROGERS, A history of agriculture and prices in England, London, 1886 e seg.; Six Centuries of work and labour, 1884; W. CUNNINGHAM, The growth of English industry and commerce during the early and middle ages, Cambridge, 1890; HALLAM, Europe during the period of the middle ages (trad. ital.), Firenze, 1874; LEVASSEUR, Histoire des classes ouvrières (op. cit.); DARESTE DE LA CHAVANNE, Histoire des classes agricoles en France, Paris, 1858; BRANTS, Essai historique sur la condition des classes rurales en Belgique, Paris, 1857; CIBRARIO, Dell'economia politica nel medio evo, Torino, 1841; PERRENS, Histoire de Florence, Hachette, 1877 e seg.; BERTAGNOLLI, Delle vicende dell'agricoltura in Italia, Firenze, 1881.

 

(42) Giusta il concetto cristiano del diritto di proprietà, questo si combina sempre col dovere corrispondente di farne un uso confacente al bene generale e specialmente delle classi più deboli. Intorno allo spirito del Diritto Romano favorevole all'egoismo dei proprietari sono d'accordo ENDEMANN, Die nationalokonomischen Grundsatze der kanonistischen Lehre; ARNOLD, Kultur und Recht der Romer; BRUDER, Zur okonomischen Charakteristik des romischen Rechts. A parte talune esagerazioni, sono indubbie le prove storiche che adduce JANSSEN, Geschichte, op. cit., v. 1,l. 4, cp. I e II, sopra l'influenza sinistra dei giuristi nell'assodare in Germania, come altrove, l'assolutismo dei principi e consumare il sacrificio del popolo, in specie dei contadini.

 

(43) Specialmente dal 1672 in poi.

 

(44) «Selon le meilleurs observateurs les landes et les bruyères y sont le plus souvent rassemblées en grands deserts, par centaines et par milliers d'arpents». THÉRON DE MONTAUGÉ, cit. in TAINE, L'ancien régime, 1. 5, cp. 1. Ciò intorno al 1760.

 

(45) A. YOUNG, Voyage en France, II, 282,437 (cit. in LORIA, op. cit., 1. 2, pp. 217, 218). D'altra parte lungo il secolo XVIII i debiti della nobiltà la traggono alla alienazione dei beni che in parte sono acquistati da contadini a prezzo de' loro sudori; ma i carichi enormi non sollevano questi dalla miseria. Vedi H. TAINE, Ancien règime, 1. 5., cp. I «La misère sous Louis XIV, XV, XVI».

 

(46) DE AUGUSTINIS, Della condizione economica del regno di Napoli, 1883 (cit. in LORIA, op. cit., p, 218).

 

(47) Nell'aspra e nobile lotta che i papi combatterono diuturnamente contro i baroni oppressori che lasciavano le loro terre incolte, grandeggiano le figure di Sisto IV, Giulio II, la cui opera, interrotta brevemente durante il pontificato di papa Adriano VI, fu ripresa con maggior vigore da Clemente VII: più tardi Benedetto XIV, Pio VI e VII. La sapienza ed energia dei loro provvedimenti rimasero spesso in gran parte spuntati dinanzi alla gravità delle resistenze storiche. Vedi M. ARDANT, Papes et paysans, Paris, 1891. Dettato sopra documenti inediti dell'Arch. Vat.

 

(48) Celebre il «magistrato dei beni incolti» presso la repubblica veneta.

 

(49) I dati e le citazioni che in questa parte specialmente si riferiscono all'Inghilterra, sono desunti dall'opera originale e dottissima (sebbene informata ad altro spirito) del prof. LORIA, Analisi della proprietà capitalistica, op. cit., v. 2; ed altrettanto dal ROGERS, Interpret. d. l. econ., op. cit.

 

(50) LATYMER, Sermons (stampati a Londra, 1834).

 

(51) In COBBETT, Parliamentary history.

 

(52) La legge così detta degli «Allotments» (L'Acte des Lotissements). Essa disponeva che ogni capanna avesse una dipendenza di quattro acri di terra riservati al contadino. Ma questa legge fu abolita, dice ROGERS, op. cit., Interpr., p. 52, nella seconda metà del secolo XVIII, perché faceva ostacolo alla chiusura dei campi, che divenne la regola in quell'epoca. Restava al contadino il godimento dei beni comunali ma questi pure nel secolo stesso (XVIII) finirono coll'essere interamente assegnati «ai grandi proprietari mediante indennità derisorie che furono di un subito consumate».

 

 (53) On cause of the present scarcity of corn, by a Physician, London, 1795 (cit. in A. LORIA, op. cit., p. 213).

 

(54) «Per tal modo il trionfo della civiltà ha diminuito il benessere delle classi più povere, ed il progresso dell'agricoltura e della popolazione le ha defraudate di preziosi vantaggi» MACAULAY, History, I.

 

(55) E. CASSELOT, Introduzione al libro di Rogers (Interpretazione ecc., trad. frane.). Quest'opera restauratrice per parte delle leggi, nei riguardi specialmente dei contadini, è già cominciata non solo in Irlanda, ma anche in Inghilterra, con gli atti del 1883 e del 1887.

 

(56) Riportato da COBBETT, Parliamentary history, I, 746, (cit. in LORIA, op. cit., 1. 2, p. 229).

 

(57) Inquiry into the causes of the increased amount of poor rates, Norwich, 1817 (id., p. 219).

 

(58) Nella storia intera dell’umanità la regola non è la «rendita ma la sua elisione», appunto perché nei rapporti rurali precedenti essa veniva condivisa fra le due classi interessate al suolo. «Fu solo col sorgere dell'èra economica contraddistinta dalla grande proprietà fondiaria che si infransero quei vincoli che impedivano alla rendita di dispiegarsi liberamente e che assunse una significazione sociale»... «La radice della moderna malattia sociale sta nella separazione del coltivatore dalla proprietà della terra». LORIA, La rendita fondiaria e la sua elisione naturale, Milano,

1880; vedi tutto il cp. II, pt. I «La rendita nella storia».

 

(59) In Inghilterra il conferimento dei monopoli da parte dei re fu una grande questione politica che fini con una legge del parlamento sotto Giacomo I.

 

 (60) L'inizio della grande impresa e per promozione di Stato coincide propriamente col regime di Colbert. Vedi CLÉMENT. Histoire de Colbert et de son administration, Paris, 1875.

 

(61) Non sempre, né dovunque; ma però con questa tendenza caratteristica.

 

(62) Queste leggi regolatrici del salario, così BRENTANO nell'opera insigne Die Arbeitergilden der Gegenwart, non erano che un'applicazione della teoria generale del medio evo che condannava ogni tentativo di trarre da momentanee ristrettezze del prossimo pretesto di un ingiusto profitto personale. Ma del resto lo spirito delle vecchie legislazioni che in qualche luogo perdurò anche nell'età moderne, e inteso ad assicurare gli equi compensi del lavoro, rimane scolpito in questa disposizione dello statuto della Savoia: «Prescriviamo a tutti i giudici ordinari delle città, ville e borghi, che fissino debitamente e moderino i prezzi ed i salari quotidiani di tutti gli operai e lavoratori a norma della durata della giornata di lavoro, della qualità degli operai, dell'abbondanza dei viveri e della carità». Decreta ducalia Sabaudiae, 1476 (cit. in LORIA, op. cit., 1. 2, p. 186).

 Similmente lo statuto di Lucca: «Conoscendo per esperienza che l'avidità del guadagnare in alcuni passa tant'oltre che, senza aver rispetto a quello che devono, non danno ai poveri tessitori la debita mercede della fatica loro...» si vieta di dar mercedi inferiori ad un saggio determinato. Statuto della Corte dei mercadanti di Lucca, 1590.

 

(63) Sul lento accrescimento della popolazione nel medio evo vedi: RUMELIN, Reden und Aufsatze, Tubingen, 1875; K. LAMPRECHT, Deutsches Wirtschaftsleben im Mittelalter, Leipzig, 1885­1886. - In Germania l'aumento energico della popolazione comincia nel secolo XVII in Inghilterra nel secolo XVIII.

 

(64) Verso la metà del secolo XVI, si restringe in Germania l'uso delle carni e il salario dei giornalieri abbassa della metà relativamente a ciò che era fra il 1450 e il 1500 (JANSSEN, op. cit., 1. 3). MACAULAY, History, I, riporta una ballata ove si deplora il tempo antico in cui ogni artiere viveva riccamente al pari di un affittaiolo, mentre oggimai, si soggiunge, esso è ridotto al salario di sei «pence» per giorno.

 

(65) Anche in Germania dalla metà del secolo XVI cominciano le ordinanze legali che costringono i servitori ad accettare condizioni di esistenza sempre più svantaggiose ed introducono il servizio domestico coattivo. JANSSEN, op. cit., l. 3. cp. I.

 

(66) «La miseria e la degradazione dell'operaio inglese sono il risultato di una serie di atti del parlamento e del governo intesi allo esplicito scopo di ridurre l'operaio al minore saggio possibile di salario n. ROGERS, Six centuries ecc., (cit. in LORIA, op. cit., 1. 2, p. 263).

 

(67) Idem, p. 428.

 

(68) L'Inghilterra attraverso tutto il medio evo in mezzo alle generali adulterazioni monetarie s'era tenuta immune (al pari di Firenze e di Venezia per le specie auree) da questa frode legale. Il secolo XVI recò pure colà questa peste, a cui però Elisabetta si affrettò di riparare (ved. MESSEDAGLIA, Storia e statistica dei metalli preziosi).

 

(69) Dal 1574 al 1610, in Inghilterra il grano rincara da l a 2, mentre il salario in moneta rimane stazionario.

 

(70) GALANTI, Descrizione delle Sicilie (cit. in LORIA, op. cit.).

 

(71) TAINE, L'ancien régime, l. 5, «Il popolo e la miseria».

 

(72) «In Francia, prima della rivoluzione, la borghesia ricorre ai metodi più vili per deprimere il salario». TOCQUEVILLE, L'ancien régime et la révolution (cit. in LORIA, op. cit., p. 263).

 

(73) Young, Petty, Child, si accordano in questo concetto essere una florida industria incompatibile col basso prezzo delle derrate, mentre altri scrittori riconoscono che per rendere i salari tollerabili è desiderabile l'eccesso di popolazione... De Witt non esita a consigliare l'istituzione di imposte sui viveri più necessari affine di costringere ad un lavoro continuo la classe popolare (Mémoires, Ratisbonne, 1709). Né Voltaire, questo campione degli oppressori, porta diverso giudizio: «L'operaio (egli dice) deve esser ridotto al necessario perché lavori; tale è la natura dell'uomo» (Siècle de Louis XIV). «È solo la fame - nota l'avversario implacabile degli operai Townsend - che può stimolare il povero al lavoro; esso non conosce onore né ambizione. La stessa imprevidenza del povero è provvidenziale, poiché è essa che lo assoggetta al capitalista. Ma oggi questa soggezione è incompleta; l'operaio lavora poco e consuma eccessivamente...» (Dissertation on the poor laws, London, 1817). Townsend medesimo propone l'associazione coattiva del lavoro la quale, scemando all'operaio la possibilità di accumulare, riuscirà a renderlo soggetto all'arbitrio del capitale (op. cit., pp. 98, 100)... James Stewart, «tory» e filantropo, scrive: «Il numero degli operai deve essere accresciuto ed il prezzo delle loro sussistenze esacerbato con imposte, affinché il salario sia ridotto ad una misura conveniente» (cit. in LORIA, op. cit., 1. 2, p. 259).

 

(74) L'ostilità sistematica della pubblica opinione contro le leggi canoniche delle usure, si era manifestati in Germania dalla fine del XV secolo. Essa è attestata anche dalla reazione che le abitudini usurarie provocarono nei dotti e pii uomini del tempo, Tritheme, G. Biel, Geiler ed altri. (Vedi JANSSEN, op. cit., 1. 3, cp. III) Ma Luigi Guicciardini (nipote dello storico) attesta la propagazione generale in Olanda (ove fu rappresentante del granduca nella seconda metà del XV secolo) delle abitudini usurarie e predice disastri pubblici. (Descrizione di tutti i Paesi Bassi, 1582).

 

(75) «L'intollerabile e colpevole tirannia delle grandi compagnie», dichiarava la commissione incaricata dagli Stati di Nuremberg di studiare a fondo la questione della usura (1523), «è l'unica causa delle sommosse popolari, che scoppiano in alcune città, e dobbiamo attenderei peggiori sedizioni, se non si porta un pronto rimedio al male» (JANSSEN, op. cit., 1. 2, cp. 2).

 

(76) S. FRANCK, il libellista della rivoluzione germanica (cit. in SCHMOLLER, Nationalokonomische Ansichten wuhrend der Reformations-periode, 1860).

 

(77) JANSSEN, op. cit, 1. I, cp. III, 1. 2, cp. III.

 

(78) Vedi l'opera dottissima, a cui ho attinto largamente, di C. JANNET, Le capital, la spéculation et la finance au XIX siècle. Paris, Plon, 1892.

 

(79) Ecco la conchiusone dell'opera di GNEIST, dopo aver analizzato le ultime riforme in Inghilterra (op. cit., p. 417): «... Vi esiste ancora di nome una 'House of Commons' ma non esistono più le 'communities', ne quelle antiche associazioni, unite dal sentimento del dovere, alle quali son sottentrati gruppi sociali che trovano il loro vincolo comune nella stampa e nel diritto di associazione. Mancato il correttivo, che nelle antiche 'communities' moderava la foga degl'interessi per mezzo della costante osservanza del costume e del diritto e avvezzava i corpi elettivi a quella misura di abnegazione, di senno politico e di reverenza per la legge con la quale il governo de' partiti parlamentari poteva esistere onorevolmente, predominano ora quelle idee sociali che non si agitano ne lottano, se non per nuovi diritti, e con la regolarità di un oriuolo si ripetono col medesimo indirizzo nei popoli civili dell'età nostra.

 «... La spinta della società verso l'uguaglianza reclama, sotto i nomi di amministrazione autonoma e di libertà comunale, non già associazioni unite dal sentimento del dovere per l'esecuzione responsabile delle leggi e dei compiti dello Stato, ma 'boards' liberamente eletti, con facoltà autonoma di prendere deliberazioni e concedere pubblici uffici.

 «... Ma la spinta della società verso l'uguaglianza, quando dalle classi medie discende alle operaie, pretende ancora di più: l'uguaglianza della proprietà e l'uguale valutazione del lavoro che, combinandosi con l'impulso all'uguaglianza politica, conducono a violenti ed irrimediabili contrasti con la natura della società, della Chiesa e dello Stato ed aprono, da tutti i lati, libero il campo alla demagogia».

 

(80) Consulta: C. JANNET, Le socialisme d'état et la réforme sociale, Paris, Plon, 1889; Id., Les États-Unis contemporains, Plon. 1889, 2. ed.; A. CARLIER, La République américaine, Paris, Guillemin. 189°.

 

(81) Per opera soprattutto di Kant

 

(82) Vedi le prove in LORIA, La proprietà capitalistica, op. cit., 1. 2, in cui l'analisi di questo processo uniforme nei vari continenti forma un aspetto originale dell'opera.

 

(83) Le prove sovrabbondano. Noi rimandiamo, oltre che all'opera di LORIA, a quella recentissima di JANNET, Le capital, la spéculation et la finance au XIX siècle, ove la bibliografia può dirsi completa. Consulta fra gli italiani U. RABBENO, Protezionismo americano. Saggi storici di politica commerciale, Milano, Dumoulard, 1892, ove, con analisi equanime, è riconosciuto quanta parte dello svolgimento del sistema protezionista degli Stati Uniti trova giustificazione storica naturale distintamente da quella che è dovuta alla coalizione degli interessi egoistici degli industriali.

 

(84) LORIA, op. cit., 1. 2, p. 207.

 

(85) LORIA, op. cit., 1. 2, pp. 273 e sego Non negheremo col JANNET, La spéculation ecc., che cita opportunamente alcune osservazioni di mons. Keane, riconoscersi negli Stati Uniti anche un opposto movimento di riabilitazione della media e piccola proprietà. Ma questo fatto non elide l'altro. Sono due correnti, l'una sospinta dallo spirito di utilitarismo ruinoso, che incentra vieppiù ricchezza e potere, l'altra avvivata dal rinnovamento dello spirito cristiano che elabora, al di sotto, più solidi strati sociali poggianti sopra il culto onesto della libertà e del rispetto della legge morale tradizionale.

 

 
 
 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

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